lunedì 28 novembre 2016

Δημήτρης Π. Κρανιώτης "Ανόητα «ξ»" - Dimitris P. Kraniotis

Dimitris P. Kraniotis was born in 1966 in Larissa prefecture in central Greece and he originates from Stomio (Larissa) where he grew up. He studied Medicine at the Aristotle University of Thessaloniki. He lives and works as a physician (Internal Medicine specialist) in Larissa. He has published seven poetry books: "Traces" (Greek, 1985), "Clay Faces" (Greek, 1992), "Fictitious Line" (Greek, English & French, 2005, "Dunes" (French & Romanian, Romania 2007), "Endogram" (Greek, MalliarisPaedia Publications 2010), "Edda" (French & Romanian, Romania 2010) & "Illusions"(Albanian, Romania 2010). Also he is the Editor-in-Chief of the international anthology in English "World Poetry 2011" (205 poets from 65 countries). He was invited and he has participated in several International Poetry Festivals around the World. His poems have been translated into many languages and published in several countries around the World. In 2011 the 22nd World Congress of Poets was organized under his presidency in Larissa and he founded and organized the 1st Mediterranean Poetry Festival in Larissa. He is the editor of "Poetics @ GR" http://greekpoetics.blogspot.com and his official website is http://www.dimitriskraniotis.com/


Salute, Not Tribute To Fidel Castro.- Mohinderdeep Grewal




Salute, Not Tribute To Fidel Castro.

Those who die unsung
Those who live for self gratification
Die not for cause of humanity
Die not fighting against slavery and poverty
Die not fighting against injustice and discrimination
Die like ordinary self centered people
Who take birth and die feeding themselves
In their dens and closed door homes
Only few gather to pay tribute .
But great men who die fighting for the people
To change the face of humanity
Those who become history
They never die but live for ever
And will live for ever in us
Fidel Castro is, not was now.
He lives by the way he shown
The way he still shows us even now
To fight for freedom and universal brotherhood.
To fight for the positive change
Let us salute him as he lives in us.
Tribute is given to the dead.

Every Southern temple - Rashmi Lele




Every Southern temple
Fluttering background
Symbols of Petty Childish norm
A donation box
An Archana or offerings
A corrupt form
Bribes under open Sky
We are habitual
Pay Archana or offerings
Our Godly realms
Our knowledge
Limited on the Barter systems
How could we not pray Amma
How could we not see herd Victoria
Real goof up of the era ,
Comeback of your Amma
In Southern Constitution.
Corruption starts at temple
Finishes in Parliamentary Destination
We say we are Pious
Have tikka !
Vibhuti or ashes on charming forehead.
Rashmi Lele
all copyright are reserved With

FEBI DOMENICO - Il perché di quella lacrima .




Il perché di quella lacrima .



perché la mia bocca non trova le parole
perché il respiro e soffocato da troppi dubbi
perché i tuoi pensieri sono troppo furbi
perché bisogna staccarsi in volo
come un Icaro che brucia le sue ali al sole
perché a volte le parole restano troppo a lunghe sole
perché per quanto si possa odiare
chi ti lascia precipitare
e l unica maniera di guardarsi in faccia
per fare in modo che la mia perseveranza taccia
per sapere se la mia verità realmente ti piaccia
perché la tua stupidita spaccia
illusioni che non si sa se siano vere
se hanno coscienza di essere sincere
perché ci sono troppi doppisensi
e non so mai cosa realmente pensi
perché la mia cecità tocca attasta
la consistenza parola basta
a tante attese a stupide pretese a ingenue offese
mano permanentemente tese
per non chiedere nessun ruolo
ma di essere della parola uomo il solo
per lasciarti in dono intensità di una saluto
perché niente e dovuto
ma tu regalati un esame di coscienza
troverai la mia presenza
ad aspettarti
anche se a volte avrebbe dovuto spararti
non ti chiedo il peso di una responsabilità
ma quale l identità della tua verità
e se vorrai cercarmi cercami nei momenti che il mo nome ha reso unici+
le mie parole di sembreranno confuse
e solo perché hanno strappato il velo delle scuse .
liberando la mia anima.
febi domenico

sabato 26 novembre 2016

BEWITCHING BEAUTY OF BHOPAL LAKE - Radhakrishnan Krishnan



BEWITCHING BEAUTY OF BHOPAL LAKE

Surrounded by the landscapes of love,
This lake enthralls us with its serene presence,
Where hearts can dive in its depth of happiness,
To enjoy rare moment of some recess.
Its beauty lures us as we gaze in to its vastness,
Drawn in to the mysteries of nature in its calm darkness,
City lights peek over and leave their reflections in its waters,
As cool breeze kiss our face, we gaze and admire it in close quarters.
Ah, what a beautiful and gorgeous lake!!
Adding to the beauty of the city like icing on a cake,
Can I equate it with a maiden's deep eyes,
Or to her long dark tresses that enchant and mesmorize.
As the sun sinks making its waters orange and crimson,
Our spirits soared marveling at this beautiful vision,
Diamond encrusted sky over this moonlit lake,
True beauty of nature revealed for our soul's take.
© K.Radhakrishnan
 

