“Moto moto", nulla muore veramente
L'Aquila, il ricordo di quella terribile notte del 6 aprile 2009
Squilla il telefono, sono le ventidue circa. Rispondo preoccupata, con la gola secca, il fiato corto.
“ciao…l’hai sentito?”
“si” rispondo con la voce rotta dall’emozione… “si”.
Non aggiungo altro, non riesco ad aggiungere altro, ho gli occhi umidi e
una sensazione di impotenza mi invade. Piango, senza indugio, senza
pudore, volutamente per liberare la tensione e l’angoscia intrappolata
dentro di me che da alcuni mesi, quasi ogni giorno, si ripresenta.
“Non ti preoccupare, stai tranquilla, cerca di dormire! Speriamo non ce ne siano altre questa notte!”.
Rimango scettica, confusa, sento una sensazione di disagio. Sono a
casa, nel luogo che dovrebbe farmi sentire protetta, dove la paura
dovrebbe attenuarsi e lasciare spazio alla tranquillità, alla sicurezza,
ma neanche la rassicurazione della mia amica Rosanna riesce a sedare la
mia ansia, a farmi stare tranquilla! Mi guardo intorno, seduta nella
mia bergère che mi fa stare comoda. Osservo attentamente la mia bella
casa con le luci soffuse, in penombra, accarezzo con sguardo
malinconico ogni oggetto. Che belle le mie lampade di cristallo così
raffinate e leggere con la loro luce! Le guardo ogni sera e sempre le
ammiro felice per averle poggiate proprio li, sul mobile verde, vicino
al vassoio d’argento regalatoci quando io e Claudio ci siamo sposati! E
le potiches blu cobalto mi riportano indietro negli anni.“Ti piacciono cara? prendile sono tue". Che felicità e che onore!.
Era la baronessa Vanna Santucci in persona a regalarmele!
“Grazie ma non posso accettare” dissi con voce timida.
“Sono tue, ti prego di prenderle, sono felice di donarle a una giovane
sposa e poi Libera e Piero sarebbero molto felici di sapere che le ho
donate a te!”.
Vanna era una donna alta, magra, con bellissime mani
che muoveva con molta eleganza. I suoi bracciali d’oro creavano un
tintinnio che non disturbava mai nonostante si sentisse continuamente,
al contrario, rendevano l’atmosfera leggera, festosa! Era elegante, il
naso incipriato, un sorriso accattivante e una vocina infantile
nonostante i suoi ottanta anni! Veniva a farci visita a L’Aquila quando
si recava alla sua villa di Navelli dopo che suo fratello, il barone
Piero Santucci e sua moglie Libera riposavano nel piccolo cimitero del
paesino.
Zio Italo la invitava a casa Gasbarri e lei accettava
sempre volentieri felice di trascorrere una giornata nella nostra casa
dove l’ospitalità era una vera e propria priorità. Ogni volta si
presentava con un dono per mio figlio Franco, un pacco gigantesco che
incuriosiva anche noi adulti. Quando con eleganza lo scartava, l’attesa,
il desiderio e l’immediata felicità creavano ogni volta una magia! Si
divertiva lei stessa a vedere Franco agguantare con le manine i peluches
e rincorrerli nella grande sala da pranzo. Che allegria quel giorno con
i due coccodrilli rosso e verde che correvano in direzioni diverse!
“Grazie Vanna così lo vizi” le dicevo.
Mi rispondeva ridendo con la sua vocina incantevole “io cara sono stata
molto viziata da bambina dai miei genitori e sono stata sempre felice!
Perché privarci di ciò che ci rende felici quando possiamo averlo?”
Ormai Franco si aspettava sempre un regalo e le correva incontro ogni
volta che veniva a farci visita e lei non lo deludeva mai. Arrivava
sempre con entusiasmo, col suo dono fatto col cuore!
Io
la ringraziavo ogni volta e mi entusiasmavo per la gioia e il
divertimento che lei stessa provava. Un giorno volle che prendessi tutti
i regali e li azionassi tutti insieme! Che spettacolo, che magia vedere
tutti gli animaletti animati che correvano in tutte le direzioni del
salone con mio figlio impazzito a rincorrere, ad acchiappare e lei che
rideva e si divertiva come una bambina! Si era trasferita a L’Aquila da
Roma, aveva avuto due mariti amati e adorati entrambi. Mi parlava spesso
di loro e lo faceva con grandissima ironia sottolineando che aveva
sempre assecondato i loro desideri come dovrebbe fare ogni brava moglie.
