venerdì 2 settembre 2016

Let's Build The Peace Chain With Poetry. The Prize "The Voice of the Poets" Lecce 16 december 2016




Let's Build The Peace Chain With Poetry.
The Prize "The Voice of the Poets" launches the project “Let's build Peace Chain with Poetry", which wants to unite poets from around the world to build a civilization of love for peace with the poetry. Peace is not the responsibility of the other, but to everyone, it is a challenge, it is the future and the present, it is to live as custodians of a world of which we are not the owners, it is to build with daily choices new styles of relationship and life. We propose to write many poems for Peace, to build an endless chain. It is a project to reflect on Peace, on our right and duty to build it, to sow it in relationships and in life.
COSTRUIAMO LA CATENA DELLA PACE CON LA POESIA.
Il Premio “La Voce dei Poeti” lancia il progetto “Costruiamo la Catena della Pace con la Poesia” che vuole unire poeti di tutto il mondo per costruire una civiltà dell’amore per la pace con la poesia. La Pace non è compito degli altri, ma è di tutti, è una sfida, è futuro e presente, è vivere da custodi di un mondo di cui non siamo i padroni, è costruire con scelte quotidiane nuovi stili di relazione e di vita. Noi Vi proponiamo di scrivere per la Pace tante poesie, per costruire una catena senza fine. È un progetto per riflettere sulla Pace, sul nostro diritto-dovere di costruirla, di seminarla nelle relazioni e nella vita.



The Association VerbumlandiArt announces the II Edition 2016 Prize
 "THE VOICE OF THE POETS"
1. At the International Poetry Prize and video poetry "THE VOICE OF THE POETS" may take part in foreign authors from 18 years up.
2. The Prize includes three (3) sections, all on the theme of the Peace
3. they are not admitted contained: racist, defamatory, offensive to the dignity of others, with political references, or erotic.
4. Participation in the competition is FREE, as well as the inclusion of the finalist videos on the YouTube channel
5. POETRY
Send a maximum of 30 lines the poem, published or unpublished, in word Times New Roman 12.
6. VIDEOPOETRY
 To participate in the video poetry must be a video that tell us peace and dialogue between peoples, also send the text of the video poetry in word. The video, max of 3 minutes, will be realized in format: avi / mpeg (1-2-4) / mov / flv / wmv to support mini dv / dvd / cd-r.
7. The text can be recited or written by captions or subtitles.
8. The video poetry can be realized by a single author or authors of two separate (one for the literary part and one for video): it must release the copyright
9.PHOTO-POETRY
   Published or to be inserted or superimposed on the side of a color image or black and white (maximum of 2 works). Add in word also text of the poem.
The works shall be considered valid even if published on Social Networks, Web-sites, Personal Blog or public, etc. provided they do not violate copyrights.
10. The author must send absolutely no later than 24 hours of November 20, 2016 (postmark date of shipment) the video, the fotopoesia, poetry, including full name, address, email, transcribed word poetry. The entry form must also contain the author's cultural Association authorization Verbumlandiart ... to the processing of personal data, in order to allow the smooth progress of the various stages of the award selection.
The material should be sent via email to:
Verbumlandiart2@gmail.com
must be indicated INTERNATIONAL PRIZE "The Voice of the Poets".




SEPTEMBER 11 - Bipul Ch. Kalita




SEPTEMBER 11

How can I console the wombs
that nursed tiny dreams for months
that broke down to receive scattered limbs
of the same dreams blown up by the time’s foes
whose wild souls’ ugliest laughter stained human history.

Horrible smokes that shrouded the dead in air
cause panics even in civil dreams today too
cause failures in confident faith in man
dividing man into suspicious egos
to proclaim Satan’s victory.
It pains me
burning heart and soul
piercing age old spiritual conscience
of a land that the globe’s traders eye the civil forehead
to forecast the weather of love, peace and faithful prosperity.
It killed humanity
killing budding peace and love
spreading hatred among branches of the same tree
while Time sobbed, sobs and will sob on the corpses of spirits.
Copyright@Bipul Ch. Kalita. 02/09/2016.

Simonetta Barini Artista


Il linguaggio espressivo di questa pittrice modula il lessico della rappresentazione fisica e psicologica attraverso le complesse regole della sintassi, del sentimento.
L'artista è decisamente attratta dalla figura umana colta nell'azione.
Magnificamente rielabora l'immagine facendone una sua interpretazione.
Nadia Celi (critico d'arte)


 


 








MOLFETTA. IL PROF. FRANCESCO LENOCI PROMUOVE UN CONVEGNO NEL NOME DI DON TONINO - Paola Copertino



MOLFETTA - Dopo aver visitato Molfetta e i luoghi  che indicano  la presenza tangibile di don Tonino, il Duomo e la Cattedrale, il professor Francesco Lenoci, docente dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, continua  l’ opera di divulgazione del messaggio del vescovo tanto amato.
L’ Associazione “Verbumlandiart”, in collaborazione con il docente universitario di origini pugliese, ma da tanti anni residente a Milano, organizza per il prossimo 11 dicembre a Lecce l’ iniziativa: “ In piedi costruttori di pace” che non vuole essere solo una commemorazione , ma anche un atto di coscienza e responsabilità.
La direzione di questo evento è a cura dell’ emerito professor Carlo Alberto Augieri dell’ Università del Salento e vuole essere una giornata a ricordo di questo importante messaggio di pace professato dal “ Vescovo con il grembiule”.
Il professor Lenoci inoltre sta cercando di organizzare per il dicembre 2017 proprio a Sarajevo un importante evento commemorativo nel nome di don Tonino.
E proprio per ricordarlo vi  riportiamo le sue parole:
“Sarajevo, ventiquattro anni fa
Faceva freddo. La città era assediata. E in 500, disarmati e coraggiosi, entrarono tra i fuochi e le paure. Tra loro v’era anche don Tonino.
Era l’11 dicembre 1992.
Ventiquattro anni fa la marcia a Sarajevo, 500 persone, dal 7 al 13 dicembre 1992, nella città assediata. Don Tonino volle esserci, nonostante la malattia. Rileggere qualche brano del suo “Diario da Sarajevo” aiuta a rivivere non solo quei momenti e quella guerra, ma illumina, stimola e inquieta le coscienze anche oggi di fronte alle guerre.
Ingresso a Sarajevo
11 dicembre 1992
“Di buon mattino, sulla esilissima base di qualche assicurazione giunta ieri sera sul tardi, si decide di partire per Sarajevo. (…) Una delegazione di dieci persone, guidata da p. Cavagna e dall’on. Guidi si reca a Ilidza a parlamentare con le autorità militari serbe. Una trattativa lunghissima, estenuante. (…) Intanto la gente del posto viene sul pullman a offrirci un the caldo. Una signora serba ha visto gli autisti intirizziti dal freddo e, benché fossero tutti croati, li ha portati a casa e ha offerto un pranzo per loro. Sono entrato a salutarla: si è messa a piangere. Poi si è avvicinato un uomo e mi ha invitato a casa sua, dove si faceva un banchetto funebre. Sono entrato e mi ha detto: «Io sono serbo, mia moglie è croata; queste mie cognate sono musulmane, eppure viviamo insieme da tempo, senza problemi: ma chi la vuole questa guerra?». A vedere quella gente di estrazione etnica così diversa, seduta alla stessa mensa, ho pensato a quella definizione di pace che riporto spesso nelle mie conversazioni: convivialità delle differenze.
Si è fatto tardi. Le speranze si affievoliscono. (…) Ed ecco, all’improvviso, giunge l’autorizzazione dei serbi: entrate pure a Sarajevo (…). Da nove mesi, quando giungono le quattro pomeridiane, in città non entrano neppure le camionette dell’Unproform dell’ONU. Ma stasera c’è un’altra ONU: quella dei popoli, della base. A quest’ONU dei poveri, che scivola in silenzio nel cuore della guerra, sembra che il cielo voglia affidare un messaggio: che la pace va osata. (…)”
A tanti anni di distanza il pensiero di don Tonino risulta profetico, di estrema attualità  tanto che  il professor Lenoci cerca in maniera laica e con un approccio di grande rispetto di diffonderlo  dal nord al sud dell’ Italia.
Paola Copertino