TI STO LASCIANDO - Mika Vlacovic Vladisavljevic prevod Mirjana Dobrilla




TI STO LASCIANDO

Questa sera le rugiade blu dei miei occhi hanno bagnato
i tuoi palmi delle mani
per svegliarti l’addormentata e allietarti con il mio arrivo
sulla soglia di marmo,
perché mi abbracci dolcemente fermandomi il sangue
l’ultima volta,
la tua bellezza è la condanna per te, per i Dei e per me
perciò amore mio ti regalo la mia pace
con la luce ti illumino l’anima,
e ti lascio amore mio alla foce non all’oblio,
ti lascio uscire dai opachi vortici delle lacrime.
Vai, riposa in pace liberata da noi tutti
dormi sul cuore di Dio,
vai, salvata da me se io già
dentro me non posso cambiarmi.
Vai e non chiederti se era destino, ma aspettami
sulla soglia di marmo
per abbracciarti con il sangue intorpidito del tuo ultimo abbraccio.
Mika Vlacovic Vladisavljevic
prevod Mirjana Dobrilla
slika umetnicko delo"Kamena prica" slikar Predrag Pedja Milosevic

 

Amar en la distancia - Sonsoles Soto



Amar en la distancia
Amar en la distancia, te enamoras de sentimientos dé corazones rotos, cansados, dé unos ojos que no te ven, de un cuerpo anhelante, solitario, vagando por el firmamento en busca de una voz, de palabras escritas, de sueños incontrolados, amar con la mente en ésas noches largas, lo irreal llevado a lo real dejándose llevar...
Dónde están esos besos qué hechizan quemando tus labios, tu boca en la suya, el sentir una piel aterciopelada, recorrer ese cuerpo qué tanto soñabas, la piel erizada por unas sensaciones maravillosas, amar cuerpo a cuerpo sintiendo ese sudor de la adrenalina. Amar en espíritu, desfogue de un cuerpo vacío, pensamientos volando a una velocidad incontrolada, nos volvemos místicos, podremos decir libremente qué no tuvimos contacto con esa persona ... cuál es la realidad !!! Nos volveremos ángeles sin cuerpo ? Palabras llenas de amor, ésas qué antes se decían por carta en la más pura intimidad con miedo a que fueran abiertas. Amar es bello si en realidad amas, sin buscar nada más, sí das tu alma, amar hasta lo más profundo de tu ser, dar tu vida por la suya sin vacilar un momento, sin ser egoístas, buscando algo más... Ser un todo, sin pedir nada, es cómo amar a un vagabundo sin límites, buscando hacer feliz sin intereses creados, amar por encima de todo, sin hipocresías, yo amo a mucha gente, porqué se puede amar de distintas maneras, pero... tampoco puedo amar lo qué no siento, aunque estés llena de amor, no decido yo, deciden mis sentimientos. El amor profundo nace sin saber porqué, el ser afines, tener complicidad... no buscar tu bien, darte por entero sin pedir nada, dar tu vida por la persona amada sí te necesita, eso es amar con el alma. No busques ni corras de flor en flor cómo las abejas o las mariposas, siente de verdad, escucha tu corazón, daté en cuerpo y alma, haz feliz al otro, no huyas ante la adversidad ni seas egoísta, sí en realidad amas, le dejarás ser libre y estarás sí te necesita para recoger sus pedazos, sin odios ni rencores, ama su felicidad, y si un día le sientes reír junto a ti, serás feliz de haberle seguido amando.
Derechos de autor
Sonsoles Soto

Non è solo nostalgia - Danilo Querenzi

 
 
