Per arrivare al camaleontico Julio Cortàzar
"Claro
que me sería absolutamente imposible vivir si no pudiera jugar. Cuando
digo jugar no me refiero a jugar con un trencito de juguete, sino a
jugar en el sentido que el hombre juega. Si le da la gana de escuchar la
música está jugando; si quiere hacer un paseo está jugando, ese es el
sentido lúdico. Todo lo que significa el trabajo, la obligación y el
deber. Todo lo que sale de eso para mí es el juego y el hombre es un
animal que juega."
Julio Cortázar
“Certo che mi sarebbe
impossibile vivere senza potere giocare. Quando dico giocare non mi
riferisco a giocare con un trenino giocattolo, ma nel senso in cui
l’uomo può giocare. Se ha voglia di ascoltare la musica sta giocando; se
vuole fare una passeggiata sta giocando, è quello il senso ludico.
Tutto quello che significa lavoro, obbligazione e dovere non è giocare.
Tutto ciò che esce da quello per me è un gioco e l’uomo è un animale che
gioca.”
(Traduzione del testo Yuleisy Cruz Lezcano)
Julio
Cotàzar (Julio Florencio Cortàzar Descotte- Bruxelles, 26 agosto
1914-Parigi, 12 febbraio 1984) è stato uno scrittore, poeta, critico
letterario, saggista e drammaturgo argentino naturalizzato francese. E’
considerato fra i maggiori autori di lingua spagnola del XX secolo.
Imparentato con Borges come cultore del racconto fantastico, i suoi
racconti però, a differenza di quelli di Borges si sono allontanati
dall’allegoria metafisica per indagare le faccende del quotidiano,
cercando sempre il senso autentico e lo stile nell’esprimersi, lontano
dalle credenze religiose e della routine. Julio Cortàzar ha sovvertito
tutti i generi letterari, rendendo l’irreale plausibile e la realtà, uno
spettro emblematico dell’irreale. Il suo nome si colloca allo stesso
livello di altri grandi scrittori come: Garcìa Màrquez, Mario Vargas
Llosa, Juan Rulfo, Carlos Fuentes, Jorge Luis Borges e lo scrittore
cubano Josè Lezama Lima, con questo ultimo sostenne una fitta
corrispondenza e spesso si incontrarono insieme, per un caffè,
all’Avana, dove si sono conosciuti nel 1961. Cotàzar, infatti, mosso
dall’entusiasmo, pubblicò en La Habanera, rivista Uniòn il suo saggio
“Per arrivare a Lezama Lima”, ed è stata una delle migliori introduzioni
scritte all’opera di uno scrittore cubano.
Julio Cortàzar è
l’enchateur, figura senza tempo, uno scrittore veramente camaleontico
sull’orlo dell’abisso psicologico di chi non conosce confini. E’ stato
un enigmatico viaggiatore nella realtà labirintica della mente e nella
dimensione dove esiste solo il permanere dello straniamento, fino
all’inevitabile consapevolezza di non esserci del tutto dove esiste il
vuoto e il nulla e l’anima si manifesta con meraviglia in un’esplosione
di energia creativa, che trasforma il mondo, alimentandolo con la forza
dei sogni.
Nella sua scrittura convergono i giochi di parole e di
senso, l’ironia e l’autoironia. Cortàzar dà alla letteratura espressioni
uniche, in una combinazione infinita. Per lui la memoria è un insieme
di gallerie inesistenti. I personaggi escono dai quadri, tutto il
pensato è un labirinto, dove ogni uomo immagina nel suo centro una via
di uscita, contornata da un insieme di domande di vita.
Il suo
modo di scrivere ha un marcato carattere sperimentale, le sue visioni e i
suoi registri del reale escono da ogni schema plausibile, ma in un modo
così naturale, umoristico e teatrale che fanno uscire il lettore da
tutti i punti di vista convenzionali, richiamando la sua attenzione
verso il completamento e la finitura dell’atto narrativo, come se ci
fosse una storia dentro la storia, che ogni lettore crea a sua volta.
Nella
sua opera si percepisce quel sentire umano relativo a ciò che si
manifesta, ma a volte è un sentire in cui l’uomo è inesistente, perché
si assenta dall’atto di consapevolezza della propria coscienza.
“Non
esserci del tutto in una qualsiasi delle strutture, delle ragnatele che
prepara la vita e in cui siamo alternativamente ragno e mosca”
I
suoi racconti offrono la possibilità di fantasticare, proponendo diverse
possibilità di partecipazione, questa possibilità si evidenzia molto
bene nella sua novella dal titolo “Rayuela”, considerata una delle opere
fondamentali della letteratura in lingua castigliana. “Rayuela” è
racconto breve, dove si percepisce l’impronta rivoluzionaria,
innovatrice e irrepetibile che lo contraddistinguono.