Nelle scelte aveva seguito sempre il cuore. Nonostante i sui anni
ancora una volta era rimasta affascinata da zio Italo sempre galante e
soprattutto generosissimo con le signore. Lui si occupò di tutto, del
trasloco, della sistemazione di lei in un appartamento molto grande,
comodo, insieme a Gerri, il suo cane, un trovatello sottratto alle ire
del proprietario. Aveva viziato tantissimo anche il suo fedele amico
fino a farlo ingrassare tanto da non sembrare più neanche un cane!
Andavo spesso a trovarla nella sua nuova casa a L’Aquila e sempre
parlavamo e ricordavamo Piero e Libera. Che affetto avevo per loro!
Quando li ascoltavo in casa Cagnoli avevo occhi e orecchie solo per
loro, che persone interessanti, colte e soprattutto molto affettuose. A
pranzo ascoltavo attentamente tutto ciò che dicevano, ironici, mai
banali. Io ero molto giovane, avevo molto da imparare da loro!
L’avvocato Piero amava molto la cucina abruzzese, gradiva soprattutto il
formaggio pecorino e i fagioli di Paganica, li divorava e c’era
veramente molta soddisfazione nell’invitarli a pranzo! Il padre di
Claudio, il dottor Franco Cagnoli, diceva che bisogna mangiare poco, che
a tavola si deve essere parchi per stare bene e che l’eleganza si vede
anche a tavola…ma il barone Piero gustava veramente tutto ed era sempre
felice di assaggiare tutto della cucina abruzzese trasgredendo ogni
volta questa regola! Anita, la madre di Claudio era maestra nel
viziarli con le crostate squisite di casa Gasbarri. Io e Claudio eravamo
fidanzati già da molti anni, Piero e Libera Santucci erano amici di
famiglia e spesso erano ospiti in casa Cagnoli. Venivano da Roma per
andare nella loro residenza di Navelli, una bellissima e grande villa
immersa nel verde con tante statue antiche, mobili pregiati, lampadari
giganteschi in ferro battuto, candelabri d’argento suppellettili
preziose come i puttini di porcellana in una nicchia su un comò del
settecento.
Eccoli, li sto osservando, eleganti, belli, ognuno di
loro suona uno strumento e sono sul comò davanti a me! Li guardo con
tenerezza come fossero animati, li accarezzo con lo sguardo, con
affetto. Ho rispettato e mantenuto la loro posizione, tutti uniti su un
comò del settecento nella mia casa di via Rustici a L’Aquila, come una
piccola orchestra che suona idealmente sempre per me, per loro!
Quando andai per la prima volta nella villa di Navelli dei Baroni
Santucci mi sembrò di essere sul set di un film dove la scenografia
trionfa superba. Piero mi descriveva con dovizia di particolari tutte
le stanze, dalle antiche scuderie, alle cucine piene zeppe di pentole di
rame sulle antiche mattonelle, le tante e tutte diverse camere da letto
con tendaggi pregiati, letti in ferro battuto e madreperla, baldacchini
di legno e stoffe di seta, saloni maestosi con tavoli, argenteria
pregiatissima e posate d’argento con lo stemma di famiglia! Ogni oggetto
ricco di storia. A pranzo un’atmosfera che mi sbalordiva e meravigliava
con Armandino che ci serviva a tavola in maniera impeccabile! Osservavo
attentamente ogni cosa con stupore, tutto per me era nuovo e ne subivo
il fascino; ascoltavo e sorridevo timidamente e mi guardavo bene dal
proferire parola, avevo paura di sbagliare, di dire cose banali e
superficiali data la mia giovane età, mi limitavo soltanto ad ascoltare e
fare qualche domanda. La signora Libera aveva per me una simpatia
particolare “è una bella e brava ragazza la fidanzata di Claudio ed è
anche intelligente” disse un giorno ad Anita!
