La missione di
Goffredo Palmerini è centrale e maestra
Dando
voce a chi non l'aveva, fa capire a tutti che esiste un fitto arazzo di
personaggi e situazioni,
di
comunità ed eventi che varcano i confini di quell’Italia brava gente rimasta a
giocare in casa.
di
Franco Ricci *
Conosco Goffredo Palmerini ormai da qualche
anno, da quando nel 2001 accompagnò il Coro della Portella in una tournée in
Canada. Ancora non si era imbarcato nella sua nuova carriera di ambasciatore
abruzzese, girovagante straordinario. Ma i semi erano già tutti presenti. Uomo
temperante, signorile ed elegante come la città che ama e difende, le cui
qualità e valenze diffonde e simultaneamente riscopre all'estero. Sicuro e
deciso, rappresenta quell'indole abruzzese di gentilezza d'animo, fede nel
prossimo, fierezza di pensiero e forza nel lavoro, che poi rivela e valorizza
nei tanti meravigliosi ed appassionati scritti su personaggi, eventi, notizie,
comunità ed associazioni, raccolti nel suo ultimo libro L’Italia nel cuore.
La stessa
versatilità ed apertura verso le opinioni altrui che formano la sua indole, lo
accomunano ai personaggi che scopre sparsi nel mondo, anche loro come lui
avventurosi di spirito, ma regolati da un barometro decisamente abruzzese. E
quindi moralmente sani e senza paure, operosi e ingegnosi, quelle stesse
qualità che distinguono tutti gli abruzzesi, confermate nelle tracce e nelle
impronte che lasciano gli emigranti abruzzesi nel mondo. Un popolo asciutto,
solidale, forgiato dai tanti frequenti terremoti che nei secoli hanno segnato
terribilmente la nostra gente ed hanno lasciato un’indelebile cicatrice sulla
sua fisionomia rendendolo coraggioso, scaltro, preparato alle insidie e un
pizzico fatalista. Tutte qualità - vi posso assicurare - che ben servono
all'emigrante e che peraltro, nelle condizioni più difficili, lo aiutano alla
sopravvivenza.
Ancor oggi, qui
all’Aquila, come nelle comunità abruzzesi altrove, dopo settimane e mesi che
sono diventati anni, questo carattere temperante ben serve a mantenere quella
compostezza e dignità che tanto colpì i commentatori della sciagura del non
troppo lontano 6 aprile. Non c'è da
stupirsi, quindi, se gli abruzzesi nel mondo abbiano fatto tanta strada nei
campi più disparati, come testimonia Goffredo ancora una volta nel suo ultimo
libro L’Italia nel cuore. Non poteva
essere altrimenti.
Il libro di Goffredo
Palmerini accavalla il tempo, anzi accorcia lo spazio e il tempo tra le
comunità abruzzesi sparse nel mondo, concentrandosi e soffermandosi, secondo lo
stesso Goffredo, su sensazioni, emozioni, racconti di vita, rendendole
straordinariamente simili nella loro più svariata eterogeneità. Sono racconti
in cui le divergenze del campanile scompaiano e tutti gli emigranti italiani si
sentono un po’ abruzzesi, ricomposti nel loro essere dimezzati canadesi o
americani o tedeschi argentini australiani, per sentirsi interi.
Palmerini dà voce
a questa solidarietà insigne, dà voce a chi non l'aveva prima, a un settore
vitale disagiato in primis perché si
trova lontano da casa, poi perché la casa che si è costruita con interminabili
lotte, con sacrifici, con lavoro e pianto, non è, in ultima analisi, veramente
casa sua, e infine perché, nonostante le sembianze del successo, l'emigrante all’estero
vive costantemente il trauma odierno d’una nostalgia irrefrenabile per ciò che
forse non ha mai conosciuto e che probabilmente non esiste più.
Leggo Goffredo Palmerini come una Bibbia di
questi itineranti, un promemoria di esodo e diaspora che rivela agli italiani
in Italia una realtà migratoria per troppo tempo insaputa e che si trova sparsa
sui cinque continenti. Si parla spesso, oggi, delle nuove generazioni, soprattutto
quella terza generazione di giovani che, a differenza della seconda generazione
spesso restia ad accettare usanze e costumi dei genitori, cerca le proprie
radici in un gioco di specchi al rovescio, cercando di annusarne le essenze
della propria identità. Da Manhattan
a Washington, da Buenos Aires al Belgio, da Boston a Palermo, un rosario di motivazioni che
puntano in pluri-direzioni ma che mirano un solo obiettivo: sentirsi abruzzesi.