La festa per La Rotonda che compie 80 anni - Franco Presicci



La festa per La Rotonda che compie 80 anni
di Franco Presicci


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Festa grande il 20 agosto nella villa comunale di Martina Franca, per gli 80 anni de La Rotonda. Dame in abito da sera; cavalieri con il papillon; hostess deliziose che portavano sulle tavole mozzarelle e capocollo di Martina Franca accompagnati da Primitivo di Manduria. La sera era calma, nemmeno un alito di vento.
A un passo dall’ingresso ho intravisto Memo Remigi a colloquio con una signora di un paio di anni sopra i quaranta, sorridente e affascinante. Il cantante non è cambiato molto dall’ultima volta che l’ho incontrato a Milano, per un’intervista, nei primi anni ’60. Mi ha scrutato, non mi ha riconosciuto.

Lenoci - Gennari - Presicci.jpg
Quando l’interlocutrice lo ha salutato, accingendosi a scendere uno scalino attenta a non incespicare per il vestito lungo, mi sono presentato; e lui mi ha abbracciato. “Scusami non mi ricordavo di te”. “Fra le tante persone che ti hanno applaudito, fra le valanghe di fans…è normale. E poi, dopo tutti quei lustri…”.
E mi ha raccontato che dopo la chiusura in Galleria del Corso, a Milano, di tutte le case discografiche “mi sono trasferito a Varese, città tranquilla, ricca di verde e di attrattive”. Da quelle parti ha conosciuto anche Piero Chiara (“Il piatto piange”, “La stanza del vescovo”…), che stava a Luino. Nel ’70 lo scrittore mi ricevette a casa per una conversazione per “PlayBoy”, allora diretto da Paolo Mosca, che veniva dalla plancia de “La Domenica del Corriere” e guidava anche “Novella 2000”, al posto di Paolo Occhipinti trasferito a “Oggi”.

È gentile, Memo. Cordiale, spiritoso, simpatico, pronto alla battuta garbata e divertente. Ogni tanto tentava di bloccare Antonio Rubino, direttore del periodico “Puglia Press”, presentatore e organizzatore della manifestazione, che gli rispondeva interrompendo il suo girotondo fra un tavolo e l’altro.

Accanto a noi, Francesco Lenoci, docente alla Cattolica di Milano e autore di 33 libri di finanza aziendale, che si mostrava entusiasta di Memo: “Con tutto il successo che ottiene da decenni è alla mano, ti tratta come se fossi suo amico da sempre”. E dopo una prima chiacchierata con lui si è rivolto a me per saperne di più.

Memo Remigi, nato a Erba, è figlio di un industriale della Brianza. La sua prima canzone di successo è “Innamorati a Milano”, che tenne a battesimo Telemilano 58, la mamma di Canale 5. Fra le sue più belle “La notte dell’addio” e “Cerchi nell’acqua”, motivo del film di Claude Lelouch “Vivere per vivere”. “È una persona straordinaria” - il suo commento - mentre Memo osservava gli ospiti e sfiorava la cantante de “I Prisma” che già dominava il palcoscenico.

Lenoci - Romanelli.jpg
Sorseggiava un bicchiere di vino e Francesco, “patriae decus” di Martina e legato come pochi alla Valle d’Itria, lo esortava ad assaggiare il capocollo, “che è una prelibatezza, uno dei vanti di Martina Franca”. L’artista è già stato altre volte in questo angolo di paradiso e l’ha già visitato, ma rimane sempre stupito dai trulli, dal barocco, dal centro storico. Ha anche apprezzato, oltre che i colori, i sapori. Che più? Ah, il calore della gente.

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Rubino continuava a galoppare e, tenendo in mano come uno scettro il microfono, raccontava un po’ la storia de La Rotonda, accennando ai suoi giorni più belli. Coinvolgeva Benvenuto Messia, poeta, veterano dell’obiettivo fotografico, attore, ciclista, più anziano di tre anni della festeggiata; mitragliava domande a destra e a manca, scovando più d’un frequentatore de La Rotonda di una volta in vena di far fluire i propri ricordi. Qualcuno alzava il dito per richiamare la sua attenzione e lui non si lasciava sfuggire l’occasione: “Porti il suo contributo, dica, dica; ecco, parli nel microfono, così la sentono tutti”. “Nel ’58, dopo che in coppia con Johnny Dorelli aveva vinto Sanremo con ‘Nel blu dipinto di blu’, qui vedemmo volare Domenico Modugno, celebrato in tutto il mondo. Era accompagnato dalla moglie Franca Gandolfi. Ma c’era già stato prima di quel trionfo”. Lo dice quasi commuovendosi.