Sapere
che ero entrata nelle sue grazie mi rese felice e mi fece sentire anche
un po’ più sicura. Cominciai subito a volerle bene. Andavo spesso a
Roma nella sua bella casa su Lungotevere delle Armi con Ranalli,
l’autista di casa Gasbarri. Un giorno andammo io e la mia amica Lunella,
la signora Libera ci invitò a pranzo, gentile ed affettuosa come
sempre! Ricordo la tavola apparecchiata in maniera impeccabile, piatti
di porcellana finissima e bicchieri di cristallo. Che meraviglia! La mia
giovane età la inteneriva e voleva sempre darmi consigli preziosi. In
una nicchia del salone, un bellissimo orologio dell’ottocento francese
tutto in foglia oro e piccole icone in porcellana spiccava su un antico
comò.
“Che bello quest’orologio” le dissi.
Qualche mese più
tardi, prima del mio matrimonio con Claudio, Libera e Piero, che
sarebbero stati i nostri testimoni di nozze, vennero a farci visita con
un grande pacco!
Era il loro regalo per noi!
Accarezzo con lo
sguardo l’orologio francese nel mio salone sul comò del settecento! Non
posso fare a meno di osservarlo a lungo, fissarlo con amore, con gli
occhi lucidi! Penso a Libera e Piero. Tutto è dentro di noi, nulla muore
veramente, anche i puttini di Vanna sono li, vicini, suonano per me,
per loro.
Mi commuovo.
Quando vidi la prima volta la casa di via
Rustici a L’Aquila, rimasi colpita dalla bellezza della facciata del
cinquecento e anche se la casa all’interno era un disastro dissi a
Claudio che mi sarebbe piaciuto ristrutturarla. Vivevamo in quel periodo
in casa Cagnoli, eravamo sposati da qualche anno e sentivamo il bisogno
di andare a vivere in una casa tutta nostra.
“Carissima, dovete farvi una casa tutta per voi” mi consigliava la signora Libera.
Mi innamorai della casa di via Rustici al centro della città. Mio suocero ce la donò.“Mamma, io e Stefano usciamo”, mio figlio Franco mi riporta alla realtà.
“Dove andate?”
“facciamo un giro”
“torna presto mi raccomando, state attenti”
“vai a letto mamma...buonanotte”
Franco esce con Stefano il suo amico bassista con il quale ogni
domenica fa le prove, è un musicista. Ha una passione per la scrittura e
la musica fin da piccolo e la casa custodisce insieme a noi i nostri
interessi artistici, e rende tutto più bello e affascinante! Le
tantissime serate di Franco con gli amici, il camino acceso, creano ogni
volta un’atmosfera magica, irripetibile. Adoro la sua passione e la
sua creatività. Le note della sua musica accompagnano ogni istante della
mia giornata da anni, salgono nei piani più alti della casa e spesso
rimango ad ascoltare sognante le sue note senza che lui se ne accorga!
Gli oggetti immersi in questa dimensione magica sembrano ringraziare!
Non
vado a letto, ho troppa paura. Prendo immediatamente una decisione,
rimango sveglia tutta la notte! Guardo distrattamente la televisione,
non ho sonno, sono irrequieta, in ansia. Eccolo di nuovo, la paura mi
paralizza, tutto intorno a me trema, non riesco a muovermi! Squilla il
telefono “ho paura…ho paura” rispondo piangendo. “Sei sola” mi chiede la
mia amica “si Franco è uscito” “allora vieni subito qui ti aspetto”.
Scendo di corsa le scale, vado verso piazza San Silvestro dove da mesi
parcheggio la mia macchina e vado verso l’Istituto ex Onpi, c’è la mia
amica Brunella, mi viene incontro in silenzio, abbiamo tutto stampato
sui volti che si interrogano.
Piango.
Arriva Fabrizio, il
dirigente dell’istituto, sono preoccupati per gli ospiti che sono li,
tante persone anziane sedute nella reception.
Vado verso di loro e
mi metto a parlare. Sono tutte li, in silenzio. Parlare con loro mi da
coraggio, hanno un atteggiamento composto e dignitoso, i loro volti
rugosi, le loro solitudini mi fanno pensare alla loro vita, immagino i
loro volti giovani, mi piacerebbe conoscere le loro storie, il loro
vissuto! Provo nei loro confronti rispetto e tenerezza. Parlare con loro
mi tranquillizza, sono li, sembra non abbiano più nulla da temere.
Hanno affrontato tutta una vita e ora attendono.
Prendo coraggio da loro. Rimango lì fino alle due e trenta circa.
“Che
facciamo vogliamo passare la notte a Piazza d’Armi in macchina?” mi
chiede Brunella, “no, voglio tornare a casa, voglio vedere mio figlio
Franco, sono preoccupata per lui” rispondo.
