LUCI E OMBRE NEI PLEBISCITI
Il libro di Enzo Fimiani, una novità nella ricerca
storica
di Mario Setta *
“La storia è divertente” è l’affermazione
di un grande storico, fucilato il 16 giugno 1944. Marc Bloc, ebreo. Ma afferma anche che un “bravo storico” deve
comprendere e non giudicare, perché “il diabolico nemico della storia vera e
propria è la mania del giudizio”. Ci sono libri che si leggono e libri che si
studiano. Questo è un libro in cui “lo storico analizza”, per restare nel
linguaggio di Bloc. E analizza con una acribia che non scoraggia, ma incanta,
dal momento che un quarto del libro è affidato alle note e ai i riferimenti
bibliografici. Non è solo un libro “divertente”, perché la storia sarebbe
divertente, ma anche un libro enigmatico fin dal titolo, virgolettato, che non
può non richiamare un detto storico: «L’unanimità più uno».
“Locuzione all’apparenza paradossale”,
viene ritenuta dall’autore, ma posta come titolo del libro sollecita la
curiosità e l’interesse, ricercandone il senso profondo. Una frase, di cui si
svela l’autore verso la fine del libro e se ne dibatte forma e sostanza,
sintetizzando e focalizzando così la tematica di “plebisciti e potere”, il
sottotitolo del libro. Il plebiscito come idea e come storia è il “fil rouge” del libro. Un filo di Arianna
che attraversa la storia di due secoli dell’Europa, dal 1789 ad oggi. Già dal
primo capitolo, Enzo Fimiani
dichiara che la sua è “una proposta inedita nel panorama editoriale non solo
italiano, ma anche europeo, primo esperimento di ricostruire tutta intera […]
la storia dell’istituto del plebiscito” e spera sia utile “non solo ai
cosiddetti specialisti, bensì anche ai cittadini più o meno colti, specie
giovani studenti”.
Interessante e in qualche modo avvincente
il linguaggio, sempre scorrevole e spontaneo, come l’uso, di tanto in tanto,
dell’aggettivo “scivoloso”, per indicare che i plebisciti nascono con l’idea di
migliorare le condizioni del popolo, di servirlo, mentre poi lo asserviscono e
lo schiavizzano. È notorio che la tematica risale, teoricamente, al periodo
dell’illuminismo, tanto che Voltaire,
in una lettera del 1776 scrive: “sont les
plébiscites qui font les lois”. Ma la pratica trova la sua espressione nel
periodo della Rivoluzione Francese. Certamente il giuramento nella sala della
Pallacorda, il 20 giugno 1789, con cui i rappresentanti degli Stati Generali si
autoproclamano assemblea nazionale, rappresenta una data imprescindibile nella
storia umana. Riconoscendo la propria maggioranza numerica, 578 (borghesia)
contro 561 (nobiltà e clero), il terzo stato assume il ruolo di volano. Il 9
luglio nasce l’Assemblea nazionale costituente. Una rivoluzione che si compie,
senza spargimento di sangue. Il 26 agosto 1789 viene approvata e pubblicata la
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Inizia un decennio in cui
il sangue sgorga da ogni parte, fino al colpo di stato di Napoleone, il 18
brumaio 1799 (9 novembre).