La lista dei cantanti che sono passati da qui è molto lunga: va da Teddy Reno a Rita Pavone; da Ornella Vanoni a Patty Pravo; da Sylvie Vartan a Milva, a Fred Bongusto, al Quartetto Cetra, a Dalida … Non mancarono Raimondo Vianello, Gianni Ravera, Gloria Christian... Rubino aggiungeva dettagli, rievocava gli anni ’50, esponeva fatti, precisava, sottolineava, chiosava, indicava la giornalista Evelina Romanelli, discreta, raggiante nel suo vestito anni ’50 fatto a mano dal Gruppo Stile De Virgilio. Un “robe boustier” a corolla, color nero intenso, ricavato da un meraviglioso tessuto in “pizzo jacquard” ottenuto dall’intreccio di rafia e seta.

A un tavolo vicino al mio tre o quattro signori si scambiavano i ricordi: “Durante i balli i giovani impegnavano il fotografo per immortalare l’amore appena sbocciato. La Rotonda era il luogo preferito da tanti, che venivano anche da altri centri della Puglia”: da Bari, da Taranto, da Brindisi, da Putignano, da Alberobello…. A far lampeggiare il flash all’epoca c’era anche Benvenuto Messìa, neofita promettente.

Sollecitato da Evelina, che su “Puglia Press” ha descritto le vicende de La Rotonda fin dalla sua nascita, ha confidato che “essere lì dentro mi dava la possibilità, sia pure per lavoro, di entrare in contatto con un salotto elegante che, sulle note della musica, regalava grandi emozioni”. A quei tempi - ancora parole del Messia - non c’erano molte occasioni per avvicinare una fanciulla; in quel gioiello, complici la penombra e “Grazie dei fior”, la conquista era più facile, nonostante la presenza dei gendarmi: i genitori, che non staccavano mai gli occhi delle figlie. Le danze si aprivano alle 20 e terminavano a mezzanotte.

In piedi vicino a una sagoma di luce un “arbiter elegantiarum” apriva il proprio libro: “La Rotonda non aveva alcunché da invidiare a La Bussola di Marina di Pietrasanta, fondata nel ’55 da Sergio Bernardini e diventata famosa a sua volta per i nomi famosi che vi si esibivano: Renato Carosone, Luciano Tajoli, Fabrizio De Andrè, Adriano Celentano, Ray Charles, Ella Fitzgerald, Giuliètte Greco…”.

Intanto il ciclone Rubino individuava e catturava personaggi, li interrogava come un professore di liceo agli esami di maturità; citava le orchestre che si alternarono, come quella del maestro Nasta di Taranto; e poi Carla Boni, che nel ’50 cantò con Gino Latilla; e Gino Paoli nell’80. “Furono  anche  queste ugole a richiamare tanta gente in questo prestigioso locale di Martina Franca”.

Benvenuto assentiva con cenni del capo, mentre sfogliava “Puglia Press”. Francesco Lenoci sorrideva soddisfatto e di tanto in tanto scherzava con Memo Remigi, l’unico a non farsi strozzare dalla cravatta. “Professore, come hai fatto a pubblicare tanti volumi alla tua giovane età?”. “E tu le tue canzoni, che hanno attraversato l’oceano?”.

Giunto il momento, Memo si è seduto al piano e ha iniziato il proprio repertorio. Ha anche imitato in modo superlativo le voci di altri cantanti, da Al Bano a Bobby Solo, da Bruno Martino a Ornella Vanoni; rifatto Topo Gigio; sintetizzano brani della sua vita; improvvisato battute e addirittura una canzone sul vino dell’amore “maturato alla luce dei tuoi occhi”. Ha anche cantato con una bella ragazza; reso omaggio all’amico Jimmy Fontana; fatto il ventriloquo. Ha lasciato un attimo la tastiera, è tornato fra il pubblico, complimentandosi per le acconciature bene architettate, per gli abiti, per i sorrisi, mentre Giovanni Rubino sparava i suoi “flash”. È poi tornato al pianoforte a far sognare. Gli applausi sono esplosi soprattutto quando ha intonato “La notte dell’addio”, scelta da Battiato fra le 12 composizioni più prestigiose per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Grande Memo. Artista vero, gentiluomo. I fans lo hanno accerchiato, offrendogli carta e penna per gli autografi.



A mezzanotte Antonio Rubino ha annunciato il momento del “Premio La Rotonda 2016”. Destinatari dei meravigliosi piatti disegnati da Ceramiche Nicola Fasano di Grottaglie sono stati il professor Matteo Pizzigallo, Benvenuto Messia, Francesco Lenoci, la brillante Anna Gennari, “public relation” de Le Donne del Vino della Puglia. . . . e anche il sottoscritto, più che soddisfatto di questa manifestazione indimenticabile, conclusasi con una grande torta, gustata sotto lo sguardo della luna, che è più bella vista da Martina Franca.

giovedì 1 settembre 2016

The Great Poet George Onsy








In the Air:...Mohammed Michael Harfoush




In the Air:

 
In this drowsy,
Furled town
One can feel smothered
And weighed down
By such a heavy set of circumstances
Whirling ‘round.

Though her silence
Is enchanting,
“Mother Morning”
Starts her planning—
Stealing glances of the melancholy
Lives we’re damning.
Madness lingers in the air
And permeates through thoughts
We share—
As the facade of cheerfulness
Dissipates
All our cares.
© 2016 Mohammed Michael Harfoush

“Moto moto", nulla muore veramente L'Aquila, il ricordo di quella terribile notte del 6 aprile 2009 - Bruna Bontempo

“Moto moto", nulla muore veramente
L'Aquila, il ricordo di quella terribile notte del 6 aprile 2009
 
 
 