“torniamo nelle nostre case, forse per questa notte non ce ne saranno altre”
“Ciao”, ”ciao”, non aggiungiamo nulla, prendiamo le macchine e
percorriamo un pezzo di strada insieme, fino all’incrocio, poi il saluto
al semaforo con un cenno della mano e gli occhi lucidi, non sappiamo
cosa ci attende.
Sono di nuovo sola, mi chiedo se troverò a casa Franco, mi sentirei più tranquilla.
Parcheggio la macchina come faccio prudentemente da mesi su un lato
della chiesa di San Silvestro, verso il viale, e con passi insicuri e
frettolosi corro verso casa.
“Franco ci sei?” non ottengo risposta!
La paura dentro casa non mi abbandona un istante, mi siedo, accendo il
televisore, ma non riesco a vedere e sentire nulla, sono troppo tesa. E'
molto tardi.
Chiamo
Franco sul telefonino, non è raggiungibile! Inizio a chiedermi se ha
avuto paura, dove possa essere e soprattutto, quando tornerà. Non voglio
stare lontana da lui in questo momento, l’ansia è incontenibile!
Tengo la borsa molto vicina e poggio il telefonino sull’altra poltrona pronto se dovesse squillare.
Accarezzo con lo sguardo la mia casa, gli oggetti che tanto amo con
un senso di frustrazione e angoscia. Inizio a provare per loro una
tenerezza e ho la sensazione di un amore che ci fa soffrire, che non si
vorrebbe mai lasciare.
Tutto tace.
Passa quasi un'ora, sento dei passi e la porta di casa aprirsi! Finalmente Franco, sta entrando.
“Dove sei stato?, l’hai sentito?, con chi eri?, che avete fatto?, hai avuto paura?”
“Mamma, sono le tre e venti sei ancora sveglia? Perché non vai a
dormire? Si l’abbiamo sentito, non ti preoccupare, stai tranquilla, sei
sempre più ansiosa, vai a dormire! Io rimango ancora un po’ allo
studio”.
“No, non vado a letto, rimango qui tutta la notte, se mi addormento non ti preoccupare!
“Va bene ”.
Rimango intirizzita ancora per qualche minuto, cerco di accomodarmi meglio sulla poltrona, di coprirmi.
Eccolo, di nuovo, il mostro arriva, scuote la casa, le pareti si muovono tutte, non si fermano! “Dio mio, Dio mio”.
Scatto in piedi ma non posso muovermi, oscillo, urlo con tutto il
fiato che ho in gola “Franco, presto, ci crolla la casa addosso,
scappiamo nella scala tonda!”.
Il pavimento si muove, le pareti del
salone si spostano verso di me, mi vengono addosso, rimango impietrita,
il boato mi terrorizza.
E' la fine.
Afferro la borsa, non c’è
tempo, gli oggetti cadono, il rumore si unisce al boato, non riesco
nemmeno a stare in piedi, le pareti si spaccano sento che la casa sta
per crollare!
"Corriamo presto, mettiamoci li, al riparo!” Un
vortice, un mostro che si sprigiona dalle viscere della terra mi
annienta, ho le ginocchia fragili, sento il cuore impazzire, forse non
ce la faccio.
E' finita!
Corro, urlo, inciampo, mi rialzo, scendo le scale, trovo Franco.
Scioccato, bianco come un panno lavato, non dice nulla. La scala tonda ci protegge, il mostro si placa.
Apriamo immediatamente la porta di casa e usciamo impauriti!
Lo spettacolo che vediamo è spettrale.
Un mare di polvere, massi di pietra, detriti, ragazzi e ragazze
universitari sconvolti, in pigiama, scalzi, infreddoliti con volti
polverosi e figure che non riusciamo nemmeno a distinguere, tutti con lo
stesso terrore.
Si abbracciano con Franco, si fanno coraggio ma io
urlo “scappiamo giù, qui è pericoloso, ci sono i crolli, potremmo essere
colpiti” Corriamo tutti terrorizzati e arriviamo allo slargo di viale
Don Bosco piangendo, molti ragazzi cercano di telefonare ai genitori ma
la linea telefonica non funziona, solo alcuni fortunati ci riescono!
La città è al buio completo, immersa nella polvere e nel terrore. Tremo tutta, non riesco a fermarmi.
