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giovedì 5 settembre 2019

LA DEMOCRAZIA LIBERALE E IL FANTASMA DI ROUSSEAU di Giuseppe Lalli



In Italia c’è un movimento politico che ha riportato in auge Jean-Jacques Rousseau (1712-1778). ‘Rousseau’ è il nome di una piattaforma virtuale attraverso la quale i militanti di questo movimento si esprimono su questo o quel tema politico o propongono l’approvazione di una determinata legge. Sono i propugnatori di forme sempre più accentuate di democrazia diretta. Il filosofo ginevrino proponeva infatti, tra l’altro, forme di democrazia diretta che scavalcassero la rappresentanza politica mediata dalle assemblee parlamentari. Forse pensava alla prassi politica vigente nelle antiche città-stato greche. Un esempio per tutte: l’Atene di Socrate e di Pericle.

Ma – ci si chiede – è realistica oggi una siffatta prassi politica? Sarebbe mai possibile governare le nostre società complesse e composte da milioni di persone con forme di democrazia diretta, ancorché lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa abbia trasformato il mondo in un villaggio globale? E quand’anche fosse tecnicamente possibile, sarebbe politicamente auspicabile? Giova rammentare che la differenza tra «la libertà presso gli antichi», come si esprimeva Benjamin Constant (1767-1830) pensando all’Atene di Pericle, e «la libertà presso i moderni» è di tipo qualitativo, cioè sostanziale.

La moderna democrazia liberale, che è da considerare una irrinunciabile conquista dello spirito umano e non una forma transuente legata ad un determinato periodo storico, prevede necessariamente la rappresentanza politica mediata da istituzioni, ancorché elettive sulla base di una libera competizione tra una pluralità di soggetti politici, giacché, con buona pace di Rousseau e dei suoi remoti discepoli, il governo delle complesse società moderne richiede un personale specializzato e competenze particolari. Rispetto e decisioni articolate su materie complesse, come ci si può illudere di pronunciarsi con un semplice ‘sì’ o con un semplice ‘no’?

È pur vero che la nostra Costituzione prevede una forma di democrazia diretta quale il referendum abrogativo, ma gli conferisce una funzione integrativa e marginale, limitando le materie che ne possono essere oggetto, e subordinando la validità del pronunciamento popolare ad un giudizio preventivo della Corte Costituzionale e a una soglia di partecipazione minima degli aventi diritto. Insomma: la moderna democrazia liberale, vale a dire la migliore forma di governo che si conosca, o è democrazia mediata, o, semplicemente, non è. Le derive plebiscitarie precedono o sanciscono le svolte illiberali.

C’è poi da aggiungere che la democrazia liberale, per poter funzionare bene, ha bisogno che, accanto alle istituzioni giuridiche, agisca in via permanente una sorta di camera di decompressione delle passioni, a formare una cittadinanza cosciente e informata, affinché gli elettori non si lascino incantare dalle ricorrenti sirene del populismo e della demagogia. Siffatta camera di decompressione delle passioni non può essere, evidentemente, un organo costituzionale. Deve essere il risultato di una continua opera di educazione i cui soggetti non possono che essere la scuola, la famiglia, la chiesa, gli intellettuali, una stampa e una televisione responsabili, che formino e non deformino. Al maturo esercizio della democrazia non ci sono scorciatoie, non ci sono piattaforme virtuali che tengano.

La democrazia liberale implica partecipazione matura dei cittadini alla cosa pubblica, una partecipazione delle menti prima ancora che dei cuori che non si può esaurire nel pigiare un tastino. La sovranità, poi, come sancisce la nostra Costituzione, ancorché appartenga al popolo, la si esercita nelle forme stabilite dalla Costituzione stessa. Per il resto, mi sento di dire che Jean-Jacques Rousseau, che molti citano e pochi hanno veramente letto, è un cattivo maestro, padre intellettuale di tanti errori commessi nel Novecento. Molta della fortuna che ha trovato presso i posteri è da ascrivere al fatto che i suoi scritti, in un momento storico propizio, fecero vibrare corde assai sensibili, ma non profonde, dell’animo umano. Sul suo pensiero, Deo adiuvante, conto di scrivere in un prossimo futuro un articolato ed argomentato saggio, per quel poco che potrà contare.

giovedì 29 agosto 2019

LA PERDONANZA CELESTINIANA, IL PRIMO GIUBILEO DELLA CRISTIANITA’ di Goffredo Palmerini



Compie 725 anni la Perdonanza Celestiniana, il primo giubileo della storia della cristianità, concesso da Papa Celestino V giusto un mese dopo la sua incoronazione all’Aquila, avvenuta il 29 agosto 1294. Una vera rivoluzione: l’indulgenza plenaria gratuita per chiunque, sinceramente pentito e confessato, ogni anno avesse varcato la soglia della Basilica di Santa Maria di Collemaggio, dai vespri del 28 a quelli del 29 agosto. Da allora, secondo la Bolla papale che la istituì, il cui originale è conservato dalla Municipalità e custodito, fino al 6 aprile 2009, nella cappella blindata della torre civica – dove tornerà dopo gli accurati restauri dai danni inferti dal terremoto –, si vive questo speciale giubileo di un giorno, culmine d’una settimana di grandi eventi religiosi, artistici e culturali e d’un suggestivo Corteo dal Municipio alla Basilica di Collemaggio. Quest’anno sarà S. Em. Giuseppe Bertello il Cardinale incaricato da Papa Francesco ad aprire la Porta Santa, l’unica fuori Roma, battendovi tre colpi con il bastone d’ulivo del Getsemani…