Io pure, perenne
giocatore in trasferta, sono - lo confesso - diffidente e, nonostante le mie
moderate speranze, non nego che non credo, non riesco cioè a constatare un
interesse crescente nella valorizzazione della cifra italiana, delle nostre
comunità all’estero. E ciò nonostante i miei anni passati in mezzo a tanti
giovani, sia negli Stati Uniti che
in Canada, in congressi organizzati
anche da me proprio per loro. Tutti pronti e decisi certamente a vivere la
bella vita italiana, ma poco inclini ad escutere e approfondire le dure verità
dell'emigrazione, le sofferenze dei propri avi, il casolare d’eredità spesso
abbandonato e con il portone fracido.
Nascono così
organizzazioni ed enti ispirati politicamente, mirati a rilanciare - badate il
termine “rilanciare”, cioè tornare al passato per riabilitarlo - quello spettro
dell'associazionismo, fenomeno ormai decisamente superato. Oppure si cerca di
capire i problemi degli emigranti, a prescindere dei loro pregi, tentando così
di stilare programmi di iniziative spesso a scapito dei beneficiari. Si è
voluto infine dar origine ad un ruolo politico per gli emigranti, in seno alla
politica nazionale italiana, con tutti gli irrilevanti e improvvidi retroscena
partitocratici che danneggiano gravemente l'ingente patrimonio delle generose
comunità degli emigranti, creando divisioni e rancori. Certi enti di
rappresentanza spesso non sono altro che il sipario per persone con ambizioni
politiche, i cui interessi s’impaludano in riunioni, negli ultimi vent’anni
sempre sullo stesso argomento.
Io, per esempio -
forse un inadeguato ma provocatorio esempio - da un giorno all'altro, di punto
in bianco, sono passato da figlio di emigranti nato all'estero ad essere un
italiano nel mondo per pura motivazione politica di Roma e a scapito di
qualsiasi desiderio - mio o d’altri come me - avessi sognato. Tutto ciò con
l'unico scopo di creare ambasciatori per l’imprenditoria italiana, per il nuovo
marchio Made in Italy. Ma io non sono un italiano, e ci sono voluti 33 anni per
finalmente capirlo, nonostante tutto l'amore e la passione integrale che serbo
per l'Italia. Né sono un americano, anche se ho passato tutta la mia vita nelle
Americhe. Sono, invece, un Italo-Americano, con tutta una mia fisionomia
socio-culturale che non si può sopprimere sotto un manto di ufficiosità
politica, non voluta né richiesta.
Dico, quindi, che
non ci credo a questi - chiamiamoli così - fuochi fatui dell'operosità
ufficiale della volontà istituzionale, perché ho invece gran fiducia nella
bravura e nello spirito di sacrificio dell'emigrante, nella sua capacità di
confrontarsi e di conquistarsi il proprio territorio socio-culturale, politico
ed economico. Credo proprio in quelle persone insigni le cui storie racconta
Goffredo. Come Dan Fante, scrittore,
poeta, drammaturgo di successo, figlio del famoso John Fante, un altro abruzzese d’origini umili che si alimenta con
l’Italia nelle vene.
Dan, personaggio
difficile, diffidente, intenso quanto il padre, un artista post-moderno e
scomodo per autodefinizione. Un carattere, si potrebbe definire, torricellano:
sempre orgoglioso comunque delle sue origini nell’entroterra abruzzese,
rappresenta l’iconizzazione della sua discendenza e del titolo del racconto Il dio di mio padre, scritto dal padre
John e che dà nome al Festival omonimo che si svolge ogni anno a Torricella Peligna. Oppure personaggi
come lo stesso Goffredo Palmerini, Ilaria Guidantoni, Tiziani Grassi, Canio Trione,
insigniti del prestigioso Premio per i Diritti Umani “Nelson Mandela”.
Credo piuttosto,
da buon Italo-Americano, in quel fattore indiscutibile del potere dell'individuo,
nella capacità trasformativa del singolo gesto, piccolo o grande, che
puntualmente trova risonanza storica nella quotidianità di ogni singolo emigrante.
Potremmo, in tal senso, dire che i personaggi e gli eventi che descrive
Palmerini, le prolifiche situazioni vitali di preziosi tirocini di vita, le
generosità economiche che si manifestano nelle nostre comunità, sono quegli
sprazzi d’eccellenza e le gradite scoperte che contrassegnano le comunità
abruzzesi in tutto il mondo e che rispecchiano il fenomeno migratorio nei suoi
molteplici campi.
Il ruolo di
Goffredo Palmerini, secondo me, in questo marasma confuso e intricato di
relazioni, tutto all'insegna di quella dicotomia tra patria d’origine e patria
d’elezione, è rilevante: è un ruolo chiave.
