Al Museo Nazionale della Scienza di
Tokyo stanno cercando di ricostruire, con sofisticate tecniche
computerizzate, le sue fattezze, per una mostra che potrebbe tenersi
entro fine anno. Anche il teatro Noh di Suidobashi ha ospitato uno dei
convegni organizzati sul tema della sua «missione impossibile»: riaprire
il Giappone al cristianesimo un secolo dopo le grandi persecuzioni e la
totale messa al bando.
I media nipponici hanno dato ampio risalto al ritrovamento dei suoi
resti in una tomba scoperta nell’estate di due anni fa nell’area di
Tokyo che un tempo fu la residenza coatta dei cristiani, dopo che le
autorità in aprile hanno annunciato che le ossa rinvenute sono proprio
quelle di Giovanni Battista Sidotti (1668-1714), «l’ultimo missionario»
venuto in Giappone nel 1708, ai tempi del
sakoku (chiusura ermetica del Paese, con proibizione a chiunque di arrivare dall’estero o di recarvisi, sotto pena di morte).
Non possono infatti essere i resti dell’altro missionario siciliano
che fu trattenuto nello stesso luogo, il gesuita Giuseppe Chiara, che fu
cremato nel 1685, dopo essere venuto in Giappone con alcuni confratelli
per “vendicare” con il martirio l’apostasia del provinciale Cristóvão
Ferreira (ma abiurò anch’egli sotto tortura: uscirà a novembre un film
di Martin Scorsese ispirato alla sua vicenda, tratto da
Silenzio di Shusaku Endo).
La Domenica del Sole 24 Ore aveva dato conto del ritrovamento e della
probabilità che si trattasse dell’abate Sidotti, riferendo anche
qualche dubbio sulla lentezza degli accertamenti. Le autorità giapponesi
hanno invece svolto un lavoro scientifico accuratissimo e anche oneroso
su un personaggio entrato nella storia del Sol Levante grazie ai suoi
dialoghi da prigioniero con l’insigne studioso neoconfuciano Arai
Hakuseki, consigliere dello
shogun, che lasciò due ampi resoconti dei loro colloqui.
«Non solo nei media giapponesi ma anche tra gli studiosi si è avuta
grande eco e gli studi già fiorenti in Giappone sul personaggio hanno
avuto nuovo impulso – afferma il professor Aldo Tollini dell’Università
di Venezia –. Nel prossimo futuro si prevede che si susseguiranno,
convegni e altre iniziative volte ad approfondire e a far conoscere al
grande pubblico questo importante personaggio. Per contro, è inevitabile
lamentare un persistente disinteresse per Sidotti in Italia, non solo
tra gli studiosi, ma anche tra il pubblico. Infatti, ho potuto
constatare di persona, con grande rammarico, che anche nella sua città
natale, Palermo, Sidotti è poco noto» .
Akio Tanigawa, professore di archeologia dell’Università Waseda e
responsabile delle ricerche sui resti ritrovati, sottolinea che «la
visione del mondo del Giappone fu cambiata dalle conoscenze trasferite
dal Sidotti ad Arai», mentre padre Toshiaki Koso,
Chancellor della
Sophia University, parla di un ruolo fondamentale giocato dall’incontro
tra Sidotti e Arai nella “apertura mentale” del Giappone verso
l’Occidente. «Sidotti ha fornito preziose informazioni soprattutto sulla
geografia del mondo, dando l’avvio a quella che di lì a pochi anni
sarebbe diventata la scienza geografica giapponese – prosegue Tollini –.
È interessante notare che al di là delle incomprensioni sul piano
religioso con il neoconfuciano razionalista, il dialogo tra le culture
occidentale e giapponese ha potuto avere luogo grazie alla disponibilità
al dialogo da parte di entrambi gli interlocutori, a dimostrazione di
come i rapporti culturali possano superare le barriere ideologiche o
religiose».