Il vegliardo monaco, Pietro Angelerio, arrivò all’Aquila il 27 luglio 1294 dall’eremo sul monte Morrone. Un asino la sua cavalcatura, come Gesù entrando a Gerusalemme. Lo accompagnava un lungo corteo festante: due sovrani, Carlo II d’Angiò e suo figlio Carlo Martello, re d’Ungheria, alti prelati e dignitari, e tanta popolo che man mano si era aggiunto, durante il viaggio che da Sulmona lungo la Valle Subequana lo conduceva all’Aquila. Dal 5 luglio l’umile religioso era stato eletto al soglio pontificio, dopo 27 mesi di conclave a Perugia. Pietro del Morrone sarebbe dunque diventato Papa Celestino V. Giungeva finalmente all’Aquila, la città che tanto amava e dove, di ritorno da Lione, egli aveva fatto edificare la splendida abbazia gotica di Santa Maria di Collemaggio. Aveva scelto L’Aquila, malgrado i cardinali secondo prassi lo esortassero a raggiungere Perugia, per la solenne incoronazione, fissata al 29 agosto, festività di San Giovanni Battista.
La sua elezione era stata salutata da grande entusiasmo, interpretata come un segno profetico per la Chiesa da coloro che attendevano la venuta d’un Pastore angelico. Era stata infatti profetizzata una nuova era per restituire all’umanità tormentata di quel secolo una spiritualità nuova e per redimerla dalla decadenza e dal disordine. La Chiesa si sarebbe finalmente liberata dei vincoli con il potere terreno, come avevano predicato l’abate calabrese Gioacchino da Fiore nella seconda metà del XII secolo, e qualche anno dopo Francesco d’Assisi, scegliendo la povertà. Il carisma del nuovo Pontefice, l’aura di santità che lo accompagnava, il prestigio morale che gli aveva permesso di fondare e far riconoscere l’ordine dei Celestini, secondo la regola benedettina, sembravano proprio i segni dell’avverarsi di quella profezia. I suoi monaci dall’Abruzzo s’erano diffusi in Molise, Puglia e Campania. Edificavano monasteri, eremi su aspre montagne e grandi abbazie. Erano solleciti verso poveri e bisognosi, con una perfetta organizzazione sul territorio che ricordava i Cistercensi dei secoli addietro.
Al tramonto, dunque, il Papa giunse all’Aquila. Da Sulmona, lungo il percorso, era stata un tripudio d’entusiasmo. Il popolo l’amava. Si era arrivati nella “città nuova”, fondata nel 1254 anche per volere degli Svevi, come certifica il decreto emesso da re Corrado IV, figlio dell’imperatore di Federico II. La città, sul colle, era veramente bella. L’Aquila era nata non a caso, ma per un preciso ed armonico progetto, ad opera dei castelli confederati, 99 secondo la tradizione, una settantina in verità. Ciascuno di essi, in una gara d’ingegno e di perizia costruttiva, in base al piano della città aveva edificato il proprio quartiere, con chiesa piazza e fontana, di splendide architetture. I legami con i villaggi d’origine erano saldi e vitali, i cittadini dentro le superbe mura e quelli restati nei castelli d’origine vantavano eguali diritti civili nella nuova città-territorio. E tuttavia i primi quarant’anni dell’Aquila non erano stati semplici, persistevano fazioni e dispute intestine, talvolta con esiti cruenti, il governo civico spesso aveva fatto ricorso agli abati Celestini.
Eppure la città, ricostruita dopo la distruzione operata nel 1259 da Manfredi, era cresciuta presto e bene. In quei giorni che precedettero l’investitura pontificia, Celestino avviava il suo straordinario papato riportando pace tra le parti in lotta, ottenendo da Re Carlo privilegi e clemenza per gli Aquilani. La cerimonia d’incoronazione, in quel 29 di agosto, fu un evento memorabile, come raccontano le cronache dell’epoca. Sulla spianata antistante la Basilica un’immensa folla di duecentomila pellegrini, giunti d’ogni dove, assisteva al rito. Tra loro anche Dante Alighieri, secondo qualche cronaca. Il vecchio Papa apriva subito orizzonti nuovi alla Chiesa. Richiamava il popolo di Dio al dovere del perdono e della riconciliazione. Invocava pace per ogni uomo e per l’umanità. Ammonizione che egli non lasciava all’inerzia delle parole, ma che aveva applicato alla concretezza dei suoi primi atti dal soglio pontificio, iniziando il suo papato con gesti esemplari e profetici per quel tempo che richiamavano la misericordia, il perdono e la pace.
Ancor più, il 29 settembre, un mese dopo aver assunto la tiara, Papa Celestino stupiva emanando la Bolla con la quale concedeva ai sinceramente pentiti che visitavano Collemaggio nella festività della Perdonanza, dai Vespri del 28 agosto a quelli del 29, l’indulgenza plenaria ed universale, gratuita e senza distinzioni. Un grande privilegio per la città dell’Aquila e per il suo Primo Magistrato (il sindaco dell’epoca) che della Bolla ricevette l’originale, custodito gelosamente per sette secoli, fino ad oggi. Il 13 dicembre 1294, a Napoli, aveva termine quello straordinario pontificato, con la volontaria rinuncia alla tiara e le dimissioni dal papato di Celestino V. Anch’esso gesto profetico d’umiltà, unico nella storia della Chiesa, fin quando Benedetto XVI non l’ha ripetuto nel febbraio 2013. Pochi giorni dopo, la vigilia di Natale, i porporati in conclave eleggevano papa il cardinale Caetani con il nome di Bonifacio VIII. I primi atti furono rivolti a cancellare ogni disposizione del papato celestiniano. A cominciare dalla Perdonanza. E quantunque Bonifacio ogni mezzo di pressione e di persuasione mise in essere per ottenere la restituzione del documento onde consentirne l’annullamento, mai ebbe indietro la Bolla custodita dal governo civico.
Ripreso il nome Pietro e le umili vesti del monaco, dopo qualche mese Celestino veniva rinchiuso nella fortezza di Fumone, poiché Bonifacio e temeva il carisma la sua grande aura di santità che lo accompagnava. In quella dura prigione il 19 maggio 1296 Pietro Celestino transitò a miglior vita, nella diffusa convinzione della sua santità che, difatti, Clemente V proclamò nel 1313, con il processo di canonizzazione. Proprio Bonifacio, cui non era riuscito sopprimere l’annuale Perdonanza celestiniana, nel 1300 ne copiava il senso, istituendo per la basilica di San Pietro in Roma il Grande Giubileo d’un anno ogni mezzo secolo, poi modificato nell’attuale cadenza venticinquennale.
Da Collemaggio, dove San Pietro Celestino riposa nello stupendo mausoleo scultoreo di Girolamo da Vicenza – fatto anch’esso singolare, un papa sepolto fuori la basilica vaticana – ogni anno l’universale messaggio celestiniano di pace e di perdono si rinnova. Da secoli migliaia di fedeli e pellegrini raggiungono L’Aquila da tutto il mondo per beneficiare, dal tramonto del 28 alla sera del 29 agosto, dell’indulgenza plenaria. Secondo la storica tradizione della festività, sancita negli antichi Statuti della città, anche oggi la Perdonanza è indetta dall’autorità civica e preparata da una settimana di grandi eventi, che culminano nel Corteo della Bolla del 28 agosto e nell’apertura della Porta Santa. La suggestiva sfilata dal Palazzo civico, con gli antichi i costumi, accompagna la Bolla che viene traslata a Collemaggio. Lì, accanto al torrione della basilica, secondo il rituale il Sindaco della città ne dà lettura, quindi il Cardinale delegato dal Papa può iniziare il rito di apertura della Porta Santa e il solenne pontificale che avvia il giubileo aquilano.
La sera del 29 agosto, richiusa la Porta Santa, il Corteo riconduce la Bolla in Municipio, dove viene riposta nel suo forziere nella cappella della Torre civica, fino all’anno successivo. Uno speciale messaggio di pace, nel 725° anno della Perdonanza, s’eleverà da Collemaggio e commuoverà la Città che quest’anno commemora il decennale del terremoto. La Perdonanza è patrimonio rilevante della storia civile e spirituale dell’Aquila, ma è ancor più patrimonio universale per i valori che richiama. Si attende con fiducia che l’Unesco riconosca quest’anno l’antico Giubileo aquilano quale Patrimonio immateriale dell’Umanità, per il quale riconoscimento la Perdonanza è candidata.
S’eleverà ancora una volta dalla Basilica di Collemaggio il forte appello alla tolleranza, alla riconciliazione ed al perdono, per un’umanità sfibrata dal terrorismo e dalla guerra. Ma anche un richiamo alle potenze del mondo perché operino davvero per far tacere le armi e i conflitti di varia natura che lacerano il mondo. Sia pace vera e duratura per tutti i popoli, ma soprattutto per quei martoriati popoli del Medio Oriente, terra dove le tre religioni che hanno lo stesso Dio – ebraismo, cristianesimo ed islamismo – sono nate. San Pietro Celestino è profeta di pace anche nel nostro tempo, con il messaggio universale della sua Perdonanza.
L’Arcivescovo dell’Aquila, Card. Giuseppe Petrocchi, l’ha richiamato nel suo messaggio di preparazione alla Perdonanza: “[…] E’ risuonata forte, durante il Giubileo della Misericordia, l’esortazione e, al tempo stesso, l’ammonizione che Papa Francesco ha pronunziato ad alta voce, davanti a tutto il Popolo di Dio: «È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza» (MV, n. 11). Proprio noi che ci accostiamo al giubileo aquilano, allora, dobbiamo rendere transitabili le “vie” della tolleranza, della comprensione, dell’aiuto reciproco […]”.
Questo è il vero ed autentico magistero celestiniano. Al quale fanno da contorno straordinarie iniziative culturali e artistiche, contemplate in un ricco cartellone di eventi di forte richiamo, sotto la direzione artistica del M° Leonardo De Amicis. Anche quest’anno grandi artisti internazionali stanno rendendo testimonianza del loro amore per L’Aquila, città che sta rinascendo dalle rovine del terremoto. Con l’antica tenacia, con fiducia e con speranza nel futuro.

