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giovedì 29 agosto 2019

IL GRANDE VECCHIO E FRANCESCO LENOCI I tour in Italia d’un infaticabile promoter delle eccellenze pugliesi di Franco Presicci


MILANO - Il grande vecchio non è un vegliardo dal volto incartapecorito che nei paesi del Sud si sedeva su un muretto o sul basamento di una statua o su una panchina e regalava ai giovani scampoli della sua esperienza. E’ un ulivo secolare, saraceno, dalla sagoma barocca, superba, maestosa, con il tronco aggrovigliato e l’ampia chioma ad ombrello. Troneggia con altri 800 esemplari nella masseria Brancati di Ostuni, dove il professor Francesco Lenoci il 24 agosto ha tenuto una conferenza sul tema “Olio olio olio”.


Quel parlatore instancabile, che è appunto Lenoci - docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - che va scoprendo valori veri durante i suoi “tour” da un capo all’altro dello Stivale, così appassionato da trascorrere anche l’estate non al mare o in montagna, bensì saltando da un’architettura rurale a Matera, al Castello Aragonese; a Cellino San Marco, nella tenuta di Al Bano, a parlare di vino, di ceramica, di olio… Pochi giorni fa era nel complesso di via Sparta Cavalluzzo, di Silvia Caramia, a celebrare davanti a un pubblico interessato e attento anche quella sostanza che ogni giorno condisce e delizia i nostri piatti, appunto l’olio di oliva, ricorrendo, a volte, anche alla favola per chiarire un concetto o per dare al discorso un tocco di poesia.

Parla e dialoga con i presenti, fa loro domande, ottiene risposte corali. In una delle sue “lezioni” ha recitato il dialogo tra il giornalista Fabrizio Mangoni e una bottiglia di vetro trasparente su cui è evidenziato un ramo d’olivo: “Signora bottiglia, se le ricorda le olive?”. “Certo che le ricordo bene! Porto ancora nel cuore l’odore della campagna, il sole e il vento che muoveva i rami e ho ben presente mio nonno: l’ulivo forte e rispettato. Non posso dimenticare l’affetto di mia madre: l’oliva. Quante attenzioni per proteggerla, per difenderla fino a settembre, al momento della raccolta. Ricordo le lunghe braccia d’acciaio che scuotono i rami e mani ruvide stranamente delicate. Ho ancora nelle orecchie voci di donne e uomini che sono lì a realizzare speranze…”. Alla fine chiede alla bottiglia di rivelare la definizione che dà di sé il suo olio. “Sono sfuggente e cangiante… viaggio nel cuore degli uomini… raggiungo la loro mente… frequento i pensieri, vivo tra le emozioni. Pensi che di me parlò Omero. Non voglio apparire presuntuoso, ma con gli uomini io ho attraversato la storia”. Era infatti vivo e vegeto ai tempi di Gesù e ancora prima.

Il dialogo e la passione con cui Lenoci lo ha riproposto risvegliando ricordi di frantoi, centrifughe, profumi, il mondo contadino, le sue sofferenze, le sue fatiche, a volte commuove. Spesso si versa l’olio sulla minestra senza pensare al suo percorso fra la pianta e la tavola. Dalla masseria di Ostuni a Matera per lui il passo è stato breve. E nella capitale della cultura 2019 ha tenuto una delle sue conferenze più coinvolgenti sulle bellezze del luogo, sulla sua storia, sulle attività artigianali, sui Sassi, che poi abbiamo ritrovato nelle foto scattate da un maestro dell’obiettivo, un artista dell’immagine: Cataldo Albano, che le espone nella galleria meridionale del Castello Aragonese di Taranto. L’inaugurazione si è svolta il 26 agosto, poche ore dopo la notizia che la città dei due mari a Patrasso era stata scelta come sede dei Giochi del Mediterraneo del 2026.
  

L’appuntamento era per le 20, ma i primi invitati sono arrivati mezz’ora prima, assediando Lenoci con quesiti su questo e quell’argomento. C’era chi lo interrogava sui Giochi e chi gli chiedeva della sua imminente prolusione nella tenuta di Al Bano, il grande cantante pugliese che con la sua voce scatena le platee. Lui riferiva anche su quella del 23 giugno a Matera in quel meraviglioso ipogeo che risponde al nome di Lopa, dove ha anche citato quell’attrezzo munito di rampino che serviva a recuperare il secchio caduto nel pozzo (“a Martina ce n’erano tanti, in città e in campagna, e il ‘curcele’, la lopa, il rapino sempre a portata di mano). Non perde occasione per rispolverare anche i suoi ricordi: il pane che faceva in casa sua madre e i sacri riti che accompagnavano l’alimento sulla tavola.