Squilla il telefono, sono le ventidue circa. Rispondo preoccupata, con la gola secca, il fiato corto.
“ciao…l’hai sentito?”
“si” rispondo con la voce rotta dall’emozione… “si”.
Non aggiungo altro, non riesco ad aggiungere altro, ho gli occhi umidi e una sensazione di impotenza mi invade. Piango, senza indugio, senza pudore, volutamente per liberare la tensione e l’angoscia intrappolata dentro di me che da alcuni mesi, quasi ogni giorno, si ripresenta.
“Non ti preoccupare, stai tranquilla, cerca di dormire! Speriamo non ce ne siano altre questa notte!”.
Rimango scettica, confusa, sento una sensazione di disagio. Sono a casa, nel luogo che dovrebbe farmi sentire protetta, dove la paura dovrebbe attenuarsi e lasciare spazio alla tranquillità, alla sicurezza, ma neanche la rassicurazione della mia amica Rosanna riesce a sedare la mia ansia, a farmi stare tranquilla! Mi guardo intorno, seduta nella mia bergère che mi fa stare comoda. Osservo attentamente la mia bella casa con le luci soffuse, in penombra, accarezzo con  sguardo malinconico ogni oggetto. Che belle le mie lampade di cristallo così raffinate e leggere con la loro luce!  Le guardo ogni sera e sempre le ammiro felice per averle poggiate proprio li, sul mobile verde, vicino al vassoio d’argento regalatoci quando io e Claudio ci siamo sposati! E le potiches blu cobalto mi riportano indietro negli anni.“Ti piacciono cara? prendile sono tue". Che felicità e che onore!.
Era la baronessa Vanna Santucci in persona a regalarmele!
“Grazie ma non posso accettare” dissi con voce timida.
“Sono tue, ti prego di prenderle, sono felice di donarle a una giovane sposa e poi Libera e Piero sarebbero molto felici di sapere che le ho donate a te!”.
Vanna era una donna alta, magra, con bellissime mani che muoveva con molta eleganza. I suoi bracciali d’oro creavano un tintinnio che non disturbava mai nonostante si sentisse continuamente, al contrario, rendevano l’atmosfera leggera, festosa!  Era elegante, il naso incipriato, un sorriso accattivante e una vocina infantile nonostante i suoi ottanta anni! Veniva a farci visita a L’Aquila quando si recava alla sua villa di Navelli dopo che suo fratello, il barone Piero Santucci e sua moglie Libera riposavano nel piccolo cimitero del paesino.
Zio Italo la invitava a casa Gasbarri e lei accettava sempre volentieri felice di trascorrere una giornata nella nostra casa dove l’ospitalità era una vera e propria priorità. Ogni volta si presentava con un dono per mio figlio Franco, un pacco gigantesco che incuriosiva anche noi adulti. Quando con eleganza lo scartava, l’attesa, il desiderio e l’immediata felicità creavano ogni volta una magia! Si divertiva lei stessa a vedere Franco agguantare con le manine i peluches e rincorrerli nella grande sala da pranzo. Che allegria quel giorno con i due coccodrilli rosso e verde che correvano in direzioni diverse!
“Grazie Vanna così lo vizi” le dicevo.
Mi rispondeva ridendo con la sua vocina incantevole “io cara sono stata molto viziata da bambina dai miei genitori e sono stata sempre felice! Perché privarci di ciò che ci rende felici quando possiamo averlo?”
Ormai Franco si aspettava sempre un regalo e le correva incontro ogni volta che veniva a farci visita e lei non lo deludeva mai. Arrivava sempre con entusiasmo,  col suo dono fatto col cuore!
 
Io la ringraziavo ogni volta e mi entusiasmavo per la gioia e il divertimento che lei stessa provava. Un giorno volle che prendessi tutti i regali e li azionassi tutti insieme! Che spettacolo, che magia vedere tutti gli animaletti animati che correvano in tutte le direzioni del salone con mio figlio impazzito a rincorrere, ad acchiappare e lei che rideva e si divertiva come una bambina! Si era trasferita a L’Aquila da Roma, aveva avuto due mariti amati e adorati entrambi. Mi parlava spesso di loro e lo faceva con grandissima ironia sottolineando che aveva sempre assecondato i loro desideri come dovrebbe fare ogni brava moglie. Nelle scelte aveva seguito sempre il cuore. Nonostante i sui anni ancora una volta era rimasta affascinata da zio Italo sempre galante e soprattutto generosissimo con le signore. Lui si occupò di tutto, del trasloco, della sistemazione di lei in un appartamento molto grande, comodo, insieme a  Gerri, il suo cane, un trovatello sottratto alle ire del proprietario. Aveva viziato tantissimo anche il suo fedele amico fino a farlo ingrassare tanto da non sembrare più neanche un cane! Andavo spesso a trovarla nella sua nuova casa a L’Aquila e sempre parlavamo e ricordavamo Piero e Libera. Che affetto avevo per loro! Quando li ascoltavo in casa Cagnoli avevo occhi e orecchie solo per loro, che persone interessanti, colte e soprattutto molto affettuose. A pranzo ascoltavo attentamente tutto ciò che dicevano, ironici, mai banali. Io ero molto giovane, avevo molto da imparare da loro! L’avvocato Piero amava molto la cucina abruzzese, gradiva soprattutto il formaggio pecorino e i fagioli di Paganica, li divorava e c’era veramente molta soddisfazione nell’invitarli a pranzo! Il padre di Claudio, il dottor Franco Cagnoli, diceva che bisogna mangiare poco, che a tavola si deve essere parchi per stare bene e che l’eleganza si vede anche a tavola…ma il barone Piero gustava veramente tutto ed era sempre felice di assaggiare tutto della cucina abruzzese trasgredendo ogni volta questa regola!  Anita, la madre di Claudio era maestra nel viziarli con le crostate squisite di casa Gasbarri. Io e Claudio eravamo fidanzati già da molti anni, Piero e Libera Santucci erano amici di famiglia e spesso erano ospiti in casa Cagnoli. Venivano da Roma per andare nella loro residenza di Navelli, una bellissima e grande villa immersa nel verde con tante statue antiche, mobili pregiati, lampadari giganteschi in ferro battuto, candelabri d’argento suppellettili preziose come i puttini di porcellana in una nicchia su un comò del settecento.
Eccoli, li sto osservando, eleganti, belli, ognuno di loro suona uno strumento e sono sul comò davanti a me! Li guardo con tenerezza come fossero animati, li accarezzo con lo sguardo, con affetto. Ho rispettato e mantenuto la loro posizione, tutti uniti su un comò del settecento nella mia casa di via Rustici a L’Aquila, come una piccola orchestra che suona idealmente sempre per me, per loro!
Quando andai per la prima volta nella villa di Navelli dei Baroni Santucci mi sembrò di essere sul set di un film dove la scenografia trionfa superba. Piero mi descriveva con dovizia di particolari tutte  le stanze, dalle antiche scuderie, alle cucine piene zeppe di pentole di rame sulle antiche mattonelle, le tante e tutte diverse camere da letto con tendaggi pregiati, letti in ferro battuto e madreperla, baldacchini di legno e stoffe di seta, saloni maestosi con tavoli, argenteria pregiatissima e posate d’argento con lo stemma di famiglia! Ogni oggetto ricco di storia. A pranzo un’atmosfera che mi sbalordiva e meravigliava con Armandino che ci serviva a tavola in maniera impeccabile! Osservavo attentamente ogni cosa con stupore, tutto per me era nuovo e ne subivo il fascino; ascoltavo e sorridevo timidamente e mi guardavo bene dal proferire parola, avevo paura di sbagliare, di dire cose banali e superficiali data la mia giovane età, mi limitavo soltanto ad ascoltare e fare qualche domanda. La signora Libera aveva per me una simpatia particolare “è una bella e brava ragazza la fidanzata di Claudio ed è anche intelligente” disse un giorno ad Anita!
 