Iniziano ad arrivare altre persone dalle case vicine, tutte scioccate,
incredule! Franco sempre più bianco e indifeso. Parla con i ragazzi, si
interrogano con gli occhi! Abbraccio una studentessa di Teramo che abita
nella casa accanto alla mia, sta cercando di mettersi in contatto con i
genitori.
Rimaniamo lì, al freddo, immersi nella polvere,
intirizziti e tremanti! Non riusciamo a capire nulla, non arriva nessuno
a soccorrerci, a dirci qualcosa!
Sono
preoccupata per i miei fratelli e sorelle che vivono a Paganica, non so
nulla di cosa sia successo lì, non ho il telefonino è rimasto a casa!
Penso alle mie amate nipotine Greta, Angelica e Vittoria le figlie di
mio fratello Luciano.
Non passa nessuno, siamo in balia della notte, dei pianti e lamenti.
Franco inizia a urlare “Dio non esiste, Dio non esiste!”, “Ragazzi, Dio non esiste!”.
Mi commuovo, è scioccato, ora comincia la sua reazione! Lo abbraccio,
gli dico di stare tranquillo, ma all’improvviso mi dice “torno a casa, a
prendere le mie chitarre!”, “ti prego” gli urlo “non andare, è
pericolosissimo, lasciale li!”. “No” mi grida “se muoiono le mie
chitarre vorrà dire che morirò con loro” e si allontana verso casa.
Piango, mi dispero, sono consapevole del pericolo che corre, la terra
continua a tremare temo per la sua vita. Mi sento chiamare da una
macchina. E’ Maria Laura con Ennio, “andiamo a vedere se Giuliano sta
bene, a piazza San Silvestro c’è Daniela”.
Mi faccio coraggio,
percorro di tutta fretta via dei Porcinari, arrivo alla piazza, vedo
moltissime persone infreddolite e sconvolte, tanti amici terrorizzati.
Parlo
con Daniela che è salva per miracolo, è riuscita a trovare un varco tra
le pietre del crollo della sua casa ed è completamente scalza. Ho il
pensiero di Franco, torno velocemente giù a vedere se è tornato.
Dei
ragazzi universitari stanno cercando di salvare un signora da una casa,
si arrampicano su una scala e la chiamano dalla finestra ma non si ode
risposta.
Passano dei minuti terribili per me perché il pericolo che
corre Franco è altissimo, la terra continua a tremare, ci sono case
crollate, cornicioni pendenti dai tetti, mucchi di pietre a terra.
Eccolo, lo vedo spuntare con due chitarre nelle custodie. Mi precipito
verso di lui e decidiamo di metterle in macchina al sicuro. In quel
momento passa Maria Grazia, abita anche lei nella mia zona e insieme al
compagno sta andando a Caporciano. Ci salutiamo con grande affetto
contente di essere vive! I nostri occhi rimangono lucidi!
Cerco in
tutti i modi di mettermi in contatto con Paganica e con Claudio che è a
casa di Anita ma su questo fronte nulla da fare, le linee sono
interrotte!
Continuo a tremare, senza sosta, allora Franco mi
abbraccia e mi urla “mamma, smettila di tremare! Fermati!”. “Non posso “
rispondo “tremo e basta non dipende da me!”
Cominciamo
a sentire il suono delle sirene in lontananza, passa una macchina,
qualcuno dice che l’epicentro è a Paganica! Mi dispero, il mio pensiero
fisso sono le nipotine. Sono in pericolo, sono salve? Il pensiero per
loro non mi abbandona più. Franco cerca di contattare Claudio e Anita
ma non ci riesce allora decidiamo di correre da loro in viale Niccolò
Persichetti. “Andiamo presto” mi dice e corriamo giù verso Belvedere. A
metà strada si unisce a noi un carissimo amico di Franco, Ubaldo Lopardi
che condivide con lui questa missione pericolosissima con affetto
fraterno. Correndo incrociamo anche la mia amica Rosanna con sua figlia
Costantina e sua zia, anche loro preoccupate, scambiamo qualche parola
sempre correndo poi ci perdiamo di vista.
“Oh Dio mio, è crollato l’Hotel Duca degli Abruzzi!”