Sul fil
rouge, Fimiani rileva una doppia
tipologia della dimensione plebiscitaria e ciascuna, a sua volta, doppia, una
specie di Giano bifronte, di teoria e prassi. La prima tipologia è data dal
rapporto dialettico tra Potere e Popolo, la seconda tra Diritto e Suffragio. E
sempre sul fil rouge ci conduce
attraverso le varie tappe delle consultazioni, cominciando dalla prima, che
avviene nel 1793 per approvare la Costituzione Repubblicana giacobina. I
risultati vengono proclamati il 20 agosto e assegnano il 99% ai Sì (Oui). La Costituzione dell’anno III,
approvata il 22 agosto 1795, viene sottoposta al plebiscito e il risultato
viene proclamato il 23 settembre. Non ci fu grande partecipazione e il ricorso
al plebiscito assume la funzione di appello al popolo (appel au peuple). Intanto nel panorama franco-europeo appare la
figura di Napoleone Bonaparte, in
precedenza arrestato come giacobino, ma personaggio di rilievo per le sue
vittoriose battaglie nella campagna d’Italia. E proprio in Italia il plebiscito
assume valore di riscatto nazionale. In otto anni, per nove volte, tra i
confini di piccoli stati, gli italiani esprimono la loro volontà. In Francia,
sotto Napoleone, l’“appel au Peuple”
diventa una prassi normale e lo è anche quando appare il nipote del primo,
Napoleone III. Criticando l’appello al
popolo di Napoleone III, Alexis de Tocqueville
scrive: “Mai a una nazione fu offerta più odiosa derisione”.
“In Italia, tra il 1859 e il 1870, - si
legge nel testo di Fimiani, - si
recò nei seggi a votare un totale di quasi tre milioni e ottocentomila
italiani, abitanti (maschi) degli Stati preunitari. Nell’insieme dei ben
diciannove plebisciti risorgimentali tra 1848 e 1870, il totale dei votanti
ascese a 4.600.000. Quella massa di italiani ‘plebiscitanti’ in stragrande
maggioranza, non avrebbe mai più messo piede in un seggio elettorale lungo
tutta la propria vita restante”. Nel Novecento il ricorso ai plebisciti non si
attenua. In Francia, Italia, Germania, Spagna, Grecia, e altre nazioni europee
il plebiscito assume importanza capitale a livello politico-elettorale. Sotto
il fascismo il primo plebiscito avviene nel 1929, il 24 marzo, alla scadenza
della prima legislatura, con i Sì che raggiunsero il 98.33%. Il successivo
plebiscito ebbe luogo dopo 5 anni precisi, il 25 marzo 1934, con un risultato
del 99,84% di Sì. In Germania, l’anno
prima, il 1933, “le votazioni del 5 marzo - scrive Fimiani - apparvero dotate di chiari connotati da
plebiscito”. Ed è in Germania che viene approvata una legge ad hoc sul plebiscito (“Gesetz über Volksabstimmung”). All’ultimo
capitolo del libro, “Le interpretazioni”, l’autore cerca di puntualizzare le
ragioni del lavoro svolto, sottolineando il concetto originario del plebiscito
“un portato, non lo si dimentichi, dell’allargamento della sfera politica e, in
sostanza, di una sua ‘democratizzazione’”.
A conclusione di questa mia recensione un
po’ sbrigativa, ma “amichevole”, per il fatto che sono amico da anni
dell’autore e di cui apprezzo lo sforzo che investe sul suo lavoro, cerco di
soffermarmi sulla frase del titolo del libro: “L’unanimità più uno”, pronunciata il 12 maggio 1928 in Senato da Benito Mussolini. Probabilmente pensava a se stesso, il duce, come
componente aggiuntiva, extra-ordinaria, in una votazione plebiscitaria. L’idea
di Unità del e nel popolo ha molto di religioso, di mistico. Era l’idea
spinoziana di Deus sive Natura,
coinvolgendo sacro e profano, Ne “L’avvenire
dell’uomo”, un paleontologo-teologo che scrive in quegli anni, Teilhard de Chardin, affronta temi di
carattere teorico-cosmico, scrivendo: «Nei sistemi “totalitari”, dei quali
l’avvenire correggerà certamente gli eccessi, accentuandone probabilmente le
tendenze e le intuizioni profonde, il cittadino vede il suo centro di gravità
trasferito a poco a poco, o per lo meno imperniato, su quello del gruppo
nazionale o etnico a cui appartiene. […] Siamo tutti d’accordo sul fatto che la
nostra specie sta entrando nella sua fase di socializzazione; non possiamo
continuare a vivere senza subire quella trasformazione che, in qualche modo,
renderà la nostra molteplicità un tutto.»
*Storico