IL GRANDE VECCHIO E FRANCESCO LENOCI I tour in Italia d’un infaticabile promoter delle eccellenze pugliesi di Franco Presicci


MILANO - Il grande vecchio non è un vegliardo dal volto incartapecorito che nei paesi del Sud si sedeva su un muretto o sul basamento di una statua o su una panchina e regalava ai giovani scampoli della sua esperienza. E’ un ulivo secolare, saraceno, dalla sagoma barocca, superba, maestosa, con il tronco aggrovigliato e l’ampia chioma ad ombrello. Troneggia con altri 800 esemplari nella masseria Brancati di Ostuni, dove il professor Francesco Lenoci il 24 agosto ha tenuto una conferenza sul tema “Olio olio olio”.


Quel parlatore instancabile, che è appunto Lenoci - docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - che va scoprendo valori veri durante i suoi “tour” da un capo all’altro dello Stivale, così appassionato da trascorrere anche l’estate non al mare o in montagna, bensì saltando da un’architettura rurale a Matera, al Castello Aragonese; a Cellino San Marco, nella tenuta di Al Bano, a parlare di vino, di ceramica, di olio… Pochi giorni fa era nel complesso di via Sparta Cavalluzzo, di Silvia Caramia, a celebrare davanti a un pubblico interessato e attento anche quella sostanza che ogni giorno condisce e delizia i nostri piatti, appunto l’olio di oliva, ricorrendo, a volte, anche alla favola per chiarire un concetto o per dare al discorso un tocco di poesia.

Parla e dialoga con i presenti, fa loro domande, ottiene risposte corali. In una delle sue “lezioni” ha recitato il dialogo tra il giornalista Fabrizio Mangoni e una bottiglia di vetro trasparente su cui è evidenziato un ramo d’olivo: “Signora bottiglia, se le ricorda le olive?”. “Certo che le ricordo bene! Porto ancora nel cuore l’odore della campagna, il sole e il vento che muoveva i rami e ho ben presente mio nonno: l’ulivo forte e rispettato. Non posso dimenticare l’affetto di mia madre: l’oliva. Quante attenzioni per proteggerla, per difenderla fino a settembre, al momento della raccolta. Ricordo le lunghe braccia d’acciaio che scuotono i rami e mani ruvide stranamente delicate. Ho ancora nelle orecchie voci di donne e uomini che sono lì a realizzare speranze…”. Alla fine chiede alla bottiglia di rivelare la definizione che dà di sé il suo olio. “Sono sfuggente e cangiante… viaggio nel cuore degli uomini… raggiungo la loro mente… frequento i pensieri, vivo tra le emozioni. Pensi che di me parlò Omero. Non voglio apparire presuntuoso, ma con gli uomini io ho attraversato la storia”. Era infatti vivo e vegeto ai tempi di Gesù e ancora prima.