 
Non è solo nostalgia A tutti piacerebbe non invecchiare mai. Ma se anche un domani ciò fosse realmente possibile, i ricordi che abbiamo accumulato non potranno essere soppressi, cancellati, poiché ogni essere umano si completa in buona o cattiva sorte proprio per gli eventi che ha vissuto.
Ho voluto raccontare in terza persona questa storia e devo dire che non è stato facile scriverla, nel cercar di raggiungere un equilibrio all’ irrazionalità del dramma ma, “tutto sommato” è stato come eseguire un dovere nei confronti del protagonista che si chiama Paolo … il quale mi disse:
- In fondo l’arte, (anche quella del raccontare) non parla che di sesso e morte; i due cardini che generano l’emozione. Conosco la prima ma non so nulla o poco della seconda, quest’ultima porta con sé nascosta la storia di una congiura e di un omicidio . Sono altresì certo che non può esistere la morte se prima non c’è stato un atto d’amore.
- Poi sorrise ed aggiunse: non riusciamo ad evitar di morire ma possiamo tutti pensarlo. Lo stesso Diogene asseriva che “ nella vita occorre utilizzare la ragione, oppure la corda per impiccarsi”.
Tuttavia seppur nessuno resta fuori dalla sua nera ombra, la morte è una entità finita, viene e se ne va una volta sola, mentre lo slancio e la passione che non compiace l’oscurità, è un’opera, una grazia divina che rinasce e vive di continuo anche in un’altra sconosciuta dimensione.
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Paolo aveva finito di lavorare. Per strada poca gente, solo le voci di alcuni ragazzi rompevano il silenzio in quel tardo pomeriggio d’estate. Per quietare la stanchezza si era seduto su una panca sotto la fronda di un tiglio, in prossimità al muricciolo “estremo lembo di terra” bagnato dall’ acque del lago. Si fermò li, in quel chéto luogo evitando la penitenza della strada che cominciava a salire attorcigliandosi alla collina. Assorto il pensiero tra le caute onde, si domandava quale senso doveva dare alla vita essendo ormai prossimo alla pensione.
- Tossicchiando -
La prima cosa che farò sarà smettere di fumare! E mentre le foglie ombravano il capo sopendone l’ansia, la voce risuonò nel ritmo di una battuta:
Reinventerò la realtà cogliendone gli attimi più significativi!
In verità cercava di ricostruire la propria esistenza nella sua interezza, recandosi nei luoghi in cui colui che parla, ne ripercorre il passato delegandolo a tratti il racconto ad una terza persona, forse ingenuamente, montando i vari pezzi della vita secondo un ordine cronologico, ma ignorandone il ritmo ed anteponendo la rapidità di quando era giovane alla comoda cadenza dell’adito riposo. Ad ogni figurata scena “dopo vari tentativi” prevaleva sempre l’espressione del tutto falsa ma dall’aspetto più bello, vincente e funzionante all’uso.
Gli occhi brillavano per conto della grazia nella soave reminescenza della sua compagna, ed il sospiro si prese briga di incidere nel soffio il viso, arrossandolo nel cercare un valore intrinseco, spirituale, che potesse risvegliare un grido di dolore in cui il fato lo aveva rassegnato.
- Tutto iniziò il 29 febbraio del 2012. -
Sebbene fosse un mercoledì lo consideravo un giorno di festa. Francesca (la mia ex moglie) era tornata!
Lei che se ne stava sempre in giro per mezzo mondo guadagnando appena sufficientemente a mantener i suoi vizi. Di famiglia benestante capitolata per la dissennata passione del padre per l’altre donne, Francesca interruppe gli studi castigata dalla necessità di cercar un lavoro che ripianasse i debiti accumulati.
Per suo volere questa parte dell’esistenza veniva celata, nascosta alla altrui vista, non l’altra quanto più farraginosa fatta di bramosia verso i giovani virili dall’apparenza aggressiva ma ingenui e goffi, turbandone la serenità nel delegittimarli delle loro qualità fisiche e morali, in modo perfido a soddisfar la voglia di rivincita verso l’altro sesso.
Puntualmente oggi, come ogni anno era tornata per festeggiare il compleanno di Angelo, il nostro ragazzo prossimo ai 16 anni.
Mi ci volle poco per capire ch’ella fosse ancora affascinata dalle illusioni che la portarono ad essere cittadina del mondo, vivendole nel modo più intenso possibile. Francesca aveva la capacità di contaminare con la parola, il gesto e lo sguardo chi gli stava di fronte, ma stranamente oggi mentre tutti interloquivano rimaneva in silenzio. Ogni tanto annuiva dicendo: si certo, naturalmente e sorrideva.
L’argomento del simposio era celebrare il festoso evento, ma anche l’occasione per raccontare delle cose fatte nel tempo passato da ciascuno dei convitati. Scusate … io come sapete mi chiamo Paolo, con me Francesca e Angelo. C’era anche Stefano con altri due amici di lunga data, (una coppia di fatto) conosciutasi al tempo delle liceali, Chiara e Renzo che tenerono a battesimo nostro figlio.
Quando la volta celeste fortunatamente si ingrigì nel cupo annuncio dell’imminente arrivo del temporale, tutti, tavolo compreso ci rifugiammo sotto al portico. Si fortunatamente, perché a furia di stiracchiare la bocca in un sorriso per le noiose e ridicole vicende raccontate mi si stavano alterando i centri nervosi.
Quel pranzo inaspettatamente interrotto sortì uno strano effetto, contraddittoriamente armonico, che nella sua composizione mi rese consapevole di vivere una stagione nuova.