Sapere che ero entrata nelle sue grazie mi rese felice e mi fece sentire anche un po’ più sicura.  Cominciai subito a volerle bene. Andavo spesso a Roma nella sua bella casa su Lungotevere delle Armi con Ranalli, l’autista di casa Gasbarri. Un giorno andammo io e la mia amica Lunella, la signora Libera ci invitò a pranzo, gentile ed affettuosa come sempre! Ricordo la tavola apparecchiata in maniera impeccabile, piatti di porcellana finissima e bicchieri di cristallo. Che meraviglia! La mia giovane età la inteneriva e voleva sempre darmi consigli preziosi. In una nicchia del salone, un bellissimo orologio dell’ottocento francese tutto in foglia oro e piccole icone in porcellana spiccava su un antico comò.
“Che bello quest’orologio” le dissi.
Qualche mese più tardi, prima del mio matrimonio con Claudio, Libera e Piero, che sarebbero stati i nostri testimoni di nozze, vennero a farci visita con un grande pacco!
Era il loro regalo per noi!
Accarezzo con lo sguardo l’orologio francese nel mio salone sul comò del settecento!  Non posso fare a meno di osservarlo a lungo, fissarlo con amore, con gli occhi lucidi! Penso a Libera e Piero. Tutto è dentro di noi, nulla muore veramente, anche i puttini di Vanna sono li, vicini, suonano per me,  per loro.
Mi commuovo.
Quando vidi la prima volta la casa di via Rustici a L’Aquila, rimasi colpita dalla bellezza della facciata del cinquecento e anche se la casa all’interno era un disastro dissi a Claudio che mi sarebbe piaciuto ristrutturarla. Vivevamo in quel periodo in casa Cagnoli, eravamo sposati da qualche anno e sentivamo il bisogno di andare a vivere in una casa tutta nostra.
“Carissima, dovete farvi una casa tutta per voi” mi consigliava la signora Libera.
Mi innamorai della casa di via Rustici al centro della città. Mio suocero ce la donò.“Mamma, io e Stefano usciamo”, mio figlio Franco mi riporta alla realtà.
“Dove andate?”
“facciamo un giro”
“torna presto mi raccomando, state attenti”
“vai a letto mamma...buonanotte”
Franco esce con Stefano il suo amico bassista con il quale ogni domenica fa le prove, è un musicista. Ha una passione per la scrittura e la musica fin da piccolo e la casa custodisce insieme a noi i nostri interessi artistici, e rende tutto più bello e affascinante! Le tantissime serate di Franco con gli amici, il camino acceso, creano ogni volta  un’atmosfera magica, irripetibile. Adoro la sua passione e la sua creatività. Le note della sua musica accompagnano ogni istante della mia giornata da anni, salgono nei piani più alti della casa e spesso rimango ad ascoltare sognante le sue note senza che lui se ne accorga!
Gli oggetti immersi in questa dimensione magica sembrano ringraziare!
Non vado a letto, ho troppa paura. Prendo immediatamente una decisione, rimango sveglia tutta la notte! Guardo distrattamente la televisione, non ho sonno, sono irrequieta, in ansia. Eccolo di nuovo, la paura mi paralizza, tutto intorno a me trema, non riesco a muovermi! Squilla il telefono “ho paura…ho paura” rispondo piangendo. “Sei sola” mi chiede la mia amica “si Franco è uscito” “allora vieni subito qui ti aspetto”. Scendo di corsa le scale, vado verso piazza San Silvestro dove da mesi parcheggio la mia macchina e vado verso l’Istituto ex Onpi, c’è la mia amica Brunella, mi viene incontro in silenzio, abbiamo tutto stampato sui volti che si interrogano.
Piango.
Arriva Fabrizio, il dirigente dell’istituto, sono preoccupati per gli ospiti che sono li, tante persone anziane sedute nella reception.
Vado verso di loro e mi metto a parlare. Sono tutte li, in silenzio. Parlare con loro mi da coraggio, hanno un atteggiamento composto e dignitoso, i loro volti rugosi, le loro solitudini mi fanno pensare alla loro vita, immagino i loro volti giovani, mi piacerebbe conoscere le loro storie,  il loro vissuto! Provo nei loro confronti rispetto e tenerezza. Parlare con loro mi tranquillizza, sono li, sembra non abbiano più nulla da temere. Hanno affrontato tutta una vita e ora attendono.
Prendo coraggio da loro. Rimango lì fino alle due e trenta circa.
 
“Che facciamo vogliamo passare la notte a Piazza d’Armi in macchina?” mi chiede Brunella, “no, voglio tornare a casa, voglio vedere mio figlio Franco, sono preoccupata per lui” rispondo.
“torniamo nelle nostre case, forse per questa notte non ce ne saranno altre”
“Ciao”, ”ciao”, non aggiungiamo nulla, prendiamo le macchine e percorriamo un pezzo di strada insieme, fino all’incrocio, poi il saluto al semaforo con un cenno della mano e gli occhi lucidi, non sappiamo cosa ci attende.
Sono di nuovo sola, mi chiedo se troverò a casa Franco, mi sentirei più tranquilla.
Parcheggio la macchina come faccio prudentemente da mesi su un lato della chiesa di San Silvestro, verso il viale, e con passi insicuri e frettolosi corro verso casa.
“Franco ci sei?” non ottengo risposta!
La paura dentro casa non mi abbandona un istante, mi siedo, accendo il televisore, ma non riesco a vedere e sentire nulla, sono troppo tesa. E' molto tardi.
 
