Non è solo nostalgia A tutti piacerebbe non invecchiare mai. Ma se anche un domani ciò fosse realmente possibile, i ricordi che abbiamo accumulato non potranno essere soppressi, cancellati, poiché ogni essere umano si completa in buona o cattiva sorte proprio per gli eventi che ha vissuto.
Ho voluto raccontare in terza persona questa storia e devo dire che non è stato facile scriverla, nel cercar di raggiungere un equilibrio all’ irrazionalità del dramma ma, “tutto sommato” è stato come eseguire un dovere nei confronti del protagonista che si chiama Paolo … il quale mi disse:
- In fondo l’arte, (anche quella del raccontare) non parla che di sesso e morte; i due cardini che generano l’emozione. Conosco la prima ma non so nulla o poco della seconda, quest’ultima porta con sé nascosta la storia di una congiura e di un omicidio . Sono altresì certo che non può esistere la morte se prima non c’è stato un atto d’amore.
- Poi sorrise ed aggiunse: non riusciamo ad evitar di morire ma possiamo tutti pensarlo. Lo stesso Diogene asseriva che “ nella vita occorre utilizzare la ragione, oppure la corda per impiccarsi”.
Tuttavia seppur nessuno resta fuori dalla sua nera ombra, la morte è una entità finita, viene e se ne va una volta sola, mentre lo slancio e la passione che non compiace l’oscurità, è un’opera, una grazia divina che rinasce e vive di continuo anche in un’altra sconosciuta dimensione.
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Paolo aveva finito di lavorare. Per strada poca gente, solo le voci di alcuni ragazzi rompevano il silenzio in quel tardo pomeriggio d’estate. Per quietare la stanchezza si era seduto su una panca sotto la fronda di un tiglio, in prossimità al muricciolo “estremo lembo di terra” bagnato dall’ acque del lago. Si fermò li, in quel chéto luogo evitando la penitenza della strada che cominciava a salire attorcigliandosi alla collina. Assorto il pensiero tra le caute onde, si domandava quale senso doveva dare alla vita essendo ormai prossimo alla pensione.
- Tossicchiando -
La prima cosa che farò sarà smettere di fumare! E mentre le foglie ombravano il capo sopendone l’ansia, la voce risuonò nel ritmo di una battuta:
Reinventerò la realtà cogliendone gli attimi più significativi!
In verità cercava di ricostruire la propria esistenza nella sua interezza, recandosi nei luoghi in cui colui che parla, ne ripercorre il passato delegandolo a tratti il racconto ad una terza persona, forse ingenuamente, montando i vari pezzi della vita secondo un ordine cronologico, ma ignorandone il ritmo ed anteponendo la rapidità di quando era giovane alla comoda cadenza dell’adito riposo. Ad ogni figurata scena “dopo vari tentativi” prevaleva sempre l’espressione del tutto falsa ma dall’aspetto più bello, vincente e funzionante all’uso.
Gli occhi brillavano per conto della grazia nella soave reminescenza della sua compagna, ed il sospiro si prese briga di incidere nel soffio il viso, arrossandolo nel cercare un valore intrinseco, spirituale, che potesse risvegliare un grido di dolore in cui il fato lo aveva rassegnato.
- Tutto iniziò il 29 febbraio del 2012. -
Sebbene fosse un mercoledì lo consideravo un giorno di festa. Francesca (la mia ex moglie) era tornata!
Lei che se ne stava sempre in giro per mezzo mondo guadagnando appena sufficientemente a mantener i suoi vizi. Di famiglia benestante capitolata per la dissennata passione del padre per l’altre donne, Francesca interruppe gli studi castigata dalla necessità di cercar un lavoro che ripianasse i debiti accumulati.
Per suo volere questa parte dell’esistenza veniva celata, nascosta alla altrui vista, non l’altra quanto più farraginosa fatta di bramosia verso i giovani virili dall’apparenza aggressiva ma ingenui e goffi, turbandone la serenità nel delegittimarli delle loro qualità fisiche e morali, in modo perfido a soddisfar la voglia di rivincita verso l’altro sesso.
Puntualmente oggi, come ogni anno era tornata per festeggiare il compleanno di Angelo, il nostro ragazzo prossimo ai 16 anni.
