domenica 8 settembre 2019

Una Pesarese alla 57esima Esposizione Internazionale d’Arte della “Biennale di Venezia” 2017. di Giuliano Nardelli

Lilian Rita Callegari, di origine italo-venezuelana, nata a Caracas da genitori italiani, ma residente a Pesaro, ha esposto alla 57a Esposizione Internazionale d’Arte alla Biennale di Venezia, curata da Christine Macel e organizzata dalla Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta dal titolo VIVA ARTE VIVA.
Presso il Palazzo delle Esposizioni ai Giardini, ci riferisce in un suo articolo pubblicato su “Il Resto del Carlino” il famoso critico e storico dell’arte Floriano De Santi, (curatore di mostre nazionali e internazionali per l’artista), Callegari ha esposto dapprima nel Padiglione della Spagna e poi in quello del Venezuelanella mostra iniziata il 13 maggio e conclusasi il 26 novembre scorso, con il dittico dal titolo “Lettera Scarlatta”.
La Mostra è stata affiancata da 86 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Sono stati tre i paesi presenti per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria.
“Una Mostra ispirata all’umanesimo – sottolinea Christine Macel – un umanesimo nel quale l’atto artistico è a un tempo atto di resistenza, di liberazione e di generosità”.
L’artista Callegari ci narra: “La mia opera dal titolo Lettera Scarlatta è solo un vezzo, ma è comunque riferibile ad una sorta di denuncia che ogni artista può fare solo attraverso il proprio mezzo. Nel mio è la pittura o la scultura o qualsiasi altra forma creativa, per dire al mondo che la natura deve essere salvata, perché la natura è vita. Andando in Sudamerica dai popoli autoctoni possiamo scoprire come sia alto il rispetto verso l’acqua, il fuoco, l’aria e la terra: perché sono fonti di vita. Non a caso la Biennale è intitolata Viva Arte Viva e quindi anche per questa motivazione la mia esperienza mi ha portato ad amare sempre di più i quattro elementi della natura”.
Lilian Callegari
Ma chi è questa pittrice?
Sin da piccola viene introdotta all’uso del colore in quanto il nonno, il padre e lo zio erano specialisti in arte grafica e pubblicitaria di grandi dimensioni, affisse ai grattacieli di Caracas. Arriva in Italia e a 11 anni si stabilisce a Roma, con i genitori, vicino a uno zio architetto e pittore che abitava poco distante da via Ripetta 67, (adiacente l’Accademia di Belle Arti) e dove si trovava la bizzarra libreria “Al Ferro di Cavallo”, che esibiva con spigliato brio le avanguardie letterarie e artistiche. Conobbe così già in età adolescenziale poeti e scrittori quali Ungaretti, Sinisgalli, Pound, Pasolini ma anche artisti visivi come Burri, Afro, Schifano, Festa, Mastroianni e Rotella che frequentavano lo studio romano dello zio, vedendoli usare spatole e pennelli.
Facendo frequentemente spola con il Venezuela fino all’eta di 25 anni circa, esordisce come conduttrice di “Radio Nueva Esparta” a Isla de Margarita, con un programma personale, avendo modo di conoscere artisti, politici, cantanti, top model, personaggi di spicco e altri a sfondo sociale-collettivo, che a lei interessava maggiormente in quanto anche scrittrice di periodici e riviste. In seguito si laurea in Lingue e Letterature Moderne e Contemporanee all’Università di Urbino, studia scienze grafologiche, consegue le lauree in Pittura e in Scenografia all’Accademia delle Belle Arti e insegna Arte della Moda e del Costume all’I.S.A. Ferruccio Mengaroni di Pesaro.
Di natura versatile e poliedrica, si dedica alla pittura e alle molteplici forme espressive che spaziano dal costume, alla scenografia teatrale, alla ceramica, all’incisione, all’oreficeria e alla scultura. Dal 1970 al 1980 espone in varie città del mondo tra cui Caracas (dove frequenta gli studi dei famosi artisti spagnoli Pedro de Loyzaga e Osvaldo Vigas), New York, Los Angeles, Ginevra, Berna, Seul, Lyon, Parigi, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Toronto, Bogotà e Madrid. Nel 1992 la sua prima Antologica italiana intitolata “Le Mappe, le Icone, gli Itinerari”, a Palazzo Lazzarini di Pesaro, e nel 2008 è presente con due tele (accanto a maestri come Appel, Chagall, De Chirico, Dalì, Lam, Marini, Mastroianni e Matta) alla rassegna “La Fable du Monde” nel Museo Fondazione Matalon di Milano. All’artista, chiamata “La pintora de los caballos” (la pittrice dei cavalli), viene tra l’altro commissionato dall’Ippodromo di Caracas un dipinto raffigurante una corsa con fantini da 6 metri x 2, dove si notano muscoli, postura e movenze di cavalli, così forti e nobili. Tra l’altro il padre, artista e creativo, è stato proprietario del famoso campione di galoppo Ribot.