Chiamo Franco sul telefonino, non è raggiungibile! Inizio a chiedermi se ha avuto paura, dove possa essere e soprattutto, quando tornerà. Non voglio stare lontana da lui in questo momento, l’ansia è incontenibile!
Tengo la borsa molto vicina e poggio il telefonino sull’altra poltrona pronto se dovesse squillare.
Accarezzo con lo sguardo la mia casa,  gli oggetti  che tanto amo con un senso di frustrazione e angoscia. Inizio a provare per loro una tenerezza e ho la sensazione di un amore che ci fa soffrire, che non si vorrebbe mai lasciare.
Tutto tace.
Passa quasi un'ora, sento dei passi e la porta di casa aprirsi! Finalmente Franco, sta entrando.
“Dove sei stato?, l’hai sentito?, con chi eri?, che avete fatto?, hai avuto paura?”
“Mamma, sono le tre e venti sei ancora sveglia? Perché non vai a dormire? Si l’abbiamo sentito, non ti preoccupare, stai tranquilla, sei sempre più ansiosa, vai a dormire! Io rimango ancora un po’ allo studio”.
“No, non vado a letto, rimango qui tutta la notte, se mi addormento non ti preoccupare!
“Va bene ”.
Rimango intirizzita ancora per qualche minuto, cerco di accomodarmi meglio sulla poltrona, di coprirmi.
Eccolo, di nuovo, il mostro arriva, scuote la casa, le pareti si muovono tutte, non si fermano! “Dio mio, Dio mio”.
Scatto in piedi  ma non posso muovermi, oscillo, urlo con tutto il fiato che ho in gola “Franco, presto, ci crolla la casa addosso, scappiamo nella scala tonda!”.
Il pavimento si muove, le pareti del salone si spostano verso di me, mi vengono addosso,  rimango impietrita, il boato mi terrorizza.
E' la fine.
Afferro la borsa, non c’è tempo, gli oggetti cadono, il rumore si unisce al boato, non riesco nemmeno a stare in piedi, le pareti si spaccano sento che la casa sta per crollare!
"Corriamo presto, mettiamoci li, al riparo!” Un vortice, un mostro che si sprigiona dalle viscere della terra mi annienta, ho le ginocchia fragili, sento il cuore impazzire, forse non ce la faccio.
E' finita!
Corro, urlo, inciampo, mi rialzo, scendo le scale, trovo Franco.
Scioccato, bianco come un panno lavato, non dice nulla. La scala tonda ci protegge, il mostro si placa.
Apriamo immediatamente la porta di casa e usciamo impauriti!
Lo spettacolo che vediamo è spettrale.
Un mare di polvere, massi di pietra, detriti, ragazzi e ragazze universitari sconvolti, in pigiama, scalzi, infreddoliti con volti polverosi e figure che non riusciamo nemmeno a distinguere, tutti con lo stesso terrore.
Si abbracciano con Franco, si fanno coraggio ma io urlo “scappiamo giù, qui è pericoloso, ci sono i crolli, potremmo essere colpiti” Corriamo tutti terrorizzati e arriviamo allo slargo di viale Don Bosco piangendo, molti ragazzi cercano di telefonare ai genitori ma la linea telefonica non funziona, solo alcuni fortunati ci riescono!
La città è al buio completo, immersa nella polvere e nel terrore. Tremo tutta, non riesco a fermarmi.
Iniziano ad arrivare altre persone dalle case vicine, tutte scioccate, incredule! Franco sempre più bianco e indifeso. Parla con i ragazzi, si interrogano con gli occhi! Abbraccio una studentessa di Teramo che abita nella casa accanto alla mia, sta cercando di mettersi in contatto con i genitori.
Rimaniamo lì, al freddo, immersi nella polvere, intirizziti e tremanti! Non riusciamo a capire nulla, non arriva nessuno a soccorrerci, a dirci qualcosa!
Sono preoccupata per i miei fratelli e sorelle che vivono a Paganica, non so nulla di cosa sia successo lì, non ho il telefonino è rimasto a casa! Penso alle mie amate nipotine Greta, Angelica e Vittoria le figlie di mio fratello Luciano.
Non passa nessuno, siamo in balia della notte, dei pianti e lamenti.
Franco inizia a urlare “Dio non esiste, Dio non esiste!”, “Ragazzi, Dio non esiste!”.
Mi commuovo, è scioccato, ora comincia la sua reazione! Lo abbraccio, gli dico di stare tranquillo, ma all’improvviso mi  dice “torno a casa, a prendere le mie chitarre!”, “ti prego” gli urlo “non andare, è pericolosissimo, lasciale li!”. “No” mi grida “se muoiono le mie chitarre vorrà dire che morirò con loro” e si allontana verso casa.
Piango, mi dispero, sono consapevole del pericolo che corre, la terra continua a tremare temo per la sua vita. Mi sento chiamare da una macchina. E’ Maria Laura con Ennio, “andiamo a vedere se Giuliano sta bene, a piazza San Silvestro c’è Daniela”.
Mi faccio coraggio, percorro di tutta fretta via dei Porcinari, arrivo alla piazza, vedo moltissime persone infreddolite e sconvolte, tanti amici terrorizzati.
 
Parlo con Daniela che è salva per miracolo, è riuscita a trovare un varco tra le pietre del crollo della sua casa ed è completamente scalza. Ho il pensiero di Franco, torno velocemente giù a vedere se è tornato.
Dei ragazzi universitari stanno cercando di salvare un signora da una casa, si arrampicano su una scala e la chiamano dalla finestra ma non si ode risposta.
Passano dei minuti terribili per me perché il pericolo che corre Franco è altissimo, la terra continua a tremare, ci sono case crollate, cornicioni pendenti dai tetti, mucchi di pietre a terra.
Eccolo, lo vedo spuntare con due chitarre nelle custodie. Mi precipito verso di lui e decidiamo di metterle in macchina al sicuro. In quel momento passa Maria Grazia, abita anche lei nella mia zona e insieme al compagno sta andando a Caporciano. Ci salutiamo con grande affetto contente di essere vive! I nostri occhi rimangono lucidi!
Cerco in tutti i modi di  mettermi in contatto con Paganica e con Claudio che è a casa di Anita ma su questo fronte nulla da fare, le linee sono interrotte!
Continuo a tremare, senza sosta, allora Franco mi abbraccia e mi urla “mamma, smettila di tremare! Fermati!”. “Non posso “ rispondo “tremo e basta non dipende da me!”
 