Il dialogo e la passione con cui Lenoci lo ha riproposto risvegliando ricordi di frantoi, centrifughe, profumi, il mondo contadino, le sue sofferenze, le sue fatiche, a volte commuove. Spesso si versa l’olio sulla minestra senza pensare al suo percorso fra la pianta e la tavola. Dalla masseria di Ostuni a Matera per lui il passo è stato breve. E nella capitale della cultura 2019 ha tenuto una delle sue conferenze più coinvolgenti sulle bellezze del luogo, sulla sua storia, sulle attività artigianali, sui Sassi, che poi abbiamo ritrovato nelle foto scattate da un maestro dell’obiettivo, un artista dell’immagine: Cataldo Albano, che le espone nella galleria meridionale del Castello Aragonese di Taranto. L’inaugurazione si è svolta il 26 agosto, poche ore dopo la notizia che la città dei due mari a Patrasso era stata scelta come sede dei Giochi del Mediterraneo del 2026.
  

L’appuntamento era per le 20, ma i primi invitati sono arrivati mezz’ora prima, assediando Lenoci con quesiti su questo e quell’argomento. C’era chi lo interrogava sui Giochi e chi gli chiedeva della sua imminente prolusione nella tenuta di Al Bano, il grande cantante pugliese che con la sua voce scatena le platee. Lui riferiva anche su quella del 23 giugno a Matera in quel meraviglioso ipogeo che risponde al nome di Lopa, dove ha anche citato quell’attrezzo munito di rampino che serviva a recuperare il secchio caduto nel pozzo (“a Martina ce n’erano tanti, in città e in campagna, e il ‘curcele’, la lopa, il rapino sempre a portata di mano). Non perde occasione per rispolverare anche i suoi ricordi: il pane che faceva in casa sua madre e i sacri riti che accompagnavano l’alimento sulla tavola.

Il ceramista Cosimo Vestita gli ha mostrato in anteprima un gallo in terracotta, un dono per l’ammiraglio Salvatore Vitiello, comandante della Marina Militare per il Sud Italia. Silvia Brambilla, titolare del Bed & Breakfast di via Sparta Cavalluzzo a Martina Franca, accennava ad alcuni amici l’intervento del docente nella sua proprietà il 2 agosto. Mentre Cataldo Albano schizzava di qua e di là per dare gli ultimi ritocchi all’allestimento, i posti si riempivano. “Momento, devo controllare il microfono”, diceva a chi tentava di bloccarlo per sollecitargli un’informazione. Qualcuno sfogliava l’elegante catalogo della mostra collocato su un tavolino e ne elencava le doti.

Ed ecco l’ammiraglio Vitiello nella sua divisa bianca attraversare la sala, avvicinarsi al microfono, salutare i convenuti. Tra lui e Cataldo Albano c’è stato uno scambio di doni (anche il gallo dai colori vivaci), sotto l’occhio magico della televisione. L’alto ufficiale ha preso quindi la parola, spiegando l’attività che si dipana nel maniero, elogiando l’artista e le sue opere. E’ toccato poi ad Albano, che ha descritto i suoi quattro giorni a Matera per riprendere chiese, case-grotta, vicoli, scalinate, scalpellini, mani impegnate in lavori in legno, di cartapesta, nella confezione di fischietti o nella lavorazione del pane, il famoso pane di Matera, al quale ha accennato anche Francesco Lenoci, in questa e in altre occasioni, a Laterza e ad Altamura.

Poi Cosimo Vestita ha esibito un vaso dal quale nell’antica Grecia si beveva il vino, ha elogiato anche lui i “quadri” esposti, che danno emozioni, coinvolgono l’osservatore, fanno vivere la città, la fanno subito amare. Albano ha colto i dettagli, puntato l’obiettivo su un campanile, su un agglomerato di case, su un monumento, su una stradina attraversata da una fanciulla in fiore con passo da modella, e lo ha fatto con grande slancio. Bisognerebbe vederlo al lavoro: esplora il contesto, si acquatta per catturare la luce giusta. Artista pellegrino, riesce a sorprendere ovunque angoli insospettati. E’, come Lenoci, un paladino della bellezza. Anche per lui la bellezza salverà il mondo. E’ soltanto una speranza? Allora organizziamo la speranza, come esorta il docente, che alla Cattolica insegna metodologie e determinazioni quantitative d’azienda nell’innovativo Corso di laurea Blended “Direzione e Consulenza Aziendale DECA, e viene definito “il miglior ambasciatore della Puglia a Milano”. A giudicare dal suo dinamismo, dai suoi viaggi, non soltanto nel capoluogo lombardo.
  
Matera è nel cuore di entrambi. La Matera in cui iniziò la sua carriera di professore di latino e greco Giovanni Pascoli, il 7 ottobre del 1882 e dove, nel vecchio carcere, con un’accusa infondata, dalla quale venne assolto con formula piena, trascorse un periodo di tempo Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e uomo politico (si ricordano “L’uva puttanella”, “E’ fatto giorno”, l’inchiesta sui contadini del Sud…). La Matera in cui furono girati tanti film: “La Lupa” di Alberto Lattuada, nel ’53; “La passione di Cristo”, di Mel Gibson, nel 2004; “Il Vangelo secondo Matteo”, di Pier Paolo Pasolini, nel ’64; “Volare come il vento”, di Matteo Rovere, nel 2016; nella vicina Craco, il paese disabitato per una frana, “Cristo si è fermato ad Eboli,” di Francesco Rosi con Gian Maria Volonté… E la Matera dei poeti: per Angela Aniello Materia è “divina, ridono i Sassi come voci stanche di contadini/ sublime bellezza il malinconico profilo dei sensuali abbracci in un presepe di cuori, vissuti, sentiti…”.
  
Quando è venuto il suo turno Mariella Cuoccio, di Bitonto, in provincia di Bari, ha letto pagine di Carlo Levi, che a Matera scontò il confino e ha citato Guido Piovene che nel suo “Viaggio in Italia” si è soffermato anche su questa splendida città. Ha quindi recitato alcuni suoi versi: “Sola nel mio cuore/ mi interrogo, mi accarezzo/ piango, sorrido/ solo alla fine capisco che ho Matera ‘dentro’”. Peccato che lo spazio c’impedisca di ricordare gli altri poeti che alla città della cultura si sono ispirati.