Il tempo aveva scarabocchiato i mie capelli di bianco, di Lei qualche sottile ruga si era aggiunta al viso, “ mio dio, quante stagioni c’erano volute per aver quelle pieghe che la rendevano più volubile” e seppur l’età aveva ridotto la parola, i ricordi fluivano nei nostri sguardi coniugandone i pensieri, storie rarefatte all’essenziale che si spensero presto in un bicchiere di vino.
Esuli in quel limbo, una voce ci invitò a riunirci al gruppo.
Ricordo bene quel giorno perché stranamente ci si incrociava spesso, ed ogni volta emergeva un accenno “devoto” un ricordo felice che dava forza alla nostalgia.
Oggi l’ho incontrata più volte e sono a conoscenza di ogni suo più piccolo movimento, ma preferisco scambiare con lei l’essenziale per paura di rimanere imprigionato nella sua tela. Chiara e Renzo se ne erano andati congedandosi con garbo, portandosi via le loro nostalgie, liberandosi dalle finte barocche cornici dorate, del vanto e dell’inconsistenza del tempo che vaporizza e rende la vita profondamente triste.
Questa casa “la casa materna” che si trovava a pochi chilometri dal confine elvetico abbondava ancor come un tempo di una flora tipica di questo territorio e per riscoprirne i colori ed i profumi, mi defilai “appena ne ebbi l’occasione” lungo il viale che conduceva al giardino.
Non calpestavo quel selciato da molto tempo e per percorrerlo in tutta la sua lunghezza impiegai qualche minuto riprendendomi la folle e spensierata fanciullezza, tornando a desiderare le deposte speranze invasate a quel tempo di illusioni. Ma presto scostai l’animo da quell’aspro e resinoso debito di sentirmi ancor parte di una realtà ormai mutata, sottraendomi da quell’impiccio con coraggio e la volontà di recidere quel cordone ombelicale che ancora mi legava a quel luogo in cui tutto appariva semplice. Col senno di poi sapevo che la vita si compone di quello che hai fatto e non di ciò che avresti potuto fare, soffermarmi un altro po’ m’ avrebbe spezzato l’anima, conscio di non avere a disposizione un’altra possibilità.
- Al ciottolare della ghiaia mi volsi -
Occorse qualche istante prima di mettere a fuoco l’immagine nella caligine invernale. Nella foschia un ventaglio di legno intagliato si confondeva con la figura dipinta nel controluce. Era Francesca che teneva con l’altra mano nostro figlio. Angelo aveva negli occhi ancora la tenerezza adolescenziale ma dentro di lui la determinazione dell’adulto pronto a scalar le vette. Emersero come per magia galleggiando con grazia. Accarezzate dall’emozione le corde vocali di Francesca sussurrarono: Oggi abbiamo (seppur momentaneamente) ricomposto la nostra famiglia.
Francesca si era cambiata; vestiva un abito di lana bianco con una fascia nera legata alla vita e portava un copricapo di cotone d’un sofisticato grafismo. Fui sorpreso da quella trasformazione, dal senso materno che non gli avevo mai attribuito e, tutto quell’insieme rovesciava le mie superstizioni confortandomi, rimettendo ordine “forse per convenienza” al mio sentire. Li accolsi con un sorriso.
Gli sguardi voltarono verso una insolita presenza affacciata alla finestra del primo piano della casa. Da quella apertura dell’edificio su di noi sbirciava Stefano, convinto di non essere visto. Stefano aveva acquistato la casa diversi anni prima con l’intenzione di rimodernarla e di farne la sua residenza. Ma poi non la ristrutturò più, persuaso di violare questo luogo pregno di chissà quante anime che vi avevano dimorato.
Stefano era un uomo creativo, di un’acuta intelligenza, ma la cosa che più mi rassicurava nel rapporto con Francesca è che era il fratello. L’incontro di quel 29 febbraio non fu casuale, era stato Stefano ad organizzare la rimpatriata e ne aveva un santo motivo che conobbi in seguito. Fu proprio Lui a ridefinire una realtà inimmaginabile, rafforzando il dubbio che si potessero ricomporre gli eventi e forse anche la nostra famiglia.
Alla luce del giorno si era sostituito il buio della sera ed Angelo stemperò la noia ritirandosi nella sua camera.
- Francesca : Vedo che non hai perso l’abitudine di leggere il giornale Paolo.
- Si mi rilassa, ma salto da un articolo all’altro mentre i miei pensieri sono altrove.
- Posso sapere dove?
Penso a Te e a nostro figlio cercando di vestire concetti virtuosi nei vuoti pensieri che sonnecchiano con la coscienza, persuadendomi forse scioccamente di cambiare il passato.
- Francesca : Valicare illegalmente quel confine già scritto non ci guarisce dai nostri peccati “e tra quelle parole” i nostri occhi superando la superficialità malinconicamente, nello stesso luogo (questo ), che fu anche quello dell’abbandono.
Ma cosa stava cercando Francesca? Cosa stava succedendo? Sentivo che c’ era qualche cosa di strano nell’aria che respiravo, di alterato, di nascosto, ma non riuscivo ad afferrarlo. Stefano che sedeva accanto indugiava ma poi per cercar di stemperare la pressione dissertò con queste parole: Beato chi sa ascoltare l’ ostinato sussurro dell’anima, non c’è prezzo per la felicità o se c’è, non è nel denaro di questo mondo. Senza la percezione della fievole inconsistenza della nostra vita, di fronte alla voce di Dio non vi è redenzione né si possono rescindere i peccati.
- A quel punto la voce dorata e profonda di Francesca si fece scura come una notte senza stelle -
Ti starai domandando che senso ha tutto questo Paolo.
- Paolo: Sono confuso !
- Francesca : Non sapevo di avere il permesso di uccidere! Mi sbagliavo.