Il ceramista Cosimo Vestita gli ha mostrato in anteprima un gallo in terracotta, un dono per l’ammiraglio Salvatore Vitiello, comandante della Marina Militare per il Sud Italia. Silvia Brambilla, titolare del Bed & Breakfast di via Sparta Cavalluzzo a Martina Franca, accennava ad alcuni amici l’intervento del docente nella sua proprietà il 2 agosto. Mentre Cataldo Albano schizzava di qua e di là per dare gli ultimi ritocchi all’allestimento, i posti si riempivano. “Momento, devo controllare il microfono”, diceva a chi tentava di bloccarlo per sollecitargli un’informazione. Qualcuno sfogliava l’elegante catalogo della mostra collocato su un tavolino e ne elencava le doti.

Ed ecco l’ammiraglio Vitiello nella sua divisa bianca attraversare la sala, avvicinarsi al microfono, salutare i convenuti. Tra lui e Cataldo Albano c’è stato uno scambio di doni (anche il gallo dai colori vivaci), sotto l’occhio magico della televisione. L’alto ufficiale ha preso quindi la parola, spiegando l’attività che si dipana nel maniero, elogiando l’artista e le sue opere. E’ toccato poi ad Albano, che ha descritto i suoi quattro giorni a Matera per riprendere chiese, case-grotta, vicoli, scalinate, scalpellini, mani impegnate in lavori in legno, di cartapesta, nella confezione di fischietti o nella lavorazione del pane, il famoso pane di Matera, al quale ha accennato anche Francesco Lenoci, in questa e in altre occasioni, a Laterza e ad Altamura.

Poi Cosimo Vestita ha esibito un vaso dal quale nell’antica Grecia si beveva il vino, ha elogiato anche lui i “quadri” esposti, che danno emozioni, coinvolgono l’osservatore, fanno vivere la città, la fanno subito amare. Albano ha colto i dettagli, puntato l’obiettivo su un campanile, su un agglomerato di case, su un monumento, su una stradina attraversata da una fanciulla in fiore con passo da modella, e lo ha fatto con grande slancio. Bisognerebbe vederlo al lavoro: esplora il contesto, si acquatta per catturare la luce giusta. Artista pellegrino, riesce a sorprendere ovunque angoli insospettati. E’, come Lenoci, un paladino della bellezza. Anche per lui la bellezza salverà il mondo. E’ soltanto una speranza? Allora organizziamo la speranza, come esorta il docente, che alla Cattolica insegna metodologie e determinazioni quantitative d’azienda nell’innovativo Corso di laurea Blended “Direzione e Consulenza Aziendale DECA, e viene definito “il miglior ambasciatore della Puglia a Milano”. A giudicare dal suo dinamismo, dai suoi viaggi, non soltanto nel capoluogo lombardo.
  
Matera è nel cuore di entrambi. La Matera in cui iniziò la sua carriera di professore di latino e greco Giovanni Pascoli, il 7 ottobre del 1882 e dove, nel vecchio carcere, con un’accusa infondata, dalla quale venne assolto con formula piena, trascorse un periodo di tempo Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e uomo politico (si ricordano “L’uva puttanella”, “E’ fatto giorno”, l’inchiesta sui contadini del Sud…). La Matera in cui furono girati tanti film: “La Lupa” di Alberto Lattuada, nel ’53; “La passione di Cristo”, di Mel Gibson, nel 2004; “Il Vangelo secondo Matteo”, di Pier Paolo Pasolini, nel ’64; “Volare come il vento”, di Matteo Rovere, nel 2016; nella vicina Craco, il paese disabitato per una frana, “Cristo si è fermato ad Eboli,” di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté… E la Matera dei poeti: per Angela Aniello Materia è “divina, ridono i Sassi come voci stanche di contadini/ sublime bellezza il malinconico profilo dei sensuali abbracci in un presepe di cuori, vissuti, sentiti…”.
  
Quando è venuto il suo turno Mariella Cuoccio, di Bitonto, in provincia di Bari, ha letto pagine di Carlo Levi, che a Matera scontò il confino e ha citato Guido Piovene che nel suo “Viaggio in Italia” si è soffermato anche su questa splendida città. Ha quindi recitato alcuni suoi versi: “Sola nel mio cuore/ mi interrogo, mi accarezzo/ piango, sorrido/ solo alla fine capisco che ho Matera ‘dentro’”. Peccato che lo spazio c’impedisca di ricordare gli altri poeti che alla città della cultura si sono ispirati.