La serata si è conclusa con un assaggio di Aglianico del Vulture e fette di pane di Matera con gocce d’olio. Il pubblico sembrava non avere voglia di rientrare a casa. Ha dato un altro sguardo alle foto di Cataldo Albano e alla piazza d’armi del Castello. Fuori, la facciata del municipio era tutta illuminata, una fila di gente percorreva la ringhiera affacciata sul Mar Grande, che accoglieva balli di stelle palpitanti. Il dottor Enzo Rocca, vicedirettore del Credito Valtellinese, che prima del “vernissage” aveva fatto un giro per il borgo vecchio, puntando l’obiettivo della sua macchina fotografica sul Mar Piccolo e i pescherecci che lì sono all’ormeggio, ha invitato sulla propria auto Lenoci, già pronto per Verona e Milano, dove quest’evento verrà replicato.  Noi siamo rimasti ad osservare la ringhiera e il bus, i cui fanali sembravano occhi che perforavano il buio. E pensavano alla poesia di Sante Ancona, appena letta da Lenoci: “E’ bello ritornare laddove siamo nati/ … bello portare in patria/ un seme che germogli e si moltiplichi… “. Bella Taranto, “capitale del mare… quelle onde se le cuce addosso”.

venerdì 16 agosto 2019

UNA STORIA DEGLI UOMINI SCRITTA DA UOMINI La Bibbia riscavata dagli archeologi ebrei di Mario Setta



La celebre frase di Galilei “La Bibbia insegna come si vada in cielo e non come vada il cielo” non vale solo per la Fisica, ma per ogni scienza o per qualsiasi teoria che voglia presentarsi tale. Anche per la storia, che da sempre cerca di avvalersi del metodo scientifico. È chiaro che la storia è prima di tutto la presentazione esatta dei fatti. E tale esattezza è “un dovere dello storico”, sottolineava Edward Carr. Ma se fino ad oggi la storia non è riuscita a stare al passo col metodo scientifico, a maggior ragione non si può pretenderlo dalle opere di tremila anni fa. È quanto cercano di fare due storici e archeologi ebrei che hanno analizzato i testi biblici con i metodi scientifici di oggi. Si tratta di Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman, due storici e archeologi ebrei, che espongono i risultati delle loro ricerche nel libro “Le tracce di Mosè, la Bibbia tra mito e storia”.

Il giudizio sulla Bibbia come “capolavoro letterario della civiltà mondiale” è il leit-motiv ricorrente, che sembra collocarsi come ipotesi e verifica di tutta l’indagine. Prescindendo dal valore teologico che il libro sacro assume nella religione ebraica e cristiana, che innesca il problema dogmatico della “ispirazione”, per gli autori non si tratta di “rivelazione miracolosa”, ma di “prodotto geniale della immaginazione umana”. Si tratterebbe di una “saga epica, nata come risposta alle pressioni, alle difficoltà, alle sfide e alle speranze sperimentate dall’esiguo popolo del regno di Giuda nei decenni prima della sua distruzione e dalla comunità anche più esigua del Tempio di Gerusalemme in epoca post-esilica”.

Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman affermano, con prove archeologiche e interpretazioni testuali, che la Torah (i primi cinque libri della Bibbia) risale al 7° secolo avanti Cristo, durante il regno di Giosia. E questa affermazione è di per sé rivoluzionaria, perché presenta le narrazioni precedenti, da Abramo a Mosé, all’esodo, alla conquista di Canaan, la Terra promessa, fino a Davide e ai suoi discendenti come preistoria o racconti leggendari. È vero, tuttavia, che anche la leggenda può avere un valore storiografico, ma resta tale in attesa di elementi probatori.

Molti episodi biblici, dicono gli autori, non sono verità storica, ma finzione letteraria, in modo da offrire un fondamento all’unità del territorio: il regno di Giuda a sud con Gerusalemme centro religioso e politico, in opposizione al regno del nord (Israele, Samaria). Quindi una storia per fare del re Giosia un mito, dal momento che alla tenera età di otto anni (639 a.C.) era salito sul trono del padre Amon, assassinato a Gerusalemme. Durante il regno di Giosia si rafforzarono quelli che sostenevano l’unicità di Jawé (YHWH), mentre si diffondeva l’alfabetizzazione, per cui scrittura e preghiera diventavano strumenti delle nuove idee religiose, sociali, politiche.

L’evento straordinario nel tempio di Gerusalemme fu la scoperta nel 622 a.C. del “libro della legge”, ritenuto la prima forma del Deuteronomio (dal greco “Seconda legge”). Un libro che “usa la frusta ma sa anche parlare al cuore”, si dice nella Bibbia, edita dalla CEI. Ma i due autori ebrei evidenziano e accentuano gli aspetti positivi: monoteismo, festa della Pasqua e dei Tabernacoli, norme di comportamento, leggi morali per il benessere sociale, tutela dell’individuo, diritti umani, dignità della persona, attenzione ai deboli, libertà per gli schiavi dopo 6 anni di servitù, ecc. Purtroppo, alla morte di Giosia, i figli non proseguiranno sulla linea tracciata dal padre. Con l’arrivo nel 587 di Nabucodonosor, Gerusalemme viene assediata e conquistata dai babilonesi. Il Tempio distrutto e innumerevoli ebrei deportati in esilio a Babilonia.

Solo dopo la fine dell’impero babilonese, sconfitto e conquistato dai Persiani, Ciro emana un decreto per la ricostituzione del regno di Giuda e la ricostruzione del tempio a Gerusalemme. Cinquantamila ebrei tornano in patria. Evidentemente non è per simpatia che i Persiani favoriscono il rientro degli ebrei nella loro terra, ma per ragioni politiche. È il momento in cui avviene un ulteriore rimaneggiamento del testo biblico, in modo da porre in rilievo il buon rapporto tra ebrei e persiani, per le origini di Abramo da Ur dei Caldei, che crea un legame tra la terra di Canaan e la Mesopotamia. Rapporto che durerà due secoli, fino alla conquista di Alessandro Magno, il macedone, nel 332 a.C. Con la fine dei sistemi monarchici della comunità ebraica e le vicissitudini della diaspora, la Bibbia diventa l’unico e più forte legame per l’unità degli ebrei. La principale fonte di identità per tutta la comunità. Un libro scritto dagli uomini per gli uomini, che descrive il meglio e il peggio dell’umanità.