Por lo demás
hay que ser imbécil, hay que ser poeta, hay que estar en la luna de
Valencia para perder más de cinco minutos con estas nostalgias
perfectamente liquidables a corto plazo...
Rayuela (Capítulo 71) Julio Cortázar
Inoltre
bisogna essere imbecille, bisogna essere poeta, bisogna essere nella
luna di Valencia per perdere più di cinque minuti con queste nostalgie
perfettamente eliminabili e a corto lazzo…
(traduzione Yuleisy Cruz Lezcano)
In
alcuni racconti lo scrittore non fa altro che un’analisi di sé, si
sente la sua essenza, la meraviglia per i dettagli, la commozione per il
mondo che gli sta attorno. Si percepisce nella sua opera l’ombra
nascosta dietro l’uomo, sul margine di una conversione definitiva alla
presunta realtà.
Torno sull’opera “Rayuela” , una delle mie
preferite, in cui Cortàzar con molta chiarezza concede al lettore il
suo significato di amare; come se l’amore accadesse, non per scelta, ma
per puro caso, a coloro che sanno emozionarsi e abbandonarsi con
innocenza alle proprie emozioni.
“Lo que mucha gente llama amar
consiste en elegir a una mujer y casarse con ella. La eligen, te lo
juro, los he visto. Como si se pudiese elegir en el amor, como si no
fuera un rayo que te parte los huesos y te deja estaqueado en la mitad
del patio. Vos dirás que la eligen porque-la-aman, yo creo que es al
verse. A Beatriz no se la elige, a Julieta no se la elige. Vos no elegís
la lluvia que te va a calar hasta los huesos cuando salís de un
concierto. Pero estoy solo en mi pieza, caigo en artilugios de escriba,
las perras negras se vengan cómo pueden, me mordisquean desde abajo de
la mesa.”
Fragmento del Capítulo 93 de Rayuela, Julio Cortázar
“Quello
che tanta gente chiama amare consiste nel scegliere una donna e
sposarsi con lei. La scelgono, ti giuro, l’ho vista. Come se si potesse
scegliere l’amore, come se non fosse un raggio che ti taglia le ossa e
ti lascia staccato a metà nel cortile. Voi direte che la scelgono perché
la amano, io credo che sia da vedersi. Beatrice non si sceglie,
Giulietta non si sceglie. Voi non riuscite a scegliere la pioggia che
scende fino alle ossa quando salite da un concerto. Ma io sto solo nella
mia parte, cado nei marchingegni che scrivo, le cagne arrivino come
possono, mi morsicano da sotto il tavolo.”
Frammento del capitolo 93 di Rayuela, traduzione Yuleisy Cruz Lezcano.
Con
la lettura dei racconti del grande maestro del fantastico dell‘ 900
Julio Cortàzar, le immagini offrono all’osservatore assente un frammento
di vita sintetizzata, la fugacità del perenne e l’alchimia che dà
origine a tutti i contrasti. L’opera di Cortàzar è profonda nella sua
semplicità, ha una risonanza che si spiega da sé, da un punto di vista,
il suo, molto affascinante, che dà la dimensione del sogno ma anche
dell’incubo. La sua narrativa veicola un messaggio, dove l’uomo
richiama il lettore perché lo accompagni nel suo viaggio.
“Scrivo per deriva, per dislocamento, scrivo da un interstizio”.
Nel
suo mondo non domina solo il fantastico, ma anche la meraviglia, dove
ogni storia si organizza da sé, senza regole, perché a volte l’uomo
sceglie la storia, a volte la storia sceglie l’uomo.
Alcuni dei suoi racconti nascono dai sogni. Nei ricordi d’infanzia lo scrittore si vedeva scrivere col dito parole sul muro:
“Scrivevo
parole e le vedevo prendere corpo nello spazio, parole che già da tempo
erano parole magiche. Da quel momento ho incominciato a giocare con le
parole, a slegarle sempre più dalla loro utilità pratica e iniziare a
scoprire i palindromi.”
Sono da sempre affascinata da quest’uomo,
dalla sua realtà labirintica e dal suo sentimento fantastico, dove si
può veramente volare “oltre” perché lui ha saputo come esorcizzare ogni
spiegazione, con un misticismo tale da indossare ogni volta nuova pelle
per collegarsi a una realtà, che pur essendo a volte la stessa, può
essere interpretata volta per volta in modo diverso.