I filamenti che legano i nostri destini si stanno per spezzare caro Paolo, chi percorre la lunga via (quel tanto che basta), non ne conosce il destino. Ho rinunciato a lottare poiché è prevalso in me il sentimento della resa, di fare spazio alla mia insufficienza. Mi restano poche settimane da vivere, forse pochi giorni e questa mia esistenza è diventata profondamente triste.
- L’effetto fu raggelante, le palpebre mi si chiusero e al declinar della luce si serrarono, sull’ argine del ciglio una lacrima ed alle parole si sostituì il silenzio.
- l’abisso tenebroso e inquietante si fuse con la notte buia che avvolgeva la dimora, generando in me nel suo filar l’ombra di un destino inquieto.
- Francesca -
Tenere ancora le nostre vite a distanza non gioverebbe a nessuno! E nel curvare sinuosamente la schiena per allontanar la sofferenza, queste parole scivolarono come sopra ad un telo di velluto, sulla pelle con una tenerezza struggente.
Stefano è a conoscenza del mio stato ed ha voluto che ci incontrassimo forse per l’ultima volta. Lo ringrazio!
Vedi di fronte al fato, ho cercato di trasformare ogni ostacolo in uno stimolo, di qui la brama di tornare alle nostre radici, paradossalmente come fece Ulisse ritornando alla sua Itaca.
- Paolo -
Non quietar l’irrequieta brama mia cara Francesca, ti accetto così come sei ora, alla stessa maniera d’un tempo in cui ti ho conosciuta accettata e amata, un solo rammarico: il pianto, per ciò che ancora avremmo potuto fare.
Nascosi il capo tra le mani.
A mezzanotte ero nella cantina della casa.
Per accedervi scesi una dozzina di gradini facendomi strada tra la polvere, le ragnatele e aprendo a fatica la robusta porta incassata nel muro con grossi cardini di ferro battuto. Dovevo trovare una scatola che avevo cementato molti anni prima. Mi misi a rompere i mattoni la, dove ricordavo di averla nascosta. Ma dopo i primi colpi di mazza, una mano mi afferrò il polso.
Sei pazzo Paolo? Che stai facendo esclamò Francesca accompagnata dal fratello.
Non abbiate paura non sono pazzo ma disperato - Scusatemi dovevo dirvelo -
Molti anni fa cementai una scatola in questo muro. In essa sono custoditi i ricordi del nostro passato Francesca, convinto com’ ero che dopo questa vita terrena le nostre anime continuassero a vivere. Che un nostro discendente o degli sconosciuti potessero in futuro trovarla ed aprendola liberarne le anime così da ricongiungerle attraverso gli oggetti che vi sono nascosti dentro.
Ci ho messo molte cose ma solo una, la più importante e che costituisce l’essenziale non è riuscita a entrarvi, ho provato a piegarla in tanti modi ma talmente era grande che a nulla sono valsi i miei sforzi! - l’idea che sei mia e che lo sarai sempre, per l’eternità -
Eccola! - Ancora qualche colpo e …
Afferrai la scatola di metallo strappandola dagli ultimi incagli e posandola su un vecchio tavolo cedevole. Striato come i capelli di Francesca dal mattone castagno, lo scrigno si rifletteva in uno specchio tessuto dalle ragnatele unitamente al suo viso profondamente meravigliato, traspirante curiosità e un senso di pace, preludio a un lento suicidio dell’anima, di chi ha smarrito gli appigli della vita.
Impaziente di sapere quanti e quali segreti custodiva quella scatola, Francesca la teneva stretta tra le mani con l’effetto di sentirla lentamente scivolare via come una saponetta.
Allo stesso modo quella notte scivolò via anche la sua vita. La mia Francesca: un cristallo di neve per natura indivisibile che per le funeste circostanze si era sciolto prematuramente, senza una imprecazione o un lamento di troppo. La bocca ormai sorda e beata somigliava a quella di un mietitore stanco ma soddisfatto che posa contento nel fienile la sera il proprio sudore, alla stessa maniera, quegli oggetti contenuti nella scatola ora erano sparsi sul giaciglio mentre tra le fredde mani un foglio stropicciato recitava:
Al mio caro Paolo. So bene che tutta questa gioia di vivere e che ancor mi accompagna è anche la ragion per morire. Tutte queste splendide cose sono gemme di grano che infiorano un vaso con delicatezza e fantasia. Questa tua immaginazione pregna di tanto amore mi consola mescolando la poesia al sogno. t.v.b..
Ogni qualvolta rievoco questa storia la vivo in modo diverso e mi chiedo se non sia ingiusto! Se il tempo quieterà il rimpianto trovando un suo equilibrio tra quegli oggetti riposti accanto al suo corpo senza vita, preghiere di speranza che rafforzano il legame che ci unì su questa terra.
Il flusso della malinconia si fermò e con esso l’inutile dolore e la miseria per una pacca sulla spalla.
Papà, che ci fai qui tutto solo ?
- P. - Sono ospite dei miei pensieri, di ciò che viene considerato normalità e ciò che invece si definisce follia –
- A. - Penso che tra queste due condizioni, dipenda solamente dal punto di vista con il quale si osservano i fatti –
- P. - Già proprio così!
E così il dolente lamento dell’anima sparì alla luce di quella sincerità intelligente, in cui la debolezza “quella che sopporta le avversità e le offese” è più interessante della forza e basta una semplice parola, un gesto per ritornare a vivere.
- A. - vieni andiamo a casa –
Scrollai l’abito dagli ultimi fastidiosi calcinacci “i ricordi” prendendogli la mano ed annodando le mie dita alle sue come atto consolatorio, con immaginazione e fantasia, ma di questo ultimo dettaglio dovete sapere una cosa: Paolo da qualche tempo non è più tra noi, forse vive felicemente in un’altra dimensione e quella mano di padre che credevate sua in realtà di fatto è la mia.