In seguito, anche il Cristianesimo inserirà i testi sacri cristiani nel canone biblico, unendo Vecchio e Nuovo Testamento, mentre l’Islam creerà un altro libro, il Corano, con caratteristiche diverse, ma ispirandosi ai testi ebraici e cristiani. Nascono così le cosiddette “religioni del libro”. Se la religione è la prima e la più ancestrale forma di elevazione culturale si può ben capire che le religioni più progredite abbiano fatto ricorso al libro come strumento privilegiato di comunicazione tra il divino e l’umano. Il libro come parola di Dio.

Senza entrare nella diversità della relazione tra il credente e il libro (ispirazione, rivelazione, esegesi, ecc.) secondo le tre religioni, appare evidente l’importanza che il Libro (Bibbia degli ebrei e dei cristiani e Corano dei musulmani) ha avuto e continua ad avere. Un cammino che proseguirà ancora e con maggiore attenzione storico-scientifica. Le ricerca dei due archeologi ebrei è segno che le religioni del libro non restano bloccate dai dogmatismi, ma chiedono sempre lumi per conoscere e approfondire la storia di Dio e dell’Uomo. 


venerdì 12 luglio 2019

Nuovi eletti in Verbumlandiart


L’associazione VERBUMLANDIART è nata per dare voce alla cultura.
Ha realizzato, dal 2013 una rete di iniziative culturali e di interesse attraverso incontri, convegni, rassegne, reading, spettacoli, presentazioni di autori, performans di artisti, cinema, mostre, concorsi e quant’altro avesse la connotazione di iniziative di interesse culturale, si è impegnata a valorizzare il patrimonio storico, culturale e artistico italiano.
La cultura, l’arte e l’informazione sono state le scelte sicure e strategiche del futuro per un Paese sempre più consapevole della propria storia, della propria identità e della capacità di promuovere creatività e innovazione, coinvolgendo attivamente scuole pubbliche e università, che hanno sempre un ruolo fondamentale per far maturare linguaggi e strumenti utili all’accrescimento culturale, per questo
l’associazione promuove l’arte in tutte le sue forme, dando spazio ad artisti e autori affermati ed al contempo cerca di scoprire nuovi talenti dando loro la possibilità di crescere, confrontandosi e sottoponendosi alla sincera valutazione di esperti di ogni  settore, capaci di dare un giudizio e soprattutto un consiglio per migliorare qualitativamente la propria produzione artistica.
Non ha fini di lucro ed ha lo scopo di promuovere attività artistiche e culturali da divulgare sul territorio nazionale e internazionale e permettere l’accesso e la fruizione della conoscenza a tutti.
L’associazione può contare sull’apporto di professionisti che mettono a disposizione il loro sapere e talento, che collaborano alle iniziative e che di volta in volta sono interpellati per la loro conoscenza e preparazione.
Gli eventi più importanti realizzati:
PREMIO INTERNAZIONALE “CITTÀ DEL GALATEO” 7 EDIZIONI Insignito del Riconoscimento Della Medaglia Di Rappresentanza Del Presidente Della Repubblica
PREMIO PESARO ARTE 5 EDIZIONI
PREMIO “LUCA LERARIO” ROMA PER LE VITTIME DELLA STRADA
PREMIO “LA VOCE DEI POETI” 4 EDIZIONI
PREMIO “A NERUDA …CITTÀ DI CAPRI” 2018
FESTIVAL DELL’ARTE CITTÀ DI GALLIPOLI 2017
FESTIVAL DELL’ARTE “PRIMAVERA SALENTINA” 2018-2019
“LA CATENA DELLA PACE, DELLE DIFESA PER L’AMBIENTE E LA GIUSTIZIA”, progetto culturale che ha coinvolto artisti, giornalisti, poeti di tutto il mondo.
FESTIVAL ITALIA – UZBEKISTAN A PESARO 3 EDIZIONI
MOSTRA DI ARTE SACRA GALATONE 2018
PRESENTAZIONE D’AUTORI
SPETTACOLI MUSICALI
READING POETICI
CONVEGNI CULTURALI.
Tutte le manifestazioni sono state di alto profilo artistico culturale, si sono distaccate da altre iniziative di natura commerciale perché nascono dal desiderio di dare un contributo alla promozione e allo sviluppo della ricerca creativa, volendo essere un momento di riflessione e di confronto tra artisti, critici, addetti ai lavori e pubblico.
Significativi sono stati negli anni i temi delle Mostre e dei premi, incentrati sulla Pace, sulla salvaguardia del Creato, sulla Giustizia e il dialogo fra i Popoli. 
L'evento della “Catena della Pace” ha avuto un grande successo di adesioni e di diffusione mediatica proprio perché la Pace è al centro dell'attenzione come urgenza avvertita da tutti gli uomini, preoccupati sia per la fragilità politica di molti Paesi, ma soprattutto per l’accrescere di odio e razzismo nei confronti dell’altro. Non di meno le questioni ambientali per le quali sta crescendo la consapevolezza dei rischi per l’umanità intera per il riscaldamento terrestre, per lo scioglimento dei ghiacciai, per i cambiamenti climatici.
Dopo l’assemblea svolta di recente sono state rinnovate le cariche sociali dell’Associazione.
Auguri tutti gli eletti.

CARICHE SOCIALI TRIENNIO 2019 – 2022
CONSIGLIO DIRETTIVO

RESTA Regina – Presidente;
PALMERINI Goffredo – Vice Presidente e Responsabile del Settore Comunicazione e Stampa;
PRISCO Anna – Vice Presidente e Responsabile del Settore Prosa ed Editoria;
VAGLIO Antonietta – Segretaria;
VAGLIO Guido – Tesoriere;
AUGIERI Carlo Alberto – Responsabile del Settore Rapporti con le Università e gli Enti;
CIMINO Annalena – Responsabile del Settore Poesia;
DANIELI Giancarlo – Responsabile del Settore Comunicazione e Grafica;
DOBRILLA Mirjana – Responsabile del Settore Rapporti con gli Stranieri.

COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI


LENOCI Francesco (Presidente);
NISI Livio (Membro effettivo);
VAGLIO Valerio (Membro effettivo);
DANIELI Irene (Membro supplente);
VANTAGGIATO Andrea (Membro supplente).