Mi ci volle poco per capire ch’ella fosse ancora affascinata dalle illusioni che la portarono ad essere cittadina del mondo, vivendole nel modo più intenso possibile. Francesca aveva la capacità di contaminare con la parola, il gesto e lo sguardo chi gli stava di fronte, ma stranamente oggi mentre tutti interloquivano rimaneva in silenzio. Ogni tanto annuiva dicendo: si certo, naturalmente e sorrideva.
L’argomento del simposio era celebrare il festoso evento, ma anche l’occasione per raccontare delle cose fatte nel tempo passato da ciascuno dei convitati. Scusate … io come sapete mi chiamo Paolo, con me Francesca e Angelo. C’era anche Stefano con altri due amici di lunga data, (una coppia di fatto) conosciutasi al tempo delle liceali, Chiara e Renzo che tenerono a battesimo nostro figlio.
Quando la volta celeste fortunatamente si ingrigì nel cupo annuncio dell’imminente arrivo del temporale, tutti, tavolo compreso ci rifugiammo sotto al portico. Si fortunatamente, perché a furia di stiracchiare la bocca in un sorriso per le noiose e ridicole vicende raccontate mi si stavano alterando i centri nervosi.
Quel pranzo inaspettatamente interrotto sortì uno strano effetto, contraddittoriamente armonico, che nella sua composizione mi rese consapevole di vivere una stagione nuova.
Il tempo aveva scarabocchiato i mie capelli di bianco, di Lei qualche sottile ruga si era aggiunta al viso, “ mio dio, quante stagioni c’erano volute per aver quelle pieghe che la rendevano più volubile” e seppur l’età aveva ridotto la parola, i ricordi fluivano nei nostri sguardi coniugandone i pensieri, storie rarefatte all’essenziale che si spensero presto in un bicchiere di vino.
Esuli in quel limbo, una voce ci invitò a riunirci al gruppo.
Ricordo bene quel giorno perché stranamente ci si incrociava spesso, ed ogni volta emergeva un accenno “devoto” un ricordo felice che dava forza alla nostalgia.
Oggi l’ho incontrata più volte e sono a conoscenza di ogni suo più piccolo movimento, ma preferisco scambiare con lei l’essenziale per paura di rimanere imprigionato nella sua tela. Chiara e Renzo se ne erano andati congedandosi con garbo, portandosi via le loro nostalgie, liberandosi dalle finte barocche cornici dorate, del vanto e dell’inconsistenza del tempo che vaporizza e rende la vita profondamente triste.
Questa casa “la casa materna” che si trovava a pochi chilometri dal confine elvetico abbondava ancor come un tempo di una flora tipica di questo territorio e per riscoprirne i colori ed i profumi, mi defilai “appena ne ebbi l’occasione” lungo il viale che conduceva al giardino.
Non calpestavo quel selciato da molto tempo e per percorrerlo in tutta la sua lunghezza impiegai qualche minuto riprendendomi la folle e spensierata fanciullezza, tornando a desiderare le deposte speranze invasate a quel tempo di illusioni. Ma presto scostai l’animo da quell’aspro e resinoso debito di sentirmi ancor parte di una realtà ormai mutata, sottraendomi da quell’impiccio con coraggio e la volontà di recidere quel cordone ombelicale che ancora mi legava a quel luogo in cui tutto appariva semplice. Col senno di poi sapevo che la vita si compone di quello che hai fatto e non di ciò che avresti potuto fare, soffermarmi un altro po’ m’ avrebbe spezzato l’anima, conscio di non avere a disposizione un’altra possibilità.
- Al ciottolare della ghiaia mi volsi -
Occorse qualche istante prima di mettere a fuoco l’immagine nella caligine invernale. Nella foschia un ventaglio di legno intagliato si confondeva con la figura dipinta nel controluce. Era Francesca che teneva con l’altra mano nostro figlio. Angelo aveva negli occhi ancora la tenerezza adolescenziale ma dentro di lui la determinazione dell’adulto pronto a scalar le vette. Emersero come per magia galleggiando con grazia. Accarezzate dall’emozione le corde vocali di Francesca sussurrarono: Oggi abbiamo (seppur momentaneamente) ricomposto la nostra famiglia.
Francesca si era cambiata; vestiva un abito di lana bianco con una fascia nera legata alla vita e portava un copricapo di cotone d’un sofisticato grafismo. Fui sorpreso da quella trasformazione, dal senso materno che non gli avevo mai attribuito e, tutto quell’insieme rovesciava le mie superstizioni confortandomi, rimettendo ordine “forse per convenienza” al mio sentire. Li accolsi con un sorriso.