La serata si è conclusa con un assaggio di Aglianico del Vulture e fette di pane di Matera con gocce d’olio. Il pubblico sembrava non avere voglia di rientrare a casa. Ha dato un altro sguardo alle foto di Cataldo Albano e alla piazza d’armi del Castello. Fuori, la facciata del municipio era tutta illuminata, una fila di gente percorreva la ringhiera affacciata sul Mar Grande, che accoglieva balli di stelle palpitanti. Il dottor Enzo Rocca, vicedirettore del Credito Valtellinese, che prima del “vernissage” aveva fatto un giro per il borgo vecchio, puntando l’obiettivo della sua macchina fotografica sul Mar Piccolo e i pescherecci che lì sono all’ormeggio, ha invitato sulla propria auto Lenoci, già pronto per Verona e Milano, dove quest’evento verrà replicato.  Noi siamo rimasti ad osservare la ringhiera e il bus, i cui fanali sembravano occhi che perforavano il buio. E pensavano alla poesia di Sante Ancona, appena letta da Lenoci: “E’ bello ritornare laddove siamo nati/ … bello portare in patria/ un seme che germogli e si moltiplichi… “. Bella Taranto, “capitale del mare… quelle onde se le cuce addosso”.

giovedì 6 aprile 2017

I 90 ANNI DI FRANCO CHIECO a cura di Franco Presicci




Con una bella e affollata cerimonia il 23 marzo, nella sala conferenze dell’Ordine dei Giornalisti, in Strada Palazzo di Città, a Bari, è stata consegnata a Franco Chieco una targa di riconoscimento alla carriera, in occasione dei suoi 90 anni. L’evento è stato voluto e messo a punto dalla Fondazione “Paolo Grassi” di Martina Franca e dal Festival della Valle d’Itria, di cui Chieco, critico musicale notissimo e apprezzato non soltanto nella città di San Nicola, ma anche nel resto dello Stivale e oltre, ha scritto sempre, puntualmente e con passione, contribuendo alla sua crescita, al suo prestigio e alla sua diffusione nel mondo. Martina, generosa e di lunga memoria, lo ha ringraziato.
   Non ho il piacere di conoscere personalmente questo eminente protagonista della cultura e del giornalismo pugliese, ma ne ho spesso sentito parlare dall’indimenticabile pittore Filippo Alto (ha dipinto la  Puglia con un’alchimia cromatica festosa), che per un tragico incidente stradale in cui, nel ’92, rimase vittima nei pressi di Ancona, non potè allestire una serata in onore del critico concittadino nell’ampio cortile della propria casa di Figazzano, collocata nella splendida campagna tra Martina e Locorotondo, dopo Sisto, come aveva fatto per il milanese Raffaele De Grada, critico e storico dell’arte. Me ne parlò il poeta, scrittore, giornalista, sceneggiatore radiofonico, commediografo Vito Maurogiovanni, che una mattina, ospite di Filippo, esaudendo un mio desiderio, mi fece dono di una copia dattiloscritta di un suo saggio su Tommaso Fiore, vincitore nel ’52 del Premio Viareggio con “Un popolo di formiche”. E me ne parlarono Mario Azzella, giornalista e documentarista della Rai; e Antonio Rossano, autore di tanti brillanti servizi sul Festival per la stessa antenna e di “Miracolo a Martina” e “O cambiamo protettore o rubiamo San Nicola”, dove se la prendeva con il Vescovo di Myra, accusandolo di non fare niente per la città che lo aveva come patrono (“Bari è adespota, senza padrini…”), pur avendo ispirato la figura di Santa Claus.
  Franco Chieco, al quale ho telefonato il giorno prima della manifestazione, è nato a Bari nel ’26, e svolge l’attività di giornalista da settant’anni. Durante il suo lavoro ha tra l’altro allevato molti giovani aspiranti, che possono ritenersi fortunati, visto che al giorno d’oggi nessun veterano ha  voglia di imitare Chieco, firma nobile e già redattore capo centrale, severo e scrupoloso, de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, e critico musicale autorevole dal ‘59. Ha anche ricoperto incarichi prestigiosi: presidente dell’Associazione della Stampa di Puglia e Lucania; esponente consultato e ascoltato della Federazione nazionale della Stampa; dell’Ordine dei giornalisti; dell’Inpgi (il nostro ente di previdenza), della Casagit (preposta all’assistenza sanitaria)… Ha dato vita, nel ’95, al mensile di cultura, costume, spettacolo “Contrappunti”; è stato tra i fondatori e poi segretario dell’Associazione nazionale critici musicali; e presidente della giuria del Premio “Franco Abbiati” – sorto nel grembo dello stesso sodalizio - assegnato per sette volte alla rassegna martinese, premiando innanzitutto le scelte del direttore artistico Alberto Triola. Inoltre, alla bibliomediateca della Fondazione “Paolo Grassi” di Martina Franca ha donato oltre mille volumi di opera e musica classica di grande interesse.
   Intenso il suo impegno anche nel sindacato. Mi dicono che, discutendo con i colleghi della difesa dei diritti della categoria, a volte addirittura si emozionava, soprattutto quando evocava le notti trascorse nelle trattative per un contratto dal parto difficile o nel tentativo di curare il malessere di una testata. E oggi, che ha vinto la tappa dei 90 anni, e si mostra deciso a lasciare il campo in cui è stato infaticabile e appassionato, continua ad essere interessato a quanto avviene nell’agòne dell’informazione, rincuorando così gli estimatori, che lo vorrebbero sempre sulla plancia.
   Franco Chieco, persona dotata tra l’altro di una garbata, divertita ironia, è anche l’enciclopedia ambulante del giornalismo barese; e un punto di riferimento non soltanto per i vivai della professione, che è cambiata e diventata più difficile da praticare. E’ amato e stimato. Il 20 febbraio del 2007 fu acclamato da un numeroso pubblico nella sede della Pinacoteca Provinciale di Bari, dove la locale Fondazione lirico-sinfonica  Petruzzelli e teatri allestì un incontro con lui, intitolandolo “Percorso di una carriera al servizio della musica: Franco Chieco”. Il 15 dicembre dell’anno scorso, nella cattedrale di Bari, il circolo “Vito Mastrogiovanni” gli ha assegnato il Premio “Testimone di verità”. Sono soltanto alcuni dei tributi da lui ricevuti.
   Insomma, Franco Chieco, socialista e credente convinto, è una colonna, un pilastro. Molto considerato anche dai mostri sacri della musica. Commentando la cerimonia svoltasi a Bari il 23 marzo, Amerigo De Peppo ha riferito un episodio che la dice lunga. Trovandosi in ascensore nell’Hotel Vesuvio di Napoli con Riccardo Muti (tra l’altro direttore principale dell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano dal 1986 al 2005), cercò di avviare una conversazione, ma il maestro  appariva stanco e schivo. De Peppo riuscì nell’intento usando come chiave il nome di Franco Chieco; “e Muti mi chiese notizie del critico, mandandogli i saluti”. 

