POESIA ADULTI A TEMA
LIBERO
PREMIO ECCELLENZA
LE PIETRE NON PIANGONO –
ANTONELLA GIORDANO
LE
PIETRE NON PIANGONO (*)
Le
pietre non piangono
trafitte
nel profondo,
spenta
è la voce
del
giusto
dispersa
dall’urlo
di
Caino.
Sete
di giustizia
nell’animo
di chi
vorrebbe
cancellare
le
vergogne del mondo.
Non
scavate pietre
e
tumuli di morte
che
riempiono il niente.
Gli
alibi incoerenti della Storia,
seminatori
di odio e violenza,
tremano
all’annuncio
che
la voce del giusto
non
è morta.
*A
mio padre, vittima del dovere
CHI SEI – MARCO AMBROSI
CHI SEI
Dolce
presenza terrena
che
di purezza vesti la nuova luce,
memoria
d'inganni
mancati assorbiti dal tempo.
Lontana
è la figura errante
che
più non teme le proprie scelte,
peccati
che
sorbirono in fretta
la
primitiva sostanza
impartita
come legge e naturale forza.
Tenero
è il mestiere
di
cacciatore di anime nuove
custode
del lavoro
di
quell'Angelo armato di frecce.
Membro
graduato oppure vittima
nell'esercito
del peccato,
in
un sentimento eterno
più
prossimo al vero,
insaponato
dalla voce
che
la pelle riconosce
come
tenero amore.
Tu
vergine raggio lucente
ricca
di capoversi e suoni,
gentile
nel cuore
morbida
nel verbo
stampi
brividi come perle,
negli
attimi di vita
segnati
da rugosa solitudine,
ormai
prossima alla parola fine
nel
traguardo raggiunto,
da
un ardita parentesi
in
questo secondo tempo.
IL CIELO È BASSO – NUNZIO BUONO
IL CIELO È BASSO
Così
l'autunno.
L'ombra
dissolta dai rami
lascia
spazio al sole basso delle case.
Le
voci dell'estate sui gerani sfumano nel grigio.
La
nebbia tutto veste nel chiaro della sera.
Una
donna chiama un raggio di luce tra le persiane.
La
notte ha spento il giorno sulle ultime foglie.
Mi
spoglio
al
silenzio della tua voce.
Il
cielo è basso al mare.
Dove
sono andate le poesie
quelle,
che si scrivevano col sostantivo e il verbo
e
la consonante tra le vocali.
Ora,
che l'apostrofo dell'amore conta altre sillabe
e
le nostre sono voci lontane.
PODIO
1. . . E
MI MANCHI – ENRICO DEL GAUDIO
. . . E MI MANCHI
E
sono qui
tra
queste mura erose dal silenzio,
scrostate
dalla polvere del tempo,
tra
scrigni di ricordi mai sopiti
scanditi
sul mercurio arrugginito
dove
lancette d’orologio a pendolo
non
segnano le ore, né la vita
vittime
dell’incuria e il gelo dentro.
Lo
stesso che mi regna dentro il cuore
quando
mi aggiro tra la triste casa.
Ancora
s’ode, oh madre, la tua voce
in
queste stanze senza più calore.
Mi
metto alla ricerca del tuo viso,
ascolto
il ticchettio dei passi tuoi,
un
soffice strusciare di pantofole
mi
cigola alle orecchie, si fa verbo:
“Vieni
figliolo, è pronto il tuo caffe”.
Par
di vederti, oh madre mia dolcissima.
Affiora
tra le pieghe di una ruga
la
tua rassegnazione conciliante
alla
sconfitta eterna della vita,
al
fatuo destino che fu avaro
con
te, oh madre, unico mio bene.
Ti
scorgo alla finestra mentre cuci
in
una piega d’un tramonto opaco,
nell’esile
barlume di candela
per
risparmiare un poco d’energia
quando
non c’era luce a sufficienza.
Tra
i pianti tuoi celati e i tuoi silenzi
che
come tuono balzano nel petto,
o
come quando, attenta a preparare
il
desinare del frugale pasto
del
mezzodì, facevi sacrifici
per
mettere alla tavola quel poco
che
permetteva a un figlio di sfamarsi.
Ti
prego, squarcia , oh cielo questo cuore
e
portalo con te, là, tra le nuvole,
prendi
tutto l’amore che c’è dentro
e
recalo da lei, da mamma mia,
digli
che questo figlio sempre l’ama
e
che il suo ricordo mai morrà.
2. QUELLA
NOTTE – ANNA MARIA DEODATO
QUELLA NOTTE
Non
ti vedevo, ma eri lì con me,
la
tua luce mi sfiorava
quando
all’urlo di madre
rispose
il silenzio.
Sentivo
il tuo sospiro
quando
gli inflissero le piaghe,
senza
clemenza spezzarono il suo cuore.