giovedì 24 novembre 2016

Laura Benedetti, un’aquilana di Vaglia a Washington Written by Goffredo Palmerini


WASHINGTON – E’ una tiepida giornata d’autunno. Un cielo azzurro, terso, contorna belle architetture. Le chiome degli alberi vanno assumendo colori di tavolozza. Dall’annuale visita d’ottobre a New York ritaglio tre giorni per la capitale degli States.
Un incontro con gli Abruzzesi e Molisani dell’Heritage Society di Washington ed altri impegni presso il Gala Weekend della NIAF, la prestigiosa Fondazione degli italoamericani, mi hanno portato qui. E tuttavia non posso mancare una visita alla Georgetown University, ateneo privato tra i piu’ prestigiosi d’America. E’ interessante la storia di questa universita’, ma non sono qui per questo. Sono a Georgetown per incontrare un’abruzzese di vaglia, Laura Benedetti, che qui insegna Letteratura italiana e per diversi anni ha diretto il Dipartimento di Italiano. La prof. Benedetti e’ una figura di rilievo nella comunita’ italiana residente nell’area (Distretto Columbia, Maryland, Virginia). Qui di seguito l’intervista che volentieri mi ha rilasciato. 

 

Com’è nata la tua prima “migrazione” in Canada?
Sono arrivata in Canada dall’Aquila, seguendo i consigli amorevolmente perentori di Mietta D’Amico, la mia professoressa di liceo, il che tra l’altro dimostra come un’insegnante possa avere un’influenza decisiva sulla vita di una persona. A Mietta D’Amico, anzi “alla D’Amico”, come la chiamavamo tutti, devo anche il mio primo incontro con Sandro Cordeschi, che mi aveva preceduto nel soggiorno canadese e che avrebbe scritto pagine importanti sui suoi viaggi nell’Ovest americano. In Canada, e precisamente alla University of Alberta di Edmonton, ho conseguito un Masters e ho incontrato un professore, Enrico Musacchio, che è diventato un punto di riferimento umano e intellettuale. La mia esperienza canadese è durata meno di un anno, ma è stata importantissima, anche perché era la prima volta che lasciavo l’Europa, e anche in Europa non è che avessi viaggiato tanto...

Dopo il Canada, gli Stati Uniti…
Sì, l’anno dopo ero a Baltimora per un programma di dottorato alla Johns Hopkins University. Ho avuto la fortuna di arrivare negli Stati Uniti con un atteggiamento molto aperto. Non avevo mai coltivato il mito dell’America ma al tempo stesso non nutrivo quell’anti-americanismo a oltranza che era molto comune in quell’epoca tra i giovani italiani e che per certi versi permane ancora oggi. Questo mi ha permesso di affrontare con filosofia luci e ombre di un paese certamente pieno di contraddizioni ma che ultimamente ci ha regalato dei momenti esaltanti con l’elezione di Barack Obama e tra poco, speriamo, quella di Hillary Clinton.