   Chieco ha anche pubblicato importanti volumi: “Contrappunti-diario musicale pugliese ” nel ‘71, editrice Adriatica; “Di quella pira”, nell’84, Laterza; “Il fu teatro Petruzzelli”, nel 2002, Adriatica.
   E’ stato Franco Punzi, entusiasta, dinamico presidente del Festival della Valle d’Itria, relatore alla cerimonia del 23 marzo a Bari, a farmi sapere, nel corso di una delle nostre telefonate, del riconoscimento a Franco Chieco, chiedendomi di scrivere un pezzo. Data l’altezza del personaggio, l’ho scritto subito e volentieri.
   Intanto critici, melomani, cantanti, orchestrali, studiosi, giornalisti attendono come ogni anno la presentazione del programma dell’edizione 2017 del Festival al Piccolo Teatro di via Rovello a Milano, prevista secondo Punzi per la prima metà di maggio. Farà gli onori di casa Sergio Escobar, direttore del teatro, ammiratore di Martina, della sua rassegna musicale e di quelli che fanno di tutto per non tradire le aspettative, facendo lievitare i successi, la fama e i simpatizzanti.
   Il Valle d’Itria, sbocciato nel 1975 e giunto felicemente alla 43.ma edizione, si aprirà il 14 luglio con l’”Orlando furioso” di Vivaldi e si concluderà il 4 agosto con “Margherita d’Anjou” di Meyerbeer. Un cartellone ancora una volta molto nutrito, con opere mai rappresentate nel nostro tempo, che il direttore artistico Alberto Triola e il direttore musicale Fabio Luisi hanno voluto dedicare alla memoria del maestro Rodolfo Celletti, che tutti gli anni viene ricordato a Milano da Franco Punzi, quando accenna alle novità, sempre interessanti, di questo Festiva, che è anche trampolino di lancio e scuola per giovani di talento; annuncia le presenze prenotate da ogni parte del mondo; e invita a venire in Valle d’Itria, che Giuseppe Giacovazzo definì terra benedetta.
   Arrivederci dunque nella città del belcanto, del sole, dei trulli dai simboli misteriosi, delle viti inginocchiate, care al poeta tarantino Raffaele Carrieri; dell’ulivo, del fico, albero per i Greci sacro a Dioniso; e delle case bianco latte; dei balconi spanciati che facevano camminare il regista, scenografo e costumista Pierluigi Pizzi con il naso all’insù.
   Franco Chieco vorrà sicuramente cambiare idea e continuare a contemplare il paesaggio irripetibile, incantevole, luminoso di Martina, senza trascurare il suo lavoro di critico prezioso e intransigente. Ce lo auguriamo tutti.

                                                                                            Franco Presicci