venerdì 30 settembre 2016

La missione impossibile di Sidotti di Stefano Carrer

Liam Neeson è Cristóvão Ferreira nel film di Martin Scorsese «Silence», sulle missioni dei gesuiti in Giappone ai tempi delle grandi persecuzioni, in uscita a novembre

 
Al Museo Nazionale della Scienza di Tokyo stanno cercando di ricostruire, con sofisticate tecniche computerizzate, le sue fattezze, per una mostra che potrebbe tenersi entro fine anno. Anche il teatro Noh di Suidobashi ha ospitato uno dei convegni organizzati sul tema della sua «missione impossibile»: riaprire il Giappone al cristianesimo un secolo dopo le grandi persecuzioni e la totale messa al bando.
I media nipponici hanno dato ampio risalto al ritrovamento dei suoi resti in una tomba scoperta nell’estate di due anni fa nell’area di Tokyo che un tempo fu la residenza coatta dei cristiani, dopo che le autorità in aprile hanno annunciato che le ossa rinvenute sono proprio quelle di Giovanni Battista Sidotti (1668-1714), «l’ultimo missionario» venuto in Giappone nel 1708, ai tempi del sakoku (chiusura ermetica del Paese, con proibizione a chiunque di arrivare dall’estero o di recarvisi, sotto pena di morte).
Non possono infatti essere i resti dell’altro missionario siciliano che fu trattenuto nello stesso luogo, il gesuita Giuseppe Chiara, che fu cremato nel 1685, dopo essere venuto in Giappone con alcuni confratelli per “vendicare” con il martirio l’apostasia del provinciale Cristóvão Ferreira (ma abiurò anch’egli sotto tortura: uscirà a novembre un film di Martin Scorsese ispirato alla sua vicenda, tratto da Silenzio di Shusaku Endo).
La Domenica del Sole 24 Ore aveva dato conto del ritrovamento e della probabilità che si trattasse dell’abate Sidotti, riferendo anche qualche dubbio sulla lentezza degli accertamenti. Le autorità giapponesi hanno invece svolto un lavoro scientifico accuratissimo e anche oneroso su un personaggio entrato nella storia del Sol Levante grazie ai suoi dialoghi da prigioniero con l’insigne studioso neoconfuciano Arai Hakuseki, consigliere dello shogun, che lasciò due ampi resoconti dei loro colloqui.
«Non solo nei media giapponesi ma anche tra gli studiosi si è avuta grande eco e gli studi già fiorenti in Giappone sul personaggio hanno avuto nuovo impulso – afferma il professor Aldo Tollini dell’Università di Venezia –. Nel prossimo futuro si prevede che si susseguiranno, convegni e altre iniziative volte ad approfondire e a far conoscere al grande pubblico questo importante personaggio. Per contro, è inevitabile lamentare un persistente disinteresse per Sidotti in Italia, non solo tra gli studiosi, ma anche tra il pubblico. Infatti, ho potuto constatare di persona, con grande rammarico, che anche nella sua città natale, Palermo, Sidotti è poco noto» .
Akio Tanigawa, professore di archeologia dell’Università Waseda e responsabile delle ricerche sui resti ritrovati, sottolinea che «la visione del mondo del Giappone fu cambiata dalle conoscenze trasferite dal Sidotti ad Arai», mentre padre Toshiaki Koso, Chancellor della Sophia University, parla di un ruolo fondamentale giocato dall’incontro tra Sidotti e Arai nella “apertura mentale” del Giappone verso l’Occidente. «Sidotti ha fornito preziose informazioni soprattutto sulla geografia del mondo, dando l’avvio a quella che di lì a pochi anni sarebbe diventata la scienza geografica giapponese – prosegue Tollini –. È interessante notare che al di là delle incomprensioni sul piano religioso con il neoconfuciano razionalista, il dialogo tra le culture occidentale e giapponese ha potuto avere luogo grazie alla disponibilità al dialogo da parte di entrambi gli interlocutori, a dimostrazione di come i rapporti culturali possano superare le barriere ideologiche o religiose».