Una volta completati gli studi, hai cominciato ad insegnare in università prestigiose, prima a Harvard e ora a Georgetown, dove hai anche diretto per sei anni il Dipartimento di Italiano.
Al di là del prestigio, mi considero davvero fortunata per aver avuto la possibilità di dialogare con alcuni grandissimi intellettuali come Franco Fido, mio collega a Harvard per otto anni, un uomo dall’erudizione sconfinata, pari solo alla sua generosità. Credo però di aver raggiunto la mia piena maturità a Georgetown, anche in virtù dei ruoli amministrativi che mi sono stati affidati, in particolare in quanto direttrice di uno dei pochi dipartimenti negli Stati Uniti esclusivamente dedicati all’italianistica. Per una fortunata coincidenza, il mio mandato come direttrice è coinciso con la presenza a Washington di un illuminato ed efficientissimo Direttore dell’Istituto Culturale Italiano, Alberto Manai. Dalla nostra collaborazione sono scaturiti importanti convegni in occasione degli anniversari dell’Unità d’Italia, della stesura del Principe di Machiavelli e della nascita di Giovanni Boccaccio, nonché la prima conferenza sull’insegnamento dell’italiano negli Stati Uniti (grazie alle mie colleghe Louise Hipwell e Donatella Melucci). Tra gli altri, numerosissimi eventi organizzati in collaborazione con l’Istituto Culturale Italiano e l’Ambasciata Italiana di Washington, mi piace ricordare una serata intorno al dodicesimo canto della Gerusalemme liberata tenutasi alla National Gallery of Arts di Washington: dopo una mia presentazione degli aspetti letterari del canto, lo storico dell’arte Peter Lukehart ha illustrato le opere di incisori e pittori ispirati dai versi tassiani e, per finire, la National Gallery of Art Vocal Ensemble diretto da Rosa Lamoreaux e la National Gallery of Art Chamber Players ha eseguito una memorabile versione dal vivo del Combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi.

In che modo il fatto di vivere e lavorare negli Stati Uniti ha influenzato la tua visione della cultura italiana?
Sono arrivata in Nord America negli anni in cui si affermavano i Women’s Studies e i Gender Studies, che mi hanno fornito i parametri necessari per interpretare i testi della tradizione italiana in una luce nuova e per riscoprire figure dimenticate. Il mio primo libro, La sconfitta di Diana. Un percorso per la «Gerusalemme liberata», nasce proprio dall’entusiasmo per queste nuove prospettive. Drammatico, coinvolgente e modernissimo, il poema di Tasso continua a riservarmi sorprese ad ogni rilettura. A La sconfitta di Diana hanno fatto seguito tanti altri lavori, in italiano e in inglese, come The Tigress in the Snow. Motherhood and Literature in Twentieth-Century Italy, che ripercorre la storia della maternità nell’Italia del ventesimo secolo attraverso il filtro della letteratura, e l’edizione e traduzione inglese di Esortazioni alle donne, un rarissimo testo di una scrittrice veneziana vissuta tra il ‘500 e il ‘600, Lucrezia Marinella, una figura complessa e affascinante.








Alla produzione saggistica recentemente si è aggiunta una felice incursione nella narrativa con Il paese di carta.
Ho coltivato la narrativa, in maniera per la verità un po’ discontinua, fin da giovanissima. Un paese di carta nasce da tante sollecitazioni legate anche alla mia vita di emigrante, a cominciare dal titolo, che si riferisce al paese immaginario che una persona lontana si costruisce con sogni, memorie, espressioni, racconti, letteratura. Non si tratta però di un romanzo-saggio: le riflessioni scaturiscono o dovrebbero scaturire dalle avventure dei personaggi, in particolare da quelle di tre generazioni di donne legatissime malgrado le differenze e i malintesi.
 

Tra queste tre protagoniste, è la figura di Alice che impersona al meglio la tenacia, il coraggio e l’emancipazione della donna.
Dai molti, ricchissimi incontri che ho avuto con i lettori durante lo scorso anno, da Napoli a Torino, da Washington a Baton Rouge, emerge chiaramente che Alice, la matriarca, la più anziana delle tre donne del romanzo, è quella che riceve maggior interesse e consensi. È senz’altro il personaggio più libero e anticonformista del romanzo. Questa storia in fondo nasce da una scena che la vede assolutamente protagonista e che ho avuto in mente per tanto tempo: una donna che sta per morire fa una lunga passeggiata lungo il Potomac, il maestoso fiume che attraversa Washington, accompagnata dai fantasmi delle persone che le sono state care durante la vita. Al tempo stesso, sento molta affinità anche per le altre due figure femminili, cioè Jane e Sara, rispettivamente la figlia e la nipote di Alice. Sono personaggi più coinvolti nel presente e quindi più contraddittori e confusi, ma intelligenti e generosi, in cerca di qualcosa da coltivare in una quotidianità che delude sempre le loro aspettative. In particolare Sara, la più giovane, si offre di esaudire le ultime volontà della nonna trasportandone le ceneri a L’Aquila, la città che Alice aveva lasciato più di mezzo secolo prima.

Si parte dunque dagli Stati Uniti per arrivare a L’Aquila…
Sì, in un certo senso è il percorso contrario a quello che ho fatto io! Sara, che aveva vissuto anche lei, tramite la nonna, in “un paese di carta”, si trova scaraventata nell’Aquila del post-terremoto, una città per certi aspetti incomprensibile, ferita e vulnerabile, minacciata da speculazioni di ogni tipo ma difesa dall’impegno civico di una parte della popolazione. Il romanzo diventa dunque anche il bildungsroman di Sara, che attraverso l’incontro e per certi versi anche lo scontro con un mondo che le si rivela molto diverso da quello che aveva immaginato definisce la propria identità, riesce ad accettare meglio se stessa e addirittura a vedere in una luce più positiva sua madre, con cui aveva avuto rapporti molto conflittuali. Viaggiare, ne sono convinta, non serve solamente a conoscere altre culture, per importante che ciò sia, ma soprattutto a conoscere se stessi.