Cominciamo a sentire il suono delle sirene in lontananza, passa una macchina, qualcuno  dice che l’epicentro è a Paganica! Mi dispero, il mio pensiero fisso sono le nipotine. Sono in pericolo, sono salve? Il pensiero per loro non mi abbandona più.  Franco cerca di contattare Claudio e Anita ma non ci riesce allora decidiamo di correre da loro in viale Niccolò Persichetti. “Andiamo presto” mi dice e corriamo giù verso Belvedere. A metà strada si unisce a noi un carissimo amico di Franco, Ubaldo Lopardi che condivide con lui questa missione pericolosissima con affetto fraterno. Correndo incrociamo anche la mia amica Rosanna con sua figlia Costantina e sua zia, anche loro preoccupate, scambiamo qualche parola sempre correndo poi ci perdiamo di vista.
“Oh Dio mio, è crollato l’Hotel Duca degli Abruzzi!”
Avevamo salutato, io e Claudio, parenti ed amici la sera del mio matrimonio, proprio nella bellissima sala di questo albergo! Una cena con una visione notturna sulla città che mozzava il fiato tanto lo scenario era bello, faceva sognare! Come ero felice, stavo vivendo il mio sogno d’amore!L’albergo è accasciato, distrutto e il freddo rende questa scena irreale. Guardo tutto sempre correndo senza fermarmi, con dolore rivivo la sera del mio matrimonio e mi rivedo dentro l’albergo nella stanza dove io e Claudio trascorremmo la prima notte di nozze.
Torno subito alla realtà.
Senza rallentare, arriviamo trafelati al ponte “attenti ragazzi” urlo, “corri corri Franco” lo precedo tanta è la paura. Mi sembra che correre davanti a lui possa proteggerlo!
Il ponte è tutto spaccato, rotto, non so se si può attraversare! A metà ponte continuo a gridare “Presto, presto, qui è pericolosissimo potrebbe crollare”. Arrivare dall’altra parte è un’impresa che mi spossa. La paura e la tensione lo fa sembrare ancora più lungo!
Siamo dall’altra parte.
La situazione è desolante! Palazzi spaccati, tetti crollati, gente che si dispera e piange. Ci imbattiamo in un gruppo di persone tutte infreddolite, spaventate e tremanti. Scambiamo qualche parola in maniera concitata e corriamo verso casa di Anita. Viale Niccolò Persichetti è completamente al buio, i grandi palazzi sono tutti lesionati, rotti, anche qui solo desolazione. Tutti tremano dal freddo. Franco fa uscire Claudio e Anita dallo studio e  ci mettiamo insieme a tante altre persone allo slargo che si crea all’incrocio con via XX Settembre.
“E’ crollata la casa dello studente” urlo di nuovo.
Si vede l’interno delle stanze, si odono pianti, grida soffocate. Iniziano ad arrivare i soccorsi, iniziano a sentirsi le sirene delle ambulanze, i fotografi. Vediamo tirare fuori ragazzi feriti, una realtà che mi strazia il cuore e mi rende impotente. La tensione è fortissima, anche la commozione, non ce la faccio è veramente troppo da sopportare, vite e famiglie distrutte per sempre!
Dal terrazzo della casa di Anita,  quando abitavo in casa Cagnoli, vedevo la Casa dello studente e tantissimi ragazzi e ragazze alternarsi in quella casa! La sera le loro stanze erano sempre illuminate fino a tarda notte, a volte fino alle prime luci dell’alba!
In alcune finestre non c’erano le tende e potevo osservare la vita che si svolgeva all’interno. Vite dinamiche, serate con amici, serate di baldoria e giornate di studio intenso in piena solitudine. Non ne conoscevo nessuno personalmente ma conoscevo i loro ritmi, le loro abitudini e la loro gioia di vivere, quella di quando si è giovani, lontano dalle famiglie quando tutto è permesso, percepivo la gioia della condivisione della libertà ritrovata.
E poi l’ora della mensa e il chiasso, il vociare.
A volte il mio sguardo si incrociava con quello di un ragazzo o ragazza che era nella stanza e percepivo che anche loro conoscevano le mie abitudini.
C’è Stefania che mi grida “Bruna Dante è morto!”. Cerco di farle coraggio, le dico che sicuramente si sta sbagliando che non le risponde a telefono perché le linee sono interrotte, ma di fronte abbiamo tutta la parte di casa dove abita crollata! Sembra bombardata! Sarà riuscito a scappare oppure è stato travolto dal crollo? Non riusciamo a capire nulla. Dico a Stefania che forse Dante è scappato e non ha il telefonino. Ma lei ha un brutto presentimento e tutte le mie rassicurazioni non calmano la sua angoscia che diventa sempre più grande man mano che passa il tempo e non lo vede arrivare! I Vigili del Fuoco iniziano a controllare, a scavare le macerie, tutti siamo in apprensione! Tirano fuori delle persone, dei giovani, non sappiamo se sono feriti o morti e ci disperiamo, ci commuoviamo! Verso le cinque del mattino arriva Roberto Gasbarri che ci invita ad andare nella sua casa di legno a Sassa. Decido di rimanere lì, l’angoscia per le mie nipotine mi rende impotente, voglio cercare di mettermi in contatto con loro a tutti i costi.
L’alba è vicina, le luci rendono lo scenario spettrale! C’è un’atmosfera fredda, impregnata di desolazione, tutto sembra fermo, immobile, i crolli delle case e dei palazzi mi inducono ad andare avanti, a cercare con la mente Greta, Angelica e Vittoria.
Vago, penso a loro e ai miei fratelli e sorelle dei quali non so ancora nulla. Mi incammino verso via XX Settembre, passo davanti ai negozi con le saracinesche abbassate e le pareti tutte spaccate. Ecco la casa di Annarita.
“Bruna, siete invitati a cena per il ventisei dicembre a casa dei miei genitori. Seguirà una tombolata con i premi della casa!” Era Paola Bellisari al telefono a invitarmi.
Ci eravamo conosciute da poco su un set cinematografico dove dovevamo  interpretare delle dame ottocentesche con bellissimi costumi  d’epoca per il film  “D’Annunzio”, la regia di Sergio Nasca interpretato da Robert Powell, Stefania Sandrelli e altri attori bravissimi.
Un film sulla figura giovanile di Gabriele D’Annunzio e la sua relazione con Elvira Fraternali Leoni, detta Barbara.
Molte scene girate nei bellissimi palazzi Aquilani con l’arredo ottocentesco.
Da allora gli inviti a cena erano frequenti, eravamo diventate amiche.
Ogni volta rimanevo stupita dalla cura con la quale Paola, Annarita e i genitori ricevevano gli ospiti, sempre attenti ad ogni particolare,
un’ ospitalità davvero straordinaria.
Mi commuovo! Provo malinconia e dolore!
La strada è completamente deserta, sono sola.
Mi chiedo dove siano, se stanno bene,  lo scenario è tristissimo, la polvere avvolge le case e sembra non volerle lasciare, il chiarore dell’alba crea un grigiore di morte e desolazione.  Arrivo all’incrocio.
al Grande Albergo incontro Francesco Carli, lo saluto con affetto, gli dico che sono preoccupata per le mie nipotine e lui con le lacrime agli occhi mi dice “io ho perso una sorella,  Annamaria”, lo guardo annientata, la realtà inizia a manifestarsi nella sua crudeltà più terribile, la morte degli affetti più cari, dove il mostro lascia la sua traccia più forte e terribile.
Saluto Francesco. Sono commossa, scioccata dalla notizia.
A piazza Duomo ci sono molte persone, parlo con alcune di loro. Incontro di nuovo Daniela, mi dice che Gianni Properzi  è rimasto intrappolato in casa ed è sceso dalla finestra calandosi con un lenzuolo. L’immagine della bellissima chiesa delle Anime Sante completamente sventrata mi costringe a sedermi e fermarmi, Dio mio che disastro! Sono stanca, tutte queste emozioni mi indeboliscono mentalmente e fisicamente. Credo di aver bisogno di aiuto, sto male, non ce la faccio, mi sento svenire. Mi faccio forza, attraverso il corso cercando di passare al centro per evitare i crolli e le pietre che lo hanno invaso. Il centro città è completamente disastrato, noto pareti completamente sventrate, cornicioni venuti giù. Penso a mio figlio che tornava sempre a casa a piedi la sera e al pericolo corso.
Alzo gli occhi verso il palazzo dove vivono Giansaverio e Annarita Cappa, mi chiedo dove siano, se stanno bene. Arrivo alla fine del corso grande e devo stare attenta, l’angolo ha il cornicione del palazzo completamente rotto alcuni pezzi molto grandi sono già a terra!
Arrivo a Piazza Palazzo passando su un cumulo di macerie lungo tutta la strada.
C’è Eva, Giulia, ci salutiamo, tutte abbiamo gli occhi lucidi. Più giù incontro Paola e Carlo, ci abbracciamo, la loro bellissima casa non ha più il tetto, è crollato. Carlo è ferito ai polsi, sanguina, è stato graffiato dal suo cane, impaurito, nel tentativo di salvarlo.
Penso alle tantissime volte che ho accompagnato la mia amica Paola a Roma per scegliere con cura e attenzione tutto ciò che serviva  per l’arredo del suo appartamento in uno dei palazzi più grandi e belli  della città, ai consigli scambiati con lei per il timore di sbagliare nelle scelte. Conoscevo tutto nei dettagli, la bellezza della casa, i mobili, quasi tutti di famiglia, gli oggetti, i tessuti, mi torna alla niente l’impegno costante di Paola durante la ristrutturazione! Il piacere di essere invitata costantemente insieme a tanti amici, la gentilezza e la generosità dei padroni di casa. Il privilegio di essere affacciati dalle finestre che davano su piazza Palazzo durante l’apertura della Perdonanza Celestiniana, guardare dall’alto l’arrivo della fiaccola partita dall’Eremo del Morrone  portata dal tedoforo e l’accensione del Tripode posto sulla torre civica di Palazzo Margherita.
Il mostro avvolge tutto nella distruzione! Paola mi dice che andrà da Franca a Santa Maria.
Incontro Nicola, un amico al quale chiedo se mi fa telefonare a Paganica per cercare di contattare i miei cari ma nulla, non ci riusciamo. “Nicola ti prego, accompagnami a casa, devo riprendere il mio cellulare per sapere cosa è successo alle mie nipotine!”, “si andiamo di corsa, ma stiamo attenti è molto pericoloso” mi risponde. Corriamo come pazzi cercando di non inciampare alle pietre gigantesche che sono sul percorso saliamo su via Accursio arriviamo a piazza Santa Maria Paganica e lo scenario che vediamo è da brividi. La Chiesa è completamente sventrata, crollata, il tetto non c’è più sembra bombardata! Li, seduta ai bordi della fontana c’è Emanuelita come uno zombi, l’abbraccio, non sa cosa dire, non sa cosa fare, è scioccata e mi preoccupo per lei, per fortuna c’è Giorgio. Li saluto e continuo insieme a Nicola la corsa verso casa passando per via Garibaldi. Quasi tutte le case hanno i tetti e i cornicioni crollati, la strada non è percorribile, sentiamo ancora la terra tremare diverse volte e siamo veramente in pericolo. Attraversiamo la strettissima via delle Streghe di tutta fretta e finalmente a via Rustici apro la porta di casa con la mano che trema, dico a Nicola di far squillare il mio cellulare. Salgo velocemente in camera a prendere il mio computer portatile, un paio di scarpe e i pantaloni per Franco.
La casa ha tutti i mobili rotti, gli armadi aperti hanno fatto riversare sul pavimento piatti vestiti e tutto ciò che contenevano all’interno, vetri rotti, pareti spaccate ma non ho tempo per guardare tutto, Nicola mi urla che ha recuperato il telefono di scendere di corsa perché non c’è più tempo.
 