Non
ti vedevo, ma eri lì con me
a
soffrire l’assenza
e
raccogliere il lamento
in
quella notte di luna
che
mi rubava il sole.
Eri
la voce, l’unica che confortava
quando
il dolore era una finestra
spalancata
verso il nulla,
un’angoscia
che pervade,
un
aspro deliquio che annienta
e
spegne il verbo.
Non
ti vedevo, ma eri lì con me,
mi
sei venuto accanto
quando
udii il suo pianto
e
la sua voce spezzata
era
il belato di agnello senza madre.
Ti
ho sentito, sai,
quando
il mio cuore materno cedeva
e
il mondo si allontanava.
Eri
vicino a me, unito in preghiera
di
madre senza più il suo seme,
svuotata
di abbracci, stordita
con
occhi dispersi all’orizzonte.
Mi
hai trovata, sperduta tra quei volti,
tanti,
distanti, assenti,
che
allentavano la presa della mano
sull’orlo
dell’abisso,
quella
notte.
A tutte quelle madri che devono
sopravvivere alla morte dei propri figli…
3. DIECI SIEVERT (walking ghost) FUKUSHIMA 2011 – MARCO MARRA
DIECI SIEVERT
(walking ghost)
Fukushima 2011
Sprigiona
calde esalazioni malate
questa
desolata terra di cobalto.
Ancora
un passo, poi mi accascio al suolo
e
ascolto il rantolo del mio respiro
sempre
più incerto e stanco;
uno
spasmo.
Avverto
il collo gonfiarsi, le vene dilatarsi,
mentre
un rivolo di sangue acre e ferroso
scorre
lento e inesorabile sul mio viso;
è
un attimo eterno:
il
dolore mi stravolge gli occhi, spietato,
affinché
io veda meglio
ciò
che è rimasto di questa zona morta.
Ma
posso sentirlo, vivido,
il
mio anelito d’amore per te! Terra mia!
Avverto
il gelo pungente della tua acqua tersa,
l’umidore
immacolato delle tue praterie…
Gabbiani.
Volano
fieri, riempiendo il cielo
con
suadenti alchimie di stridii e battiti d’ali;
una
pioggia di vessilli copre il mio viso.
Si
rivela fatale
per
me che ne conobbi il candore
in
meravigliose epoche inviolate;
nella
tranquillità innaturale
sento
la mia presenza farsi assenza.
Ancora
un respiro, poi chiudo gli occhi…
E
non mi importa che sia per sempre.
Ex aequo
3. L’OLTRE
ALL’ORIZZONTE – DOROTEA MATRANGA
L’OLTRE ALL’ORIZZONTE
Se
mi volto indietro.
Se
chiudo gli occhi
dei
narcisi avverto la presenza,
della
verità sento il profumo.
La
mente vede il colore,
nella
bellezza del sogno il respiro
del
genuino sapore.
Se
apro gli occhi, il sogno svanisce.
Scorgo
solo rovi intorno.
Svettano
le spine tra ciuffi di giunchiglie
sul
margine del greto.
Finge
la verzura
apparente
primavera.
Il
dolore genera pietre inerti.
Del
giorno antico
ferita
mai guarita.
Sempre
giovane amarezza.
Il
fiore della vita cerca
una
via d’uscita dall’inganno.
Fiacco
scheletro sopravvive al tempo,
alle
intemperie, agli avversi numi
Ricordo
mai sopito.
Non
resta che guardare
L’Oltre
all’Orizzonte.
MENZIONE D’ONORE
IL VENTO DELLA VITA – CESARE NATALE
IL VENTO DELLA VITA
Soffia
il vento fra i rami della vita
accarezzando
le voci, i volti, le anime.
Boccioli
…che solo l’amore sa generare…
diventeranno
foglie di un albero senza tempo
che
come figlie, un giorno, abbandoneranno il nido per lasciare
impronte
indelebili… che solo i ricordi sapranno ritrovare.
Volti
in bianco e nero ,scolpiti su fotografie che il tempo
non
potrà cambiare, diventeranno il viale da ripercorrere
quando
la nostalgia ti farà voltare per guardare il tuo passato.
Ci
saranno lacrime sulle quali navigherai affidandoti al vento…
a
volte, l’orizzonte ti sembrerà così lontano da farti tremare,
ma
mai ci sarà una tempesta cosi forte
che
potrà sciogliere il nostro abbraccio.
Soffia
il vento fra i rami della vita,
a
volte così forte da farti perdere i
ricordi,
buchi
neri sui quali cerchi di arrampicarti per non scivolare,
per
non perdere te stesso dal riflesso
di
uno specchio sempre più lontano.
Le
fotografie che il tempo scatterà,
saranno
quel viale dove potrai camminare
per
risentire i profumi di giorni conservati nella tua anima,
momenti
custoditi nel cuore che