mercoledì 9 agosto 2017

La missione di Goffredo Palmerini è centrale e maestra - Franco Ricci







La missione di Goffredo Palmerini è centrale e maestra
Dando voce a chi non l'aveva, fa capire a tutti che esiste un fitto arazzo di personaggi e situazioni,
di comunità ed eventi che varcano i confini di quell’Italia brava gente rimasta a giocare in casa.

di Franco Ricci *


Conosco Goffredo Palmerini ormai da qualche anno, da quando nel 2001 accompagnò il Coro della Portella in una tournée in Canada. Ancora non si era imbarcato nella sua nuova carriera di ambasciatore abruzzese, girovagante straordinario. Ma i semi erano già tutti presenti. Uomo temperante, signorile ed elegante come la città che ama e difende, le cui qualità e valenze diffonde e simultaneamente riscopre all'estero. Sicuro e deciso, rappresenta quell'indole abruzzese di gentilezza d'animo, fede nel prossimo, fierezza di pensiero e forza nel lavoro, che poi rivela e valorizza nei tanti meravigliosi ed appassionati scritti su personaggi, eventi, notizie, comunità ed associazioni, raccolti nel suo ultimo libro L’Italia nel cuore.
 

La stessa versatilità ed apertura verso le opinioni altrui che formano la sua indole, lo accomunano ai personaggi che scopre sparsi nel mondo, anche loro come lui avventurosi di spirito, ma regolati da un barometro decisamente abruzzese. E quindi moralmente sani e senza paure, operosi e ingegnosi, quelle stesse qualità che distinguono tutti gli abruzzesi, confermate nelle tracce e nelle impronte che lasciano gli emigranti abruzzesi nel mondo. Un popolo asciutto, solidale, forgiato dai tanti frequenti terremoti che nei secoli hanno segnato terribilmente la nostra gente ed hanno lasciato un’indelebile cicatrice sulla sua fisionomia rendendolo coraggioso, scaltro, preparato alle insidie e un pizzico fatalista. Tutte qualità - vi posso assicurare - che ben servono all'emigrante e che peraltro, nelle condizioni più difficili, lo aiutano alla sopravvivenza.

Ancor oggi, qui all’Aquila, come nelle comunità abruzzesi altrove, dopo settimane e mesi che sono diventati anni, questo carattere temperante ben serve a mantenere quella compostezza e dignità che tanto colpì i commentatori della sciagura del non troppo lontano 6 aprile.  Non c'è da stupirsi, quindi, se gli abruzzesi nel mondo abbiano fatto tanta strada nei campi più disparati, come testimonia Goffredo ancora una volta nel suo ultimo libro L’Italia nel cuore. Non poteva essere altrimenti.

Il libro di Goffredo Palmerini accavalla il tempo, anzi accorcia lo spazio e il tempo tra le comunità abruzzesi sparse nel mondo, concentrandosi e soffermandosi, secondo lo stesso Goffredo, su sensazioni, emozioni, racconti di vita, rendendole straordinariamente simili nella loro più svariata eterogeneità. Sono racconti in cui le divergenze del campanile scompaiano e tutti gli emigranti italiani si sentono un po’ abruzzesi, ricomposti nel loro essere dimezzati canadesi o americani o tedeschi argentini australiani, per sentirsi interi.

Palmerini dà voce a questa solidarietà insigne, dà voce a chi non l'aveva prima, a un settore vitale disagiato in primis perché si trova lontano da casa, poi perché la casa che si è costruita con interminabili lotte, con sacrifici, con lavoro e pianto, non è, in ultima analisi, veramente casa sua, e infine perché, nonostante le sembianze del successo, l'emigrante all’estero vive costantemente il trauma odierno d’una nostalgia irrefrenabile per ciò che forse non ha mai conosciuto e che probabilmente non esiste più.