Gli sguardi voltarono verso una insolita presenza affacciata alla finestra del primo piano della casa. Da quella apertura dell’edificio su di noi sbirciava Stefano, convinto di non essere visto. Stefano aveva acquistato la casa diversi anni prima con l’intenzione di rimodernarla e di farne la sua residenza. Ma poi non la ristrutturò più, persuaso di violare questo luogo pregno di chissà quante anime che vi avevano dimorato.
Stefano era un uomo creativo, di un’acuta intelligenza, ma la cosa che più mi rassicurava nel rapporto con Francesca è che era il fratello. L’incontro di quel 29 febbraio non fu casuale, era stato Stefano ad organizzare la rimpatriata e ne aveva un santo motivo che conobbi in seguito. Fu proprio Lui a ridefinire una realtà inimmaginabile, rafforzando il dubbio che si potessero ricomporre gli eventi e forse anche la nostra famiglia.
Alla luce del giorno si era sostituito il buio della sera ed Angelo stemperò la noia ritirandosi nella sua camera.
- Francesca : Vedo che non hai perso l’abitudine di leggere il giornale Paolo.
- Si mi rilassa, ma salto da un articolo all’altro mentre i miei pensieri sono altrove.
- Posso sapere dove?
Penso a Te e a nostro figlio cercando di vestire concetti virtuosi nei vuoti pensieri che sonnecchiano con la coscienza, persuadendomi forse scioccamente di cambiare il passato.
- Francesca : Valicare illegalmente quel confine già scritto non ci guarisce dai nostri peccati “e tra quelle parole” i nostri occhi superando la superficialità malinconicamente, nello stesso luogo (questo ), che fu anche quello dell’abbandono.
Ma cosa stava cercando Francesca? Cosa stava succedendo? Sentivo che c’ era qualche cosa di strano nell’aria che respiravo, di alterato, di nascosto, ma non riuscivo ad afferrarlo. Stefano che sedeva accanto indugiava ma poi per cercar di stemperare la pressione dissertò con queste parole: Beato chi sa ascoltare l’ ostinato sussurro dell’anima, non c’è prezzo per la felicità o se c’è, non è nel denaro di questo mondo. Senza la percezione della fievole inconsistenza della nostra vita, di fronte alla voce di Dio non vi è redenzione né si possono rescindere i peccati.
- A quel punto la voce dorata e profonda di Francesca si fece scura come una notte senza stelle -
Ti starai domandando che senso ha tutto questo Paolo.
- Paolo: Sono confuso !
- Francesca : Non sapevo di avere il permesso di uccidere! Mi sbagliavo.
I filamenti che legano i nostri destini si stanno per spezzare caro Paolo, chi percorre la lunga via (quel tanto che basta), non ne conosce il destino. Ho rinunciato a lottare poiché è prevalso in me il sentimento della resa, di fare spazio alla mia insufficienza. Mi restano poche settimane da vivere, forse pochi giorni e questa mia esistenza è diventata profondamente triste.
- L’effetto fu raggelante, le palpebre mi si chiusero e al declinar della luce si serrarono, sull’ argine del ciglio una lacrima ed alle parole si sostituì il silenzio.
- l’abisso tenebroso e inquietante si fuse con la notte buia che avvolgeva la dimora, generando in me nel suo filar l’ombra di un destino inquieto.
- Francesca -
Tenere ancora le nostre vite a distanza non gioverebbe a nessuno! E nel curvare sinuosamente la schiena per allontanar la sofferenza, queste parole scivolarono come sopra ad un telo di velluto, sulla pelle con una tenerezza struggente.
Stefano è a conoscenza del mio stato ed ha voluto che ci incontrassimo forse per l’ultima volta. Lo ringrazio!
Vedi di fronte al fato, ho cercato di trasformare ogni ostacolo in uno stimolo, di qui la brama di tornare alle nostre radici, paradossalmente come fece Ulisse ritornando alla sua Itaca.
- Paolo -
Non quietar l’irrequieta brama mia cara Francesca, ti accetto così come sei ora, alla stessa maniera d’un tempo in cui ti ho conosciuta accettata e amata, un solo rammarico: il pianto, per ciò che ancora avremmo potuto fare.