In tempi in cui riaffiora il tema dello scontro tra civiltà, Sidotti e Arai simboleggiano un desiderio e una capacità di confronto e dialogo tra Est e Ovest, a dispetto dei veti politici a ogni interscambio. Per questo il destino dei suoi resti mortali chiama in causa anche le autorità civili. «In proposito le autorità giapponesi non si sono pronunciate. È prevedibile e sperabile che siano collocati dove potranno essere visitati, forse in un museo o in un luogo aperto al pubblico – osserva Tollini – Tuttavia, ci sono altri soggetti coinvolti nella questione. Da una parte, certamente la Chiesa Cattolica presente in Giappone. Ma penso anche che un ruolo non secondario spetti alle autorità della sua città natale, Palermo, al fine di promuovere la sua conoscenza, rendere l’onore che gli è dovuto e andare fiera di aver dato i natali a un personaggio che in un lontano Paese ha portato la cultura occidentale. Mi auguro che il sindaco e gli amministratori di Palermo colgano questa occasione e prendano iniziative volte a commemorare la figura di Sidotti. Magari anche, d’intesa con l’Arcivescovado, chiedendo una parte delle sue ossa per la città. E quindi per l’Italia».
Mentre il prossimo febbraio è prevista in Giappone la cerimonia di beatificazione del primo samurai cristiano, Takayama Ukon, c’è inoltre chi ritiene il Sidotti un possibile candidato a una canonizzazione. «La sua fine è certo assimilabile a un martirio», afferma padre Mario Canducci, da decenni missionario francescano nel Sol Levante. Rispetto e ammirazione avevano portato Arai a suggerire la soluzione senza precedenti di rispedirlo in patria via Cina, ma lo shogunato scelse di trattenerlo in un regime coatto blando. Quando però si scoprì che aveva convertito i suoi due anziani servitori-guardiani (Chosuke e Haru, marito e moglie), tutti e tre furono rinchiusi in strette fosse e lasciati morire di stenti. Le tre tombe sono state ritrovate l’una di fianco all’altra.
Intanto sta per essere pubblicata la traduzione italiana del libro della scrittrice Tomoko Furui intitolato Mikkou – Saigo no bateren Shidotti (Il passaggio segreto – L’ultimo missionario: Sidotti). Furui, nata a Osaka, fin da 1994 si è trasferita sull’isola di Yakushima, dove è diventata una memoria vivente della storia e delle tradizioni locali ed è l’animatrice dell’organizzazione no profit Yakushima Eco Festa.
Patrimonio naturale dell’Umanità grazie ai suoi cedri millenari, l’isoletta appena a sud del Kyushu fu il primo lembo di terra giapponese toccato dal Sidotti, nella notte dell’11 ottobre 1708, quando sbarcò dalla nave «Santissima Trinità» dopo un difficoltoso viaggio di ben 50 giorni da Manila (commovente la sua ultima lettera, inviata al provinciale francescano delle Filippine). Furui narra che un contadino di nome Toubei del villaggio di Koidomari, di ritorno dal lavoro nei boschi, si imbattè in quest’uomo che dovette apparirgli un gigante strano, anche se vestito alla giapponese. Lo portò a casa sua per rifocillarlo. Le autorità ebbero sentore della incredibile notizia della presenza di uno straniero e lo arrestarono. Furui non è cattolica ma è stata affascinata dalla figura del Sidotti, tanto da dedicare a lui sette anni di ricerche, indirizzate inizialmente da un missionario italiano trasferitosi sull’isola, padre Contarini. «Nel villaggio di Koidomari si tiene ancora oggi ogni anno una festa di commemorazione dell’arrivo di Padre Sidotti – rivela –. La sua fine è stata triste ma nobile. La sua missione impossibile suggerisce riflessioni importanti anche alla nostra epoca. E i due libri di Arai, pur lungamente proibiti e scoperti solo nell’Ottocento, furono trascritti numerose volte e circolarono tra gli intellettuali, contribuendo in ultima analisi alla successiva apertura e modernizzazione del Giappone».

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