La lettura di
molti dei suoi racconti e poesie mi hanno portata a percepire in ogni
sua frase degli elementi occulti, e nonostante, il generoso uso di
dimensioni fantastiche e di creature mentali presenti nei suoi dialoghi e
versi, colgo nella sua scrittura uno sguardo lucido che mantiene tutte
le connessioni con la realtà.
Come lasciare fuori la poetica di Cortàzar? A seguito vi riporto una sua poesia.
UNA CARTA DE AMOR
Todo lo que de vos quisiera
es tan poco en el fondo
porque en el fondo es todo
como un perro que pasa, una colina,
esas cosas de nada, cotidianas,
espiga y cabellera y dos terrones,
el olor de tu cuerpo,
lo que decìs de cualquier cosa,
conmigo o contra mì,
todo eso que es tan poco
yYo lo quiero de vos porque te quiero.
Que mires màs allà de mì,
que me ames con violenta prescidencia
del mañana, que el grito
de tu entrega se estrelle
en la cara de un jefe de oficina,
y que el placer que juntos inventamos
sSea otro signo de la libertad.
Julio Cortàzar
UNA LETTERA D’AMORE
Tutto quello che di voi vorrei
è così poco in fondo
perché in fondo è tutto
come un cane che passa, una collina,
quelle cose da niente, quotidiane,
spiga e chioma e due zolle di zucchero,
l’odore del tuo corpo,
quello che dici di qualunque cosa,
con me o contro di me,
tutto quello è così poco
io lo voglio da voi perché vi amo.
Guarda più in là di me,
amami con violento attaccamento
del mattino, fa sì che l’urlo
del tuo concederti si schianti
contro il volto di un capo ufficio,
e che il piacere che insieme abbiamo inventato
sia un altro segno di libertà.
A
Cortàzar ho dedicato una lettera “Lettera da poeta a poeta”, con la
quale ho partecipato al Concorso Letterario Internazionale “Lettere
d’amore” XVI edizione, patrocinato dal Comune di Torrevecchia Teatina, e
che vi allego a seguito, a dimostrazione della mia grande ammirazione
per questo camaleontico scrittore e poeta, che amo da sempre.
Lettera da poeta a poeta (dedicata a Julio Cortàzar di Yuleisy Cruz Lezcano)
Tu
dici di essere idiota, ma se tu sapessi Julio Cortàzar, quanto sono
idiota anch'io. C'è un mondo di idioti come noi. Siamo nati dalla vera
fonte della mitologia degli idioti.
Siamo immaturi idioti e troviamo la nostra realtà, solo nello spirito dell'ingenuità primitiva.
E
non credere che sia semplice la nostra vita, nessuno comprende la
nostra sorpresa del frutto, nessuno capisce se per noi un’ora è uguale a
un minuto, quando ci perdiamo nella contemplazione.
Noi siamo la
celebrazione del culto degli idioti, abbiamo la malattia
dell'entusiasmo, per le cose che gli altri nemmeno considerano.
Sorridiamo
senza sforzo, senza contegno, indisturbati. Siamo gli idioti
abbandonati nel gozzo di ogni cosa banale, persi nella fantasia di
battute senza suono che solo a noi fanno ridere a crepacuore, come
idioti.
L’idiozia è la nostra unica storia di follia, ridiamo
davanti ai dipinti idioti, ci piacciono i ritornelli semplici, i ritmi
ingenui, ci piace inventare i colori per tutte le nuove vocali, regolare
la forma della bocca per tutte le consonanti e, con ritmi istintivi,
illuderci di creare un linguaggio poetico, accessibile per esprimere
l’inesprimibile, fissando la vertigine di un sorriso che descrive tutti i
silenzi.
Siamo abituati alle allucinazioni semplici, vediamo
chiaramente nelle nuvole tutte le favole, calessi per le strade del
cielo, un salotto pieno di alberi sul fondo di un lago, mostri e misteri
in tutti i boschi bui.
E poi crediamo pure di essere una voce, di
nasconderci in forme animali e parlare con la natura, con il nostro
gatto, con il nostro cane. Parliamo a loro assumendo delle espressioni
quanto più buffe e smarrite possibili, così consapevoli di sapere che
essere idioti è la nostra destinazione di felicità, pertanto davanti ad
altri uomini conversiamo con l’erba ad alta voce, senza dimenticare i
sofismi di follia che ci appartengono. Sappiamo molto sulla follia, essa
non deve venire rinchiusa, e noi possediamo dei sistemi semplici per
liberarla. Sappiamo come distrarre gli incantesimi accumulati nel
cervello umano, diamo continuamente vita all’infanzia. Lo sappiamo,
occorre davvero audacia e umiltà per avvicinare tutte le idiozie! Eppure
siamo stati educati al rapporto con la gente, ma non troviamo i nostri
grammi di ragione per passare inosservati, quando, con atteggiamenti che
in tanti ritengono sbagliati, sogniamo in piedi.