Goffredo rappresenta una pietra miliare per lo sviluppo di un nuovo tipo
di rapporto che comprende non solo il giornalismo come reportage, ma con i suoi
scritti egli installa un utilizzo dell’informatica che abbraccia e mette in
rete imprenditori e operai, studenti e professori, commercianti e casalinghe,
figli piccoli e grandi, appaltatori e pensionati, in un nuovo mondo virtuale
ricco di relazioni vissute forsanche più intensamente, perché accomunati
attraverso l'immediatezza del messaggio e del sentimento. Vedere e sentire i
nostri co-emigranti in tempo reale via email, Facebook, Skype e iPad e sapere
che stiamo tutti bene, che abbiamo saputo farci strada nonostante il fardello
ereditato, vuol dire avere una nuova forza integrale che ci spinge a cercare
nuovi contatti e possibili orizzonti da varcare.
Come scrisse Petrarca, parlando degli antipodi del
globo e riferendosi a S. Agostino - Petrarca, dicevo, parlando degli antipodi,
si domandava "chissà quali storie o genti ci attendono laggiù". La risposta, a chi se l'è posta come me, ora
ce l'abbiamo. Tutto merito di Goffredo Palmerini, che queste storie e genti ce
le racconta e lascia che si raccontino. In questo mondo on-line ecco che
leggiamo di Laura Benedetti,
direttore del dipartimento di italiano della Georgetown University di
Washington D.C., professoressa e scrittrice aquilana che rileggendo i nostri
classici, in particolare La Gerusalemme
liberata di Tasso, prende spunto per creare nuovi personaggi femminili che
nascono nell’ombra della Diana tassiana.
Scopriamo Stefano Pelaggi, che con il suo libro Emigrazione italiana e colonialismo in America
Latina, un testo incentrato sui tentativi del Regno d’Italia di coniugare i
flussi migratori con le esigenza della politica estera e commerciale della
nuova nazione. Accompagniamo lietamente Mario
Fratti, che continua a stupirci con le sue opere e con i graditi successi a
Broadway. Impresa difficile se non praticamente
impossibile anche per i più bravi americani, ma non per il nostro abruzzese
cult, ormai nell’olimpo del teatro, che peraltro continua a sorprenderci con
due generi letterari diversi dalla drammaturgia: il romanzo e la poesia.
E qui dovrei
aggiungere anche le tante notizie su presentazioni di libri, mostre d’arte,
cerimonie di premi ed omaggi, aperture di centri culturali e sportivi, per
concludere con le tante manifestazioni di amicizia che valorizzano la presenza
degli emigranti abruzzesi nel vivo tessuto delle proprie comunità. Piccoli
miracoli, raccontati come fioretti preziosi di operette morali, che illustrano
viaggi della speranza in terra straniera riportati in Italia e poi diventati
storie di successo, tutto nell’arco d’una generazione, passando dall’essere
malvisti e discriminati fino a stare nei Parlamenti e nei Governi delle
Nazioni, in settori importanti della società e della cultura, fino a diventare
anche capitani d'industria, come avvenuto per la più grande industria
automobilistica italiana nel mondo.
Sono modelli
d’eccellenza che trovano sbocco in personaggi trainanti che permettono lo
sviluppo economico, politico e sociale delle nostre comunità. Come un fitto
dialogo tra un contesto ricco d’orizzonti promettenti ed emergenti ed uno a
volte ripiegato sulla propria austera ma sempre elegante indole storica, questo
libro di Goffredo Palmerini rivela una comune ansietà contemporanea riguardo
quei problemi d’identità personale, d’identità etica e infine d’identità
nazionale che si erode in un mondo sempre più divorato dal consumismo e
dall'indifferenza.
Palmerini, in
questo libro, racconta sia l'abruzzese emigrante sia l’abruzzese che non ha mai
varcato la frontiera, ma che entrambi conquistano il successo con le proprie
imprese, che possono anche sembrare momenti di redenzione personale ma non di
riscatto. La propria dignità l’abruzzese non l'ha mai persa; non ha mai dovuto ridiventare
italiano o abruzzese nel mondo, perché questo sentimento intimo non si è mai
affievolito.
La missione di Goffredo Palmerini - e non a caso la
definisco missione - è invece centrale e maestra. Dando voce a chi non l'aveva,
fa capire a chi non ci ha mai pensato o a chi ha facilmente dimenticato, che
esiste un fitto arazzo di personaggi e situazioni, di comunità ed eventi che
varcano i confini di quell’Italia brava gente che è rimasta a giocare in casa. Questo
suo giornalismo ricco di curiosità e desiderio di conoscenza varca frontiere
invisibili, creando un mondo virtuale pulsante di chiarezza e nettezza, al di
là del solito reportage colonialistico di osservatore colto, per diventare
invece un tramite di colloqui vivaci e di reciproco rispetto. E per questo, da
Italo-Americamo con l’Italia nel cuore, io non posso che ringraziarlo.
*docente Università di Ottawa (Canada)