Avevamo salutato, io e Claudio, parenti ed amici la sera del mio
matrimonio, proprio nella bellissima sala di questo albergo! Una cena
con una visione notturna sulla città che mozzava il fiato tanto lo
scenario era bello, faceva sognare! Come ero felice, stavo vivendo il
mio sogno d’amore!L’albergo è accasciato, distrutto e il freddo rende
questa scena irreale. Guardo tutto sempre correndo senza fermarmi, con
dolore rivivo la sera del mio matrimonio e mi rivedo dentro l’albergo
nella stanza dove io e Claudio trascorremmo la prima notte di nozze.
Torno subito alla realtà.
Senza rallentare, arriviamo trafelati al ponte “attenti ragazzi” urlo,
“corri corri Franco” lo precedo tanta è la paura. Mi sembra che correre
davanti a lui possa proteggerlo!
Il ponte è tutto spaccato, rotto,
non so se si può attraversare! A metà ponte continuo a gridare “Presto,
presto, qui è pericolosissimo potrebbe crollare”. Arrivare dall’altra
parte è un’impresa che mi spossa. La paura e la tensione lo fa sembrare
ancora più lungo!
Siamo dall’altra parte.
La situazione è
desolante! Palazzi spaccati, tetti crollati, gente che si dispera e
piange. Ci imbattiamo in un gruppo di persone tutte infreddolite,
spaventate e tremanti. Scambiamo qualche parola in maniera concitata e
corriamo verso casa di Anita. Viale Niccolò Persichetti è completamente
al buio, i grandi palazzi sono tutti lesionati, rotti, anche qui solo
desolazione. Tutti tremano dal freddo. Franco fa uscire Claudio e Anita
dallo studio e ci mettiamo insieme a tante altre persone allo slargo
che si crea all’incrocio con via XX Settembre.
“E’ crollata la casa dello studente” urlo di nuovo.
Si vede l’interno delle stanze, si odono pianti, grida soffocate.
Iniziano ad arrivare i soccorsi, iniziano a sentirsi le sirene delle
ambulanze, i fotografi. Vediamo tirare fuori ragazzi feriti, una realtà
che mi strazia il cuore e mi rende impotente. La tensione è fortissima,
anche la commozione, non ce la faccio è veramente troppo da sopportare,
vite e famiglie distrutte per sempre!
Dal terrazzo della casa di
Anita, quando abitavo in casa Cagnoli, vedevo la Casa dello studente e
tantissimi ragazzi e ragazze alternarsi in quella casa! La sera le loro
stanze erano sempre illuminate fino a tarda notte, a volte fino alle
prime luci dell’alba!
In alcune finestre non c’erano le tende e
potevo osservare la vita che si svolgeva all’interno. Vite dinamiche,
serate con amici, serate di baldoria e giornate di studio intenso in
piena solitudine. Non ne conoscevo nessuno personalmente ma conoscevo i
loro ritmi, le loro abitudini e la loro gioia di vivere, quella di
quando si è giovani, lontano dalle famiglie quando tutto è permesso,
percepivo la gioia della condivisione della libertà ritrovata.
E poi l’ora della mensa e il chiasso, il vociare.
A volte il mio sguardo si incrociava con quello di un ragazzo o ragazza
che era nella stanza e percepivo che anche loro conoscevano le mie
abitudini.
C’è Stefania che mi grida “Bruna Dante è morto!”. Cerco
di farle coraggio, le dico che sicuramente si sta sbagliando che non le
risponde a telefono perché le linee sono interrotte, ma di fronte
abbiamo tutta la parte di casa dove abita crollata! Sembra bombardata!
Sarà riuscito a scappare oppure è stato travolto dal crollo? Non
riusciamo a capire nulla. Dico a Stefania che forse Dante è scappato e
non ha il telefonino. Ma lei ha un brutto presentimento e tutte le mie
rassicurazioni non calmano la sua angoscia che diventa sempre più grande
man mano che passa il tempo e non lo vede arrivare! I Vigili del Fuoco
iniziano a controllare, a scavare le macerie, tutti siamo in
apprensione! Tirano fuori delle persone, dei giovani, non sappiamo se
sono feriti o morti e ci disperiamo, ci commuoviamo! Verso le cinque del
mattino arriva Roberto Gasbarri che ci invita ad andare nella sua casa
di legno a Sassa. Decido di rimanere lì, l’angoscia per le mie nipotine
mi rende impotente, voglio cercare di mettermi in contatto con loro a
tutti i costi.