Ah! Ah! Ah! Se
tu sapessi quante ne combino… questa te la devo proprio raccontare:
volevo portare fuori il cane, l’ho chiamato, ma lui già mi aspettava
sulla porta, seduto scodinzolava, guardandomi con i suoi grandi occhi
tondi, poi ho indossato la giacca, ho preso il guinzaglio, mi sono messa
la sciarpa e sono uscita, ma il cane era rimasto dentro ed io mi sono
stupita di quanto leggero fosse il mio cane, quando per la strada giravo
con il guinzaglio, senza rendermi conto di averlo lasciato dentro casa.
Non ti dico che reazione. Ah! Ah! Ah! ho riso e riso di me stessa,
quasi da farmi la pipì addosso, come solo sanno fare gli idioti.
Ah!
Felici! Sì, solo gli idioti sono felici, quelli come noi, credono alla
felicità e si affacciano a magiche finestre, sempre deliranti, con la
psiche offuscata da occhi sognanti, e pensieri erranti in foreste
spensierate. Quasi disgiunti dalla ragione, siamo persi in regioni
inesplorate dall’attenzione, perché per noi essere idioti è l’unica
condizione che ci mantiene vivi.
Non sembriamo di questo mondo,
possiamo essere la nuvola, l’albero, ci basta, da semplici, la
semplicità per creare una concreta estensione all’interno del cuore e
dilatarlo con poche gocce di sole, perché per noi l’immaginazione è un
esercizio.
Siamo sin dall’inizio gli idioti resi puri dal
battesimo, liberi dalla ragione e dal suo linguaggio, siamo come
pagliacci che dopo un travagliato viaggio ridono e ridono, creando
confusione.
Come tutti, abbiamo sentito una gran liberazione
cadendo dalla vulva materna, ma già da neonati, nel momento che siamo
stati cullati, abbiamo riso e riso, senza nessuna ragione, con il cuore
pieno di gioia, sbavando e poppando con innocenza, sognando a occhi
aperti, come idioti.
Che dire! So bene cosa farmene delle nuvole
grigie, da bambina la prima volta che ho guardato il cielo, ho avuto
coscienza che in tutto c’è un’immagine, che nessuna realtà è legata alla
sua propria realtà e che da una nuvola a un’altra nuvola c’è solo una
piccola misura di cielo, e il cielo intero è una grande vetrina di
contenuti, che può costruire continuamente delle immagini per l’uomo
ispirato. Sul cielo da bambina ho sognato l’amore e ho visto tanti
istanti di luce esplosi nella notte, mentre guardavo le stelle. Sentivo
pulsare l’universo con astri che mi accarezzavano la pelle e ho imparato
a distinguere una stella dall’altra, attraverso la chiarezza delle loro
rivelazioni. E non dirmi, carissimo amico, che erano spazi di
confusione, perché i confusi sono assenti al loro presente, invece io ho
sempre saputo che la mente non ha confini. Tutto è nello stesso istante
“uno e diviso”, e io ora con il mio migliore sorriso ti dico, con
certezza, che per sognare bisogna amare il proprio sogno e tu, come me,
lo sai. So bene che anche tu, come me, hai imparato a scorgere il fuoco e
il profumo dell’aurora; hai imparato che il sogno è il minuscolo
anticipo di tutte le pagine da vivere; hai imparato ad amare la bellezza
di un mondo che si apre in altri mondi e hai capito che la razza degli
idioti è tenace, perché gli idioti immaginano l’infanzia come una terra
bagnata dall’acqua. Gli idioti sanno bene che i sorrisi sono fatti da
piccole avventure che galleggiano in barchette di carta.
So di
parlarti in una lingua che già conosci, so che mi immaginerai e
sorriderai quando leggerai queste righe, perché anch’io sto sorridendo
mentre immagino che tu le leggi. Solo gli idioti possono ridere
immaginando quello che ancora non è successo. La fraternità fra gli
idioti non consiste nel mettersi nella pelle di un altro idiota, ma nel
sapere ridere di sé, insieme agli altri.
Con affetto
- C.L.