Scappiamo e andiamo all’angolo della chiesa di San Silvestro dove ho la mia macchina.
Siamo al sicuro! Saluto Nicola, che amico, non dimenticherò mai il suo gesto di generosità! Gli sarò sempre grata. Scorro velocemente le chiamate sul mio cellulare con grande ansia e leggo il messaggio "Siamo a Paganica al campo sportivo, stiamo tutti bene, ti aspettiamo”.
Piango.
Sono sfinita ma finalmente l’ansia che dalle tre e trentadue mi accompagna si placa.
Vado a Paganica, il mio unico pensiero e di abbracciare tutti e stringerli forte a me!
Finalmente vedo le mie amatissime nipotine, sono in macchina insieme ai genitori, le abbraccio commossa, piangendo, le stringo forte, non mi stanco di baciarle e sentire le loro vocine che ripetono in continuazione sempre le stesse cose, all’infinito.
Greta la più grande ha otto anni mi racconta tutta concitata “zia, abbiamo sentito il terremoto, mamma ha abbracciato me,  papà Angelica e Vittoria, siamo scappati ma quando siamo usciti il cancello di casa non si apriva, per fortuna è arrivato Andrea, ci ha abbracciate e fatto scavalcare il cancello!”; Angelica cinque anni con la sua vocina tranquilla che la caratterizza “il terremoto zia, c’è il terremoto!  Zia Lovorca diceva oh Signore mio, questo non doveva succedere", continua a congiungere le manine e ripetere “questo non doveva succedere”;  Vittoria la più piccola, di soli due anni, mi guarda con i suoi bellissimi occhi azzurri impauriti, preoccupati, sembra non voglia dire nulla e invece senza staccare gli occhi dai miei dice in continuazione "moto, moto". Bruna Bontempo