In tempi in cui riaffiora il tema dello scontro tra civiltà, Sidotti e
Arai simboleggiano un desiderio e una capacità di confronto e dialogo
tra Est e Ovest, a dispetto dei veti politici a ogni interscambio. Per
questo il destino dei suoi resti mortali chiama in causa anche le
autorità civili. «In proposito le autorità giapponesi non si sono
pronunciate. È prevedibile e sperabile che siano collocati dove potranno
essere visitati, forse in un museo o in un luogo aperto al pubblico –
osserva Tollini – Tuttavia, ci sono altri soggetti coinvolti nella
questione. Da una parte, certamente la Chiesa Cattolica presente in
Giappone. Ma penso anche che un ruolo non secondario spetti alle
autorità della sua città natale, Palermo, al fine di promuovere la sua
conoscenza, rendere l’onore che gli è dovuto e andare fiera di aver dato
i natali a un personaggio che in un lontano Paese ha portato la cultura
occidentale. Mi auguro che il sindaco e gli amministratori di Palermo
colgano questa occasione e prendano iniziative volte a commemorare la
figura di Sidotti. Magari anche, d’intesa con l’Arcivescovado, chiedendo
una parte delle sue ossa per la città. E quindi per l’Italia».
Mentre il prossimo febbraio è prevista in Giappone la cerimonia di
beatificazione del primo samurai cristiano, Takayama Ukon, c’è inoltre
chi ritiene il Sidotti un possibile candidato a una canonizzazione. «La
sua fine è certo assimilabile a un martirio», afferma padre Mario
Canducci, da decenni missionario francescano nel Sol Levante. Rispetto e
ammirazione avevano portato Arai a suggerire la soluzione senza
precedenti di rispedirlo in patria via Cina, ma lo shogunato scelse di
trattenerlo in un regime coatto blando. Quando però si scoprì che aveva
convertito i suoi due anziani servitori-guardiani (Chosuke e Haru,
marito e moglie), tutti e tre furono rinchiusi in strette fosse e
lasciati morire di stenti. Le tre tombe sono state ritrovate l’una di
fianco all’altra.
Intanto sta per essere pubblicata la traduzione italiana del libro
della scrittrice Tomoko Furui intitolato Mikkou – Saigo no bateren
Shidotti (Il passaggio segreto – L’ultimo missionario: Sidotti).
Furui, nata a Osaka, fin da 1994 si è trasferita sull’isola di
Yakushima, dove è diventata una memoria vivente della storia e delle
tradizioni locali ed è l’animatrice dell’organizzazione no profit
Yakushima Eco Festa.
Patrimonio naturale dell’Umanità grazie ai suoi cedri millenari,
l’isoletta appena a sud del Kyushu fu il primo lembo di terra giapponese
toccato dal Sidotti, nella notte dell’11 ottobre 1708, quando sbarcò
dalla nave «Santissima Trinità» dopo un difficoltoso viaggio di ben 50
giorni da Manila (commovente la sua ultima lettera, inviata al
provinciale francescano delle Filippine). Furui narra che un contadino
di nome Toubei del villaggio di Koidomari, di ritorno dal lavoro nei
boschi, si imbattè in quest’uomo che dovette apparirgli un gigante
strano, anche se vestito alla giapponese. Lo portò a casa sua per
rifocillarlo. Le autorità ebbero sentore della incredibile notizia della
presenza di uno straniero e lo arrestarono. Furui non è cattolica ma è
stata affascinata dalla figura del Sidotti, tanto da dedicare a lui
sette anni di ricerche, indirizzate inizialmente da un missionario
italiano trasferitosi sull’isola, padre Contarini. «Nel villaggio di
Koidomari si tiene ancora oggi ogni anno una festa di commemorazione
dell’arrivo di Padre Sidotti – rivela –. La sua fine è stata triste ma
nobile. La sua missione impossibile suggerisce riflessioni importanti
anche alla nostra epoca. E i due libri di Arai, pur lungamente proibiti e
scoperti solo nell’Ottocento, furono trascritti numerose volte e
circolarono tra gli intellettuali, contribuendo in ultima analisi alla
successiva apertura e modernizzazione del Giappone».