Il romanzo è anche un atto d’amore verso L’Aquila. Storie e vicende drammatiche, dalla Seconda Guerra Mondiale al terremoto, si incrociano, e tutto alla fine si tiene in un finale sorprendente…
Il romanzo è drammatico, certo, eppure ottimista, perché alla fine le forze della comunicazione prevalgono su quelle della disgregazione, la memoria storica (il passato remoto caro ad Alice, che obbligava la figlia a ripassarne le coniugazioni) viene preservata e trasmessa. Sara riesce ad esaudire il voto della nonna solo dopo aver sciolto il mistero che avvolgeva le vere ragioni della sua partenza dall’Italia, solo dopo essersi fatta carico della sua storia famigliare che le si rivela indissolubilmente legata ad un capitolo tragico e misterioso della storia dell’Aquila, l’uccisione di nove giovani partigiani, i Nove Martiri Aquilani. C’è un passo apparentemente parentetico nel romanzo in cui Sara avverte improvvisamente che tutto si collega. L’ultima parte del romanzo, che cerca di comporre i vari fili della trama in una composizione coerente, è scandita dalle fasi lunari, con capitoli che anche nei titoli (“Luna nuova”, “Primo quarto”, “Luna crescente” ecc.) seguono le tappe di Sara tanto nella conoscenza della storia della nonna quanto in quella di se stessa, in un processo che raggiunge il suo culmine con la luna piena. L’ultima scena del romanzo, alla Fontana delle 99 Cannelle, costituisce dunque non solo un epilogo ma anche un nuovo inizio, segnato dalla presenza dell’acqua e dalla sua promessa di rinnovamento - che spero sia di buon auspicio per una città che dall’acqua trae il suo nome!

lunedì 21 novembre 2016

“Artisti in soccorso”: da sabato 19 novembre grandi nomi al museo delle Genti d’Abruzzo.








“Artisti in soccorso”: da sabato 19 novembre grandi nomi
al museo delle Genti d’Abruzzo.
La mostra chiude il 4 dicembre con asta benefica  per Amatrice e Arquata del Tronto.

Pescara, 18 novembre 2016 – Apre i battenti domani sabato 19 novembre alle 18:30 presso la Sala Giovanni Favetta” del Museo delle Genti d’Abruzzo la mostra “Artisti in Soccorso”, promossa dalla Fondazione Genti d’Abruzzo, che raccoglie ed espone a Pescara 35 opere di grande valore.
Hanno aderito all’iniziativa Giovanni Anselmo, Nanni Balestrini, Matteo Basilè, Gianni Berengo Gardin, Domenico Bianchi, Alberto Biasi, Igor Borozan, Gianni Dessì, Pablo Echaurren, Marilù Eustachio, Antonio Freiles, Marco Gastini, Piero Gilardi, Giorgio Griffa, Franco Guerzoni, Elisabetta Gut, Mimmo Jodice, Sergio Lombardo, Luigi Mainolfi, Eliseo Mattacci, Marcello Morandini, Hidetoshi Nagasawa, Carlo Nangeroni, Giulio Paolini, Claudio Penna, Lamberto Pignotti, Fabrizio Plessi, Piero Pizzi Cannella, Concetto Pozzati, Pietro Ruffo, Alfredo Saino, Tino Stefanoni, Wainer Vaccari, Grazia Varisco, Nanda Vigo.
 
«La peculiarità di questa esposizione – spiega il curatore Roberto Rodriguez - è che le opere sono state donate da artisti di chiara fama con l’obiettivo di venire battute all’asta la sera di domenica 4 dicembre, in una iniziativa di beneficenza a favore delle popolazioni di Amatrice e Arquata del Tronto, colpite dal terremoto

 

È molto bello che tanti artisti diversi tra loro per provenienza, cultura e stile si siano stretti tutti solidamente insieme in nome di un’Arte che viene in soccorso, affinché un popolo straordinario che sta dimostrando al mondo una grande dignità possa incamminarsi verso la ricostruzione della sua preziosa terra».
 


L’iniziativa fa seguito alla sessione anticipata di asta che ha avuto luogo negli stessi locali domenica 23 ottobre. Le opere saranno visitabili gratuitamente nella Sala “Giovanni Favetta” del Museo delle Genti d’Abruzzo, in via delle Caserme 54, da sabato 19 novembre fino a sabato 3 dicembre con i seguenti orari: da giovedì a sabato 16:30/23:00, domenica 16:30-21:00.
Da lunedì 21 novembre le opere saranno consultabili anche sul sito del Museo www.gentidabruzzo.it, insieme al regolamento dell’asta e il modulo di iscrizione che renderà possibile anche la partecipazione telefonica. Informazioni: 085.4511562 - 347.6265113 - 335.8270447.

Ufficio stampa: Cristina Mosca, tel 3289379969 - cristina@modiv.it