L’alba è vicina, le luci rendono lo scenario
spettrale! C’è un’atmosfera fredda, impregnata di desolazione, tutto
sembra fermo, immobile, i crolli delle case e dei palazzi mi inducono ad
andare avanti, a cercare con la mente Greta, Angelica e Vittoria.
Vago, penso a loro e ai miei fratelli e sorelle dei quali non so ancora
nulla. Mi incammino verso via XX Settembre, passo davanti ai negozi con
le saracinesche abbassate e le pareti tutte spaccate. Ecco la casa di
Annarita.
“Bruna, siete invitati a cena per il ventisei dicembre a
casa dei miei genitori. Seguirà una tombolata con i premi della casa!”
Era Paola Bellisari al telefono a invitarmi.
Ci eravamo conosciute
da poco su un set cinematografico dove dovevamo interpretare delle dame
ottocentesche con bellissimi costumi d’epoca per il film
“D’Annunzio”, la regia di Sergio Nasca interpretato da Robert Powell,
Stefania Sandrelli e altri attori bravissimi.
Un film sulla figura giovanile di Gabriele D’Annunzio e la sua relazione con Elvira Fraternali Leoni, detta Barbara.
Molte scene girate nei bellissimi palazzi Aquilani con l’arredo ottocentesco.
Da allora gli inviti a cena erano frequenti, eravamo diventate amiche.
Ogni volta rimanevo stupita dalla cura con la quale Paola, Annarita e i
genitori ricevevano gli ospiti, sempre attenti ad ogni particolare,
un’ ospitalità davvero straordinaria.
Mi commuovo! Provo malinconia e dolore!
La strada è completamente deserta, sono sola.
Mi chiedo dove siano, se stanno bene, lo scenario è tristissimo, la
polvere avvolge le case e sembra non volerle lasciare, il chiarore
dell’alba crea un grigiore di morte e desolazione. Arrivo all’incrocio.
al Grande Albergo incontro Francesco Carli, lo saluto con affetto, gli
dico che sono preoccupata per le mie nipotine e lui con le lacrime agli
occhi mi dice “io ho perso una sorella, Annamaria”, lo guardo
annientata, la realtà inizia a manifestarsi nella sua crudeltà più
terribile, la morte degli affetti più cari, dove il mostro lascia la sua
traccia più forte e terribile.
Saluto Francesco. Sono commossa, scioccata dalla notizia.
A piazza Duomo ci sono molte persone, parlo con alcune di loro.
Incontro di nuovo Daniela, mi dice che Gianni Properzi è rimasto
intrappolato in casa ed è sceso dalla finestra calandosi con un
lenzuolo. L’immagine della bellissima chiesa delle Anime Sante
completamente sventrata mi costringe a sedermi e fermarmi, Dio mio che
disastro! Sono stanca, tutte queste emozioni mi indeboliscono
mentalmente e fisicamente. Credo di aver bisogno di aiuto, sto male, non
ce la faccio, mi sento svenire. Mi faccio forza, attraverso il corso
cercando di passare al centro per evitare i crolli e le pietre che lo
hanno invaso. Il centro città è completamente disastrato, noto pareti
completamente sventrate, cornicioni venuti giù. Penso a mio figlio che
tornava sempre a casa a piedi la sera e al pericolo corso.
Alzo gli
occhi verso il palazzo dove vivono Giansaverio e Annarita Cappa, mi
chiedo dove siano, se stanno bene. Arrivo alla fine del corso grande e
devo stare attenta, l’angolo ha il cornicione del palazzo completamente
rotto alcuni pezzi molto grandi sono già a terra!
Arrivo a Piazza Palazzo passando su un cumulo di macerie lungo tutta la strada.
C’è Eva, Giulia, ci salutiamo, tutte abbiamo gli occhi lucidi. Più giù
incontro Paola e Carlo, ci abbracciamo, la loro bellissima casa non ha
più il tetto, è crollato. Carlo è ferito ai polsi, sanguina, è stato
graffiato dal suo cane, impaurito, nel tentativo di salvarlo.
Penso
alle tantissime volte che ho accompagnato la mia amica Paola a Roma per
scegliere con cura e attenzione tutto ciò che serviva per l’arredo del
suo appartamento in uno dei palazzi più grandi e belli della città, ai
consigli scambiati con lei per il timore di sbagliare nelle scelte.