COLLEGIO DEI PROBIVIRI

CAMELLINI Sergio;
CAMPA Annamaria;
INGROSSO Madia.


martedì 18 giugno 2019

MATERA I SASSI


MATERA. Dal 23 al 30 giugno 2019, La Lopa Matera (Via Bruno Buozzi 13) ospiterà la Mostra fotografica di Cataldo Albano “MATERA I SASSI”, che illuminerà successivamente la Città di Taranto (dal 24 agosto) e la città di Verona (dal 25 ottobre).
La Mostra è organizzata da Cataldo Albano, con il Patrocinio del Comune di Matera, Comune di Taranto, Provincia di Verona, Lucana Film Commission; e con la partnership di La Lopa Matera, Vitis in Vulture, Cantine Ruggieri Lizzano, Casa Vestita Grottaglie, Simeoni Arti Grafiche Verona, Dolci Colori S.r.l. Verona.
Si tratta di un’esposizione multimediale, foto e video, frutto del reportage nel mese di ottobre 2017 di Cataldo Albano in compagnia dei Sassi, di tre Artigiani e due Modelle.
All’inaugurazione prevista per domenica 23 giugno ore 18,00, ai saluti di Antonella Passione (La Lopa) faranno seguito gli interventi di Mariella Cuoccio (poetessa), Mimmo Vestita (ceramista), Francesco Lenoci (docente Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
Saranno ospiti e protagonisti della serata inaugurale: Mario Daddiego (Il Bottegaccio), Massimo Casiello (Tornitura Artistica Atelier del Legno), Eustachio Rizzi (Sassi in Miniatura), il Pane di Matera del Panificio Cifarelli e l’Aglianico del Vulture di Vitis in Vulture.
L’ingresso è libero.

lunedì 17 giugno 2019

Giustizia nei Balcani troppo difficile da raggiungere - Karadžić condannato, ma il suo progetto no


Con la sentenza di primo grado il leader dei serbi di Bosnia, Radovan Karadžić, era stato riconosciuto colpevole e condannato a 40 anni di reclusione. In seguito la Corte d’appello del Meccanismo per i Tribunali penali internazionali ha emanato la sentenza definitiva con la quale Karadžić è stato condannato all’ergastolo. Il leader dei serbi di Bosnia è stato processato per genocidio, crimini contro l’umanità, pulizia etnica ai danni dei musulmani e dei croati. La sentenza però ci parla anche di quello per cui Karadžić non è stato condannato, ma che è strettamente legato ai crimini che ha commesso. Dopo quest’ultima sentenza si pongono alcune questioni importanti: era possibile processare Karadžić per aver commesso i crimini più gravi in Bosnia, e nello stesso tempo sottacere completamente e amnistiare il progetto per il quale si era battuto? Com’è possibile che la Repubblica di Serbia quale Stato venga esclusa dal contesto delle responsabilità? È indicativo il fatto che nel corso del lungo procedimento giudiziario contro Karadžić, non sia stata posta la questione dell’Accordo di Dayton, che di fatto ha legalizzato ciò che Karadžić e i suoi collaboratori hanno conseguito. In quest’ambito non dobbiamo dimenticare che la Serbia è diventata uno Stato sovrano e indipendente in base alla sua Costituzione del 28 settembre 1990, un anno prima della proclamazione dell’indipendenza della Slovenia e della Croazia. Da quella data l’Armata popolare jugoslava è diventata di fatto un esercito serbo, che ha offerto poi un sostegno importantissimo dall’ottica militare, finanziaria e logistica ai serbi di Bosnia. La Bosnia ed Erzegovina, oggi, a 23 anni dalla firma dell’Accordo di Dayton (1996) continua a essere ostaggio delle circostanze internazionali degli anni Novanta, che definirono il carattere del Trattato di pace. Gli Stati Uniti e l’UE fin dall’inizio della guerra in Bosnia basavano tutti i piani di pace sul principio etnico e “risolvevano” i problemi richiamandosi alla situazione di fatto, frutto della politica di Karadžić e dei suoi più stretti collaboratori. Quello che Karadžić rilevava negli anni Novanta, ossia che “il carattere del nuovo Stato serbo sarebbe stato esclusivamente etnico”, coincide pienamente con il comportamento tenuto dalla comunità internazionale. L’Accordo di Dayton contempla un elemento pericoloso per tutti, ossia il fondamentale pomo della discordia per il quale è scoppiata la guerra: la questione se la Bosnia ed Erzegovina sarà uno Stato unitario o diviso. Proprio per tale motivo l’attuazione di questo documento si configura spesso oggi come la continuazione della guerra con altri mezzi.
Proprio l’accordo di Dayton ha creato una struttura di potere che ha permesso ai nazionalisti di restare in sella fino a oggi e di impedire l’ulteriore sviluppo dei processi democratici in Bosnia ed Erzegovina. Per tale motivo appare illogica la sentenza del Tribunale penale internazionale dell'Aia con la quale Radovan Karadži
ć è stato, giustamente, condannato all’ergastolo, senza però che in questo contesto sia stato menzionato il progetto per il quale egli ha commesso i crimini. Tutto questo può essere compreso da un punto di vista logico? Ben difficilmente. Il presidente del Comitato Helsinki per i diritti umani in Serbia, Sonja Biserko, chiede alle autorità della Republika Srpska (RS) di cambiare i nomi delle scuole e delle istituzioni chiamate criminali di guerra. Lo psicologo di Banja Luka (RS) Miodrag Živanović, afferma che l'influenza di Karadžić sulla popolazione è "il prodotto del dominio del populismo da cui è direttamente seguito il nazionalismo e tutto ciò che appartiene alla coscienza ottenebrata“. "La giustizia richiede che la RS sia abolita", ha detto Francis Boyle, professore alla Harward, ex avvocato della B&H davanti al Tribunale dell'Aia.  In un commento alla televisione N1, Boyle aggiunge che il „Tribunale dell'Aja nascondeva il ruolo della Serbia, perché l'Occidente vuole includere la Serbia nella NATO e nell'Unione Europea“. Questo intervento del professore Boyle viene  durramente respinto da quelli che ancora oggi difendendo i risultati della pulizia etnica in B&H. Come raccontare la storia di un uomo condannato per i crimini di guerra, quando molti politici di spico e molta gente lo stimano come eroe? I criminali di guerra sono tra l'altro molto popolari anche in Croazia. La cultura conservatrice che sta' dominando sempre di più in quest'area d'Europa, non può accettare la giustizia in base ai criteri del diritto internazionale, per un semplice motivo; La verita' e la giustizia  sono dalla „nostra parte“, mentre i colpevoli e cattivi sono „gli altri“. Quindi, da una parte, con il verdetto del Tribunale internazionale R. Karadžić risulta un criminale. Purtroppo per la politica  non è cosi. Tempo fa, quando in Bosnia succedeva la „pulizia etnica“ e il genocidio, Karadžić era una persona importante per la politica internazionale, disposta a collaborare e ideare una nuova carta politica della B&H. Mentre, per molti politici di spico e tanta gente, ancora oggi affascinati dal suo progetto, Karadžić rimarra'  „un grande eroe sacrificandosi per gli interessi della Patria“. Dov'è in tutto questo la giustizia e il diritto internazionale? E' dificilissimo rispondera a questa domanda. Per cui la cosa migliore è forse chiedere aiuto a George Orwell: “...Ma come posso fare a meno di vedere quel che ho dinanzi agli occhi? Due e due fanno quattro. Qualche volta, Winston. Qualche volta fanno cinque. Qualche volta fanno tre. Qualche volta fanno quattro e cinque e tre nello stesso tempo. Devi sforzarti di più. Non è facile diventare normale”.
Drago Kraljević (Croazia)