Lettera Scarlatta (dittico), Tecnica mista su tela
Lettera Scarlatta (dittico), Tecnica mista su tela
La sua pittura è complessa, profonda ed equilibrata dove si intravedono due poetiche, la prima con la riscoperta della cultura precolombiana e l’altra, assai aggiornata sul piano pittorico, dell’astrazione kandinskyana. E’ una artista che dipinge con estrema sensibilità e competente qualità pittorica: i suoi colori contemplano una varietà e una vastità di cromie che variano dal viola all’azzurro, dal blu di Prussia al verde smeraldo, dalla terra di Siena al rosso fuoco rivelandosi come una pittura spirituale, quasi come una melodia musicale dolce e malinconica. Si avvicina a quella astrazione lirica e della pittura informale di Mathieu, dove l’astrattismo prevale con le sue forme, linee e colori sulla rappresentazione della realtà; modelli molto spesso epici e narrativi e con un coinvolgimento totale del corpo. Inoltre quelle tinte accese e quei contrasti discordanti, ci portano alla voce simbolista di Bonnard, dove ricerche esoteriche l’allontanano progressivamente dal realismo e dal naturalismo impressionista avvicinandola ad una pittura simbolista. Per la sua pittura paesistica e impressionista preferisce quella della pittrice francese Pauline Morisot, mentre il fluire dell’acqua tersa la ritroviamo come allo stato liquido di Boudin, così anche in Balke, pittore norvegese romantico con le sue sperimentazioni coloristiche e nordiche, per concludersi all’astrazionismo più estremo dell’ultimo Monet.
Tuttavia nei suoi tratti distintivi ed espressivi non perde mai la felicità inaspettata della pennellata, soprattutto quando le forme della natura scure e torbide, mantengono un fascino arcano e per nulla tenebroso. La sua pittura è un urlo munchiano di colore, quasi fosse una liberazione di un pensiero che si sforza a restare imprigionato nella sfera limitata dell’uomo, ma dove alla fine viene ad essere affrancato da una liberazione, ed il suo astrattismo lirico si permea con la natura. La sua esperienza artistica si snoda attraverso vari passaggi che si inoltrano dalla pittura, inizialmente figurativa e dal vero, sia dei paesaggi che dalla natura, anche morta o dei ritratti. Poi mano a mano si è trasformata facendo un’astrazione piena di segni, e indirettamente ha assorbito, a livello onirico, certe lezioni di Chagall, ma anche il tocco molto incisivo di Tobey che quasi va nell’astratto, negli elementi della natura o la natura medesima.
Per il futuro si prefigge di rivisitare l’astrazione con dei nuovi colori e dei nuovi materiali e realizzare un sodalizio tra pittura e scultura, creando uno sviluppo che si converte con l’uso di materiali impiegati in modo diverso, e muovendosi su nuovi lidi forse più onirici o forse più razionali.

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