Conoscevo tutto nei dettagli, la bellezza della casa, i mobili, quasi
tutti di famiglia, gli oggetti, i tessuti, mi torna alla niente
l’impegno costante di Paola durante la ristrutturazione! Il piacere di
essere invitata costantemente insieme a tanti amici, la gentilezza e la
generosità dei padroni di casa. Il privilegio di essere affacciati dalle
finestre che davano su piazza Palazzo durante l’apertura della
Perdonanza Celestiniana, guardare dall’alto l’arrivo della fiaccola
partita dall’Eremo del Morrone portata dal tedoforo e l’accensione del
Tripode posto sulla torre civica di Palazzo Margherita.
Il mostro avvolge tutto nella distruzione! Paola mi dice che andrà da Franca a Santa Maria.
Incontro Nicola, un amico al quale chiedo se mi fa telefonare a
Paganica per cercare di contattare i miei cari ma nulla, non ci
riusciamo. “Nicola ti prego, accompagnami a casa, devo riprendere il mio
cellulare per sapere cosa è successo alle mie nipotine!”, “si andiamo
di corsa, ma stiamo attenti è molto pericoloso” mi risponde. Corriamo
come pazzi cercando di non inciampare alle pietre gigantesche che sono
sul percorso saliamo su via Accursio arriviamo a piazza Santa Maria
Paganica e lo scenario che vediamo è da brividi. La Chiesa è
completamente sventrata, crollata, il tetto non c’è più sembra
bombardata! Li, seduta ai bordi della fontana c’è Emanuelita come uno
zombi, l’abbraccio, non sa cosa dire, non sa cosa fare, è scioccata e mi
preoccupo per lei, per fortuna c’è Giorgio. Li saluto e continuo
insieme a Nicola la corsa verso casa passando per via Garibaldi. Quasi
tutte le case hanno i tetti e i cornicioni crollati, la strada non è
percorribile, sentiamo ancora la terra tremare diverse volte e siamo
veramente in pericolo. Attraversiamo la strettissima via delle Streghe
di tutta fretta e finalmente a via Rustici apro la porta di casa con la
mano che trema, dico a Nicola di far squillare il mio cellulare. Salgo
velocemente in camera a prendere il mio computer portatile, un paio di
scarpe e i pantaloni per Franco.
La casa ha tutti i mobili rotti,
gli armadi aperti hanno fatto riversare sul pavimento piatti vestiti e
tutto ciò che contenevano all’interno, vetri rotti, pareti spaccate ma
non ho tempo per guardare tutto, Nicola mi urla che ha recuperato il
telefono di scendere di corsa perché non c’è più tempo.
Scappiamo e andiamo all’angolo della chiesa di San Silvestro dove ho la mia macchina.
Siamo al sicuro! Saluto Nicola, che amico, non dimenticherò mai il suo
gesto di generosità! Gli sarò sempre grata. Scorro velocemente le
chiamate sul mio cellulare con grande ansia e leggo il messaggio "Siamo a
Paganica al campo sportivo, stiamo tutti bene, ti aspettiamo”.
Piango.
Sono sfinita ma finalmente l’ansia che dalle tre e trentadue mi accompagna si placa.
Vado a Paganica, il mio unico pensiero e di abbracciare tutti e stringerli forte a me!
Finalmente vedo le mie amatissime nipotine, sono in macchina insieme ai
genitori, le abbraccio commossa, piangendo, le stringo forte, non mi
stanco di baciarle e sentire le loro vocine che ripetono in
continuazione sempre le stesse cose, all’infinito.
Greta la più
grande ha otto anni mi racconta tutta concitata “zia, abbiamo sentito il
terremoto, mamma ha abbracciato me, papà Angelica e Vittoria, siamo
scappati ma quando siamo usciti il cancello di casa non si apriva, per
fortuna è arrivato Andrea, ci ha abbracciate e fatto scavalcare il
cancello!”; Angelica cinque anni con la sua vocina tranquilla che la
caratterizza “il terremoto zia, c’è il terremoto! Zia Lovorca diceva oh
Signore mio, questo non doveva succedere", continua a congiungere le
manine e ripetere “questo non doveva succedere”; Vittoria la più
piccola, di soli due anni, mi guarda con i suoi bellissimi occhi azzurri
impauriti, preoccupati, sembra non voglia dire nulla e invece senza
staccare gli occhi dai miei dice in continuazione "moto, moto". Bruna Bontempo