Nascosi il capo tra le mani.
A mezzanotte ero nella cantina della casa.
Per accedervi scesi una dozzina di gradini facendomi strada tra la polvere, le ragnatele e aprendo a fatica la robusta porta incassata nel muro con grossi cardini di ferro battuto. Dovevo trovare una scatola che avevo cementato molti anni prima. Mi misi a rompere i mattoni la, dove ricordavo di averla nascosta. Ma dopo i primi colpi di mazza, una mano mi afferrò il polso.
Sei pazzo Paolo? Che stai facendo esclamò Francesca accompagnata dal fratello.
Non abbiate paura non sono pazzo ma disperato - Scusatemi dovevo dirvelo -
Molti anni fa cementai una scatola in questo muro. In essa sono custoditi i ricordi del nostro passato Francesca, convinto com’ ero che dopo questa vita terrena le nostre anime continuassero a vivere. Che un nostro discendente o degli sconosciuti potessero in futuro trovarla ed aprendola liberarne le anime così da ricongiungerle attraverso gli oggetti che vi sono nascosti dentro.
Ci ho messo molte cose ma solo una, la più importante e che costituisce l’essenziale non è riuscita a entrarvi, ho provato a piegarla in tanti modi ma talmente era grande che a nulla sono valsi i miei sforzi! - l’idea che sei mia e che lo sarai sempre, per l’eternità -
Eccola! - Ancora qualche colpo e …
Afferrai la scatola di metallo strappandola dagli ultimi incagli e posandola su un vecchio tavolo cedevole. Striato come i capelli di Francesca dal mattone castagno, lo scrigno si rifletteva in uno specchio tessuto dalle ragnatele unitamente al suo viso profondamente meravigliato, traspirante curiosità e un senso di pace, preludio a un lento suicidio dell’anima, di chi ha smarrito gli appigli della vita.
Impaziente di sapere quanti e quali segreti custodiva quella scatola, Francesca la teneva stretta tra le mani con l’effetto di sentirla lentamente scivolare via come una saponetta.
Allo stesso modo quella notte scivolò via anche la sua vita. La mia Francesca: un cristallo di neve per natura indivisibile che per le funeste circostanze si era sciolto prematuramente, senza una imprecazione o un lamento di troppo. La bocca ormai sorda e beata somigliava a quella di un mietitore stanco ma soddisfatto che posa contento nel fienile la sera il proprio sudore, alla stessa maniera, quegli oggetti contenuti nella scatola ora erano sparsi sul giaciglio mentre tra le fredde mani un foglio stropicciato recitava:
Al mio caro Paolo. So bene che tutta questa gioia di vivere e che ancor mi accompagna è anche la ragion per morire. Tutte queste splendide cose sono gemme di grano che infiorano un vaso con delicatezza e fantasia. Questa tua immaginazione pregna di tanto amore mi consola mescolando la poesia al sogno. t.v.b..
Ogni qualvolta rievoco questa storia la vivo in modo diverso e mi chiedo se non sia ingiusto! Se il tempo quieterà il rimpianto trovando un suo equilibrio tra quegli oggetti riposti accanto al suo corpo senza vita, preghiere di speranza che rafforzano il legame che ci unì su questa terra.
Il flusso della malinconia si fermò e con esso l’inutile dolore e la miseria per una pacca sulla spalla.
Papà, che ci fai qui tutto solo ?
- P. - Sono ospite dei miei pensieri, di ciò che viene considerato normalità e ciò che invece si definisce follia –
- A. - Penso che tra queste due condizioni, dipenda solamente dal punto di vista con il quale si osservano i fatti –
- P. - Già proprio così!
E così il dolente lamento dell’anima sparì alla luce di quella sincerità intelligente, in cui la debolezza “quella che sopporta le avversità e le offese” è più interessante della forza e basta una semplice parola, un gesto per ritornare a vivere.
- A. - vieni andiamo a casa –
Scrollai l’abito dagli ultimi fastidiosi calcinacci “i ricordi” prendendogli la mano ed annodando le mie dita alle sue come atto consolatorio, con immaginazione e fantasia, ma di questo ultimo dettaglio dovete sapere una cosa: Paolo da qualche tempo non è più tra noi, forse vive felicemente in un’altra dimensione e quella mano di padre che credevate sua in realtà di fatto è la mia.