sabato 8 giugno 2019

Historical & Present Poets of Damao (Daman), India.


Historical & Present Poets of Damao (Daman), India. During 19th Century when Daman was under Portuguese regime, a Parsi Poet Ardeshar Khabardar was born on 6th November 1881 in Portuguese Damao (now Daman, India). He was a great Gujrati poet of the people and their land.He compiled poetry in different styles and wrote many sonnets on Zoroastrianism .He used to write in the name of Poet "Adal'. Most of times he stayed in Bombay and Chennai but remained in touch with his hometown Portuguese Damao (Daman). His 150 years old house still stands in good condition opposite Khoja Jamat Khana at Jetty Road, Nani Daman.It is now occupied by Lulli Family.He wrote 40 books on poetry and prose during span of his life and died at Chennai on 30th july 1953. Goverment of Daman Diu saluting to his great works and contribution to Indian Literature, named jetty Raod after his name.It is now known as Kavi Khabardar Marg or in short K.K.Marg Before him there had been a Portuguese Poet Bocage who had come from portugal during Portuguese Regime in 18th.century. He was in Portuguese Navy and stayed in Moti daman .His house is situated at the main entrance of Moti Daman Fort. Most of his writings were found anti Portuguese rule in India hence he was transferred from Goa to Daman. He was a neoclassical poet and was born at Setubal in Portugal on 15th September 1765 and died due to syphilis on 21st December 1805 in Lisbon, Portugal at the age of 40. During 21st century a poet writer and photography hobbyist staying in Daman since 1996 came into light in 2016 when a coffee table book on Daman, Diu,Goa, Dadra Nagar Haveli & Portuguese Regime (1510-1961) compiled by Mr K.C.Sethi & Mrs Sunita Sethi was launched by Goverment of Daman & Diu in a mega function held in Daman on 17th.December 2016 which was presided over Honourable Minister of State for Homes Mr Hans Raj Ahir and Worthy Administrator of Daman, Diu and DNH, Mr Praful K.Patel .It proved to be a great publication of historical times first ever made in the world. On being impressed Honourable Prime Minister of Portugal invited Sethi couple to attend his welcome reception kept in Goa when he was on his state visit to India.He was invited by Republic of India to be chief guest on Republic day prade of 26th Jan.2017.He was very happy to receive this coffee table book and desired to make it in Portuguese Language too. He invited Sethi Couple to visit Portugal in regard to its publication in Portuguese Language .He also honoured them by giving them an autographed coffee table book.Later this book achieved Asia and India Book Of Records.Looking into the demand of people and need of the land they decided to make it in Gujrati first and later in Portuguese language. Their Gujrati coffee table book got published in 2019 which was launched by Padmashri Dr Vishnu Pandya ,Chairman Gujrat Sahitya Academy in Gandhinagar. He was highly impressed to see that a non Gujrari couple framed a coffee table book in Gujrati language. While describing their poetry works we wish to congratulate this great couple first who have originated a new concept of pictorial poetry in 21st century.In this concept photography and poetry work together in a combination; The body language of the picture tallies the theme of a poem.It has double effect on the readers mind when one eye on visual and the other on thoughtful words. In social media it has already achieved its heights.They originated this concept in 2011 which came into full swing in 2014.Their first mega coffee table book with pictorial poetry was launched in 2015 which became first of its kind in the world and achieved Golden Book of World Records , Asia Book and India Book of Records. So far they have compiled 13 pictorial poetry, 2 historical 1 Research coffee table books/anthologies , 6 they have drafted for fellow poets to spread their concept worldwide. Recently their pictorial poetry anthology , "Shapes of Love" has also been declared to be a Golden Book Of World Record Holder.This concept now working wonderfully; Their 32 country groups of pictorial poetry are plying globally who are committed to spread Love, Peace & Humanity worldwide through pictorial poetry.Poet ,writer and International photography hobbyist Mr. K.C. Sethi is a brain behind and he does different from others.Recently they have introduced one more concept of "Pictorial Poetry Exhibitions" when their group in Nepal organised an Exhibition of 120 prints of picture and poetry in 18×12 inches which were displayed on walls in a art gallery of Kathmandu, Nepal. Students, teachers, poetry lovers and poets visited to enjoy the beauty of Pictorial Poetry on walls first time in the history .It has also been nominated for Golden Book Of World Records being first of its kind in the world.Now their group in Tunisia and Greece have decided to arrange such exhibitions in nearest future. They have 5 coffee table books in hands which will be published soon.They all are being made on rare subjects which as under:- 1. 25 Wonderful Women Of Virtue from the world 2.My Photography:Your poetry from world poets 3.let us spread Love,Peace & Humanity Globally. 4. 20 Overseas Poets Pictorial Poetry Anthology 5.Neighbouring Countries' Pictorial Poetry Anthology.