Leggo Goffredo Palmerini come una Bibbia di questi itineranti, un promemoria di esodo e diaspora che rivela agli italiani in Italia una realtà migratoria per troppo tempo insaputa e che si trova sparsa sui cinque continenti. Si parla spesso, oggi, delle nuove generazioni, soprattutto quella terza generazione di giovani che, a differenza della seconda generazione spesso restia ad accettare usanze e costumi dei genitori, cerca le proprie radici in un gioco di specchi al rovescio, cercando di annusarne le essenze della propria identità. Da Manhattan a Washington, da Buenos Aires al Belgio, da Boston a Palermo, un rosario di motivazioni che puntano in pluri-direzioni ma che mirano un solo obiettivo: sentirsi abruzzesi.

Io pure, perenne giocatore in trasferta, sono - lo confesso - diffidente e, nonostante le mie moderate speranze, non nego che non credo, non riesco cioè a constatare un interesse crescente nella valorizzazione della cifra italiana, delle nostre comunità all’estero. E ciò nonostante i miei anni passati in mezzo a tanti giovani, sia negli Stati Uniti che in Canada, in congressi organizzati anche da me proprio per loro. Tutti pronti e decisi certamente a vivere la bella vita italiana, ma poco inclini ad escutere e approfondire le dure verità dell'emigrazione, le sofferenze dei propri avi, il casolare d’eredità spesso abbandonato e con il portone fracido.
     
Nascono così organizzazioni ed enti ispirati politicamente, mirati a rilanciare - badate il termine “rilanciare”, cioè tornare al passato per riabilitarlo - quello spettro dell'associazionismo, fenomeno ormai decisamente superato. Oppure si cerca di capire i problemi degli emigranti, a prescindere dei loro pregi, tentando così di stilare programmi di iniziative spesso a scapito dei beneficiari. Si è voluto infine dar origine ad un ruolo politico per gli emigranti, in seno alla politica nazionale italiana, con tutti gli irrilevanti e improvvidi retroscena partitocratici che danneggiano gravemente l'ingente patrimonio delle generose comunità degli emigranti, creando divisioni e rancori. Certi enti di rappresentanza spesso non sono altro che il sipario per persone con ambizioni politiche, i cui interessi s’impaludano in riunioni, negli ultimi vent’anni sempre sullo stesso argomento.

Io, per esempio - forse un inadeguato ma provocatorio esempio - da un giorno all'altro, di punto in bianco, sono passato da figlio di emigranti nato all'estero ad essere un italiano nel mondo per pura motivazione politica di Roma e a scapito di qualsiasi desiderio - mio o d’altri come me - avessi sognato. Tutto ciò con l'unico scopo di creare ambasciatori per l’imprenditoria italiana, per il nuovo marchio Made in Italy. Ma io non sono un italiano, e ci sono voluti 33 anni per finalmente capirlo, nonostante tutto l'amore e la passione integrale che serbo per l'Italia. Né sono un americano, anche se ho passato tutta la mia vita nelle Americhe. Sono, invece, un Italo-Americano, con tutta una mia fisionomia socio-culturale che non si può sopprimere sotto un manto di ufficiosità politica, non voluta né richiesta.

Dico, quindi, che non ci credo a questi - chiamiamoli così - fuochi fatui dell'operosità ufficiale della volontà istituzionale, perché ho invece gran fiducia nella bravura e nello spirito di sacrificio dell'emigrante, nella sua capacità di confrontarsi e di conquistarsi il proprio territorio socio-culturale, politico ed economico. Credo proprio in quelle persone insigni le cui storie racconta Goffredo. Come Dan Fante, scrittore, poeta, drammaturgo di successo, figlio del famoso John Fante, un altro abruzzese d’origini umili che si alimenta con l’Italia nelle vene.

Dan, personaggio difficile, diffidente, intenso quanto il padre, un artista post-moderno e scomodo per autodefinizione. Un carattere, si potrebbe definire, torricellano: sempre orgoglioso comunque delle sue origini nell’entroterra abruzzese, rappresenta l’iconizzazione della sua discendenza e del titolo del racconto Il dio di mio padre, scritto dal padre John e che dà nome al Festival omonimo che si svolge ogni anno a Torricella Peligna. Oppure personaggi come lo stesso Goffredo Palmerini, Ilaria Guidantoni, Tiziani Grassi, Canio Trione, insigniti del prestigioso Premio per i Diritti Umani “Nelson Mandela”.

Credo piuttosto, da buon Italo-Americano, in quel fattore indiscutibile del potere dell'individuo, nella capacità trasformativa del singolo gesto, piccolo o grande, che puntualmente trova risonanza storica nella quotidianità di ogni singolo emigrante. Potremmo, in tal senso, dire che i personaggi e gli eventi che descrive Palmerini, le prolifiche situazioni vitali di preziosi tirocini di vita, le generosità economiche che si manifestano nelle nostre comunità, sono quegli sprazzi d’eccellenza e le gradite scoperte che contrassegnano le comunità abruzzesi in tutto il mondo e che rispecchiano il fenomeno migratorio nei suoi molteplici campi.

Il ruolo di Goffredo Palmerini, secondo me, in questo marasma confuso e intricato di relazioni, tutto all'insegna di quella dicotomia tra patria d’origine e patria d’elezione, è rilevante: è un ruolo chiave.  Goffredo rappresenta una pietra miliare per lo sviluppo di un nuovo tipo di rapporto che comprende non solo il giornalismo come reportage, ma con i suoi scritti egli installa un utilizzo dell’informatica che abbraccia e mette in rete imprenditori e operai, studenti e professori, commercianti e casalinghe, figli piccoli e grandi, appaltatori e pensionati, in un nuovo mondo virtuale ricco di relazioni vissute forsanche più intensamente, perché accomunati attraverso l'immediatezza del messaggio e del sentimento. Vedere e sentire i nostri co-emigranti in tempo reale via email, Facebook, Skype e iPad e sapere che stiamo tutti bene, che abbiamo saputo farci strada nonostante il fardello ereditato, vuol dire avere una nuova forza integrale che ci spinge a cercare nuovi contatti e possibili orizzonti da varcare.

Come scrisse Petrarca, parlando degli antipodi del globo e riferendosi a S. Agostino - Petrarca, dicevo, parlando degli antipodi, si domandava "chissà quali storie o genti ci attendono laggiù".  La risposta, a chi se l'è posta come me, ora ce l'abbiamo. Tutto merito di Goffredo Palmerini, che queste storie e genti ce le racconta e lascia che si raccontino. In questo mondo on-line ecco che leggiamo di Laura Benedetti, direttore del dipartimento di italiano della Georgetown University di Washington D.C., professoressa e scrittrice aquilana che rileggendo i nostri classici, in particolare La Gerusalemme liberata di Tasso, prende spunto per creare nuovi personaggi femminili che nascono nell’ombra della Diana tassiana.

Scopriamo Stefano Pelaggi, che con il suo libro Emigrazione italiana e colonialismo in America Latina, un testo incentrato sui tentativi del Regno d’Italia di coniugare i flussi migratori con le esigenza della politica estera e commerciale della nuova nazione. Accompagniamo lietamente Mario Fratti, che continua a stupirci con le sue opere e con i graditi successi a Broadway. Impresa difficile se non praticamente impossibile anche per i più bravi americani, ma non per il nostro abruzzese cult, ormai nell’olimpo del teatro, che peraltro continua a sorprenderci con due generi letterari diversi dalla drammaturgia: il romanzo e la poesia.

E qui dovrei aggiungere anche le tante notizie su presentazioni di libri, mostre d’arte, cerimonie di premi ed omaggi, aperture di centri culturali e sportivi, per concludere con le tante manifestazioni di amicizia che valorizzano la presenza degli emigranti abruzzesi nel vivo tessuto delle proprie comunità. Piccoli miracoli, raccontati come fioretti preziosi di operette morali, che illustrano viaggi della speranza in terra straniera riportati in Italia e poi diventati storie di successo, tutto nell’arco d’una generazione, passando dall’essere malvisti e discriminati fino a stare nei Parlamenti e nei Governi delle Nazioni, in settori importanti della società e della cultura, fino a diventare anche capitani d'industria, come avvenuto per la più grande industria automobilistica italiana nel mondo.
    
Sono modelli d’eccellenza che trovano sbocco in personaggi trainanti che permettono lo sviluppo economico, politico e sociale delle nostre comunità. Come un fitto dialogo tra un contesto ricco d’orizzonti promettenti ed emergenti ed uno a volte ripiegato sulla propria austera ma sempre elegante indole storica, questo libro di Goffredo Palmerini rivela una comune ansietà contemporanea riguardo quei problemi d’identità personale, d’identità etica e infine d’identità nazionale che si erode in un mondo sempre più divorato dal consumismo e dall'indifferenza.

Palmerini, in questo libro, racconta sia l'abruzzese emigrante sia l’abruzzese che non ha mai varcato la frontiera, ma che entrambi conquistano il successo con le proprie imprese, che possono anche sembrare momenti di redenzione personale ma non di riscatto. La propria dignità l’abruzzese non l'ha mai persa; non ha mai dovuto ridiventare italiano o abruzzese nel mondo, perché questo sentimento intimo non si è mai affievolito.

La missione di Goffredo Palmerini - e non a caso la definisco missione - è invece centrale e maestra. Dando voce a chi non l'aveva, fa capire a chi non ci ha mai pensato o a chi ha facilmente dimenticato, che esiste un fitto arazzo di personaggi e situazioni, di comunità ed eventi che varcano i confini di quell’Italia brava gente che è rimasta a giocare in casa. Questo suo giornalismo ricco di curiosità e desiderio di conoscenza varca frontiere invisibili, creando un mondo virtuale pulsante di chiarezza e nettezza, al di là del solito reportage colonialistico di osservatore colto, per diventare invece un tramite di colloqui vivaci e di reciproco rispetto. E per questo, da Italo-Americamo con l’Italia nel cuore, io non posso che ringraziarlo.

*docente Università di Ottawa (Canada)

domenica 6 agosto 2017

"DA SVEGLIO BEVO L'ALBA" - Mika Vlacovic Vladisavljevic




"DA SVEGLIO BEVO L'ALBA"

SEI IL MIO VINO

Sei il mio vino, la poesia e la virtù
in cui non smaltisco la sbornia già da un po’
sei il mio tutto ciò che conta, che fa rumore,
tutto che domanda e dà la risposta.
Mentre sottomesso, con gli occhi che brillano
davanti a te verso il fuoco incombustibile,
dentro te, io schiavo servo devoto.
Con lo splendore mistico, brucio sull’alto mare agitato
come la fiaccola strappata agli dei,
con il canto del risveglio in me,
con l’alba festeggiata dalla tua canzone,
con la musica che esce dal tuo respiro,
con la voce che profuma di donna.
Sei il mio vino, la poesia e la virtù
nella quale mi sistemerò fino al grande risveglio.
Mika Vlacovic Vladisavljevic

Traduzione Mirjana Dobrilla

sabato 5 agosto 2017

Sethi Krishan








 Sethi Krishan puts in his lyrical passionate passion and nourishes it with penetrating words. At the same time, vision is enlightened by the dream that is ardent: poems engraved with verses, words and silences. He proposes a lyrical song that reaches the depths of the human being, his vision pushes "beyond the silence" of the human to live. Shaping the words goes beyond the horizon as if thrown into the wind. Poetry of great suggestion, the verse flows on the wings of memory, dance, moves with grace. Poems are rare
intensity. The verses are full of pain, drama and
Of intense depictions that, like shards, penetrate the soul of the reader with a writing that is both mild and dense, a dry and sharp style but with a strong emotional impact. Works of strong maturity and elegant stylistic happiness.
Regina Resta

mercoledì 2 agosto 2017

LA STRAGE DI DONNE CONTINUA IN ITALIA - Roberto Rossi




LA STRAGE DI DONNE CONTINUA IN ITALIA

NEL PAESE SENZA CULTURA E AMORE - TRA POSSESSO E VIOLENZA



La strage di donne in Italia continua (nel mese di luglio 2017 in 6 giorni 8 donne uccise). È difficile capire ed è difficile ipotizzare cosa c'è, cosa esiste o cosa è naufragato nella mente degli uomini (genere) italiani. La mancanza della cultura, del valore del rispetto verso la donna e la mancanza di consapevolezza che donna e uomo, sono persone alla pari e che l'amore non è mai un possesso sono alcune delle cause. Detto questo, l'attuale decadenza di valori in atto ormai da decenni nella società italiana è una delle principali, ma non la sola, causa di questa tragedia umana. Necessita anzi urge un percorso culturale a vari livelli scolastici e sociali se si vuole limitare o meglio sarebbe eliminare tale follia. L'Italia (non solo) ha mostrato una paurosa decandenza sui valori umani e sociali aprendosi alla strada della violenza e della "giustizia personale". Questo anche perché la situazione politico-sociale e delle leggi è alquanto latitante proprio su quei valori "scaduti". Una vera oscenità culturale, mentale e sociale. L'arcaismo che è presente in molti maschi denota una spaventosa arretratezza e mancanza di formazione culturale a livello anche individuale che ci riporta ad usanze arcaiche o tribali che nulla hanno a che fare con il nostro tempo. L'ossessione del possesso sulla donna è la conferma di quanto nell'uomo, genere, ci sia di errato e di sottocultura. Il senso di possesso è forse la forma che testimonia una forte insicurezza nascosta proprio da quello stato mentale. Credere che amore sia possesso e violenza, è pura follia se non di peggio, e qui c'è l'assenza vera e pesante di Cultura verso la persona ed il suo essere tale. Nessuno è padrone di nessuno. Nessuno possiede nessuno. Ma amare è donarsi senza pretendere ed è rispettare l'altro in quanto appunto persona. Certamente nell'attuale situazione decadente di valori dove a diversi livelli non esclusi i poteri istituzionali e politici spesso assenti nelle problematiche di natura sociale, si è creato un vuoto terribile del valore del Sé, una mancanza reale della presenza di cui sopra, è causa anche di insicurezza anche nella donna, spesso ignorata, umiliata o annichilita sul suo stesso valore di persona. Anche la legge contro il femminicidio o la possibilità di denuncia quando ci siano i presupposti di una protezione, spesso non è attuabile per lacune evidenti e terribili. Allora cosa si aspetta ad agire, seriamente e non blaterando chiacchiere inutili, di trovare modi e metodi reali e decisi per trovare soluzioni per uscire da questa barbarie? Noi italiani spesso, ci atteggiamo a manifestare una sorta di superiorità verso altri di altra etnia, ma siamo capaci di guardarci dentro? Oppure anche in questo caso siamo vigliacchi e preferiamo girarci dall'altra parte e vedere i difetti solo negli altri? Ma siamo sicuri di essere civili? Se lo fossimo non credo che agiremmo in questo modo mostruoso. Io credo che a noi uomini, genere, manca il coraggio di guardaci dentro. Siamo troppo vigliacchi. Siamo anche troppo primitivi o forse primordiali se abbiamo questa considerazione della donna e la ammazziamo solo perché donna che si "azzarda" di essere persona alla pari!! Quanta immaturità ci è dentro per agire in questo modo? Quanta necessità c'è di prendere coscienza che noi uomini, genere, non abbiamo alcun diritto, alcun possesso sulla donna, ma se la amiamo, allora il rispetto le è dovuto. Nell'amore non c'è sottomissione, assoggettazione, schiavismo, possesso. Certo ci sono molte difficoltà da affrontare nel rapporto a due, di varia natura, ma la violenza e il possesso non solo non sono giusti, ma non sono neanche reazioni normali di persone coscienti. Dall'inizio anno 2017 al 15 luglio dello stesso anno, le donne uccise (femminicidi) sono già 29 e purtroppo sembra non fermarsi questa orribile mattanza.Questi dati dovrebbero farci pensare. Più crediamo di essere "moderni" più ci comportiamo da esseri psicotici. Bel risultato davvero. Come detto più volte, noi uomini, genere, dovremmo avere il coraggio di guardarci dentro in profondità, forse allora potremmo scoprire la nostra natura e scoprire anche la fasulla nostra "virilità" mentale che sfocia nella brutalità della violenza e del femminicidio.

Testo di Roberto Rossi.
Pittore, poeta, scrittore
Disegno di Roberto Rossi su foglio A4, china, acquerello, pastello. Anno 2017.