sabato 12 novembre 2016

L'era dell'apparenza: apparire o scegliere di essere? - Antonella Gramigna


Di Antonella Gramigna*

"Tutto il mondo è un palcoscenico e gli uomini sono soltanto degli attori che hanno le loro uscite e le loro entrate. E ognuno, nel tempo che gli è dato recita molte parti". (William Shakespeare)

Apparire, in questo tempo, ha una valenza maggiore dell'essere: la moda dei tatuaggi,che imperversa da diversi anni nelle ultime generazioni, ne è un esempio eclatante. L'immagine è la prima cosa che si "spende" nel contattare l'altro. Essere è l'identità della persona, la sua intima natura, ciò che si è; apparire è il mettersi in vista, avere l'apparenza, sembrare ma anche mostrarsi. Attraverso l'essere esprimiamo la nostra identità, un modo di vivere personale e necessario, la nostra unicità, il nostro contenuto, ma vivendo di relazioni anche l'apparire diventa una manifestazione necessaria. Viviamo quindi in una società in cui conta più l'apparire rispetto all'essere o meglio dove l'essere coincide con l'apparire?
La nostra è una società che fa riferimento ad immagini-idolo, una cultura fatta di modelli ed icone generati dal mondo della pubblicità, dello sport, dello spettacolo, della televisione, un mondo "preconfezionato" in cui esistono regole e format che ti inquadrano in un target o in un'altro. Perché, secondo voi, l'apparire è così importante in questa società? Perché è l'emblema di uno status, derivante da molta solitudine. Apparendo come o meglio di altri forse ci sentiamo meno soli, o credendosi migliori ci illudiamo e ci costruiamo una maschera in cui crediamo veramente. Ma alla fine la vita presenta il conto mettendoci in condizioni di riflettere e capire come effettivamente andrebbe vissuta.
Apparire significa mostrarsi agli altri e, dunque, essere accettati, ammessi, legittimati al bisogno d'amore. Così inizia quel lungo e doloroso percorso che conduce al travestimento per la recita di un copione. Inseriti in un determinato contesto, ci assegniamo una maschera, obbligandoci a muoverci secondo schemi ben definiti che accettiamo per convenienza senza avere mai il coraggio di rifiutarli, anche quando contrastano con la nostra natura. Sotto la maschera il nostro spirito freme, ma lo freniamo per non urtare contro i pregiudizi della società, o per la nostra tranquillità. Ma a volte capita che l'anima istintiva esploda facendo saltare ogni pudore o freno inibitorio. Allora la maschera si spezza e siamo come un violino stonato, come un attore che si mette a recitare sulla scena una parte del copione che non gli è stata assegnata.

I fenomeni, o meglio dire, le patologie legate ai disturbi alimentari sono legati anche a questo ambito. Spesso sono il campanello di allarme di un disagio legato al  " non sentirsi accettati". Potremmo definire tutto ciò come malattia sociale? Certamente si. L'uomo è un essere sociale, ha bisogno di essere accettato, amato e stimato, l'inversione di tendenza può essere attuata con il riscoprire tutto questo ed accettarlo. Chi ha tutto, ma non è, può perdere, in un solo istante, tutto ciò che ha. Chi è, ma non ha niente, può avere tutto ciò che vuole. Il vero potere dell'uomo è nell'essere non nell'apparire. Valgo perché sono, non perché appaio.
La via della guarigione inizia proprio da qui, dall'amore per se stessi e da una maggiore consapevolezza del proprio Se. Ricordiamoci sempre che nessuno può veramente amare qualcuno se prima di tutto non ama se stesso e permette di venir calpestato nella sua essenza, quella intima e vera che risiede nella propria anima.

 * Esperta in comunicazione, promozione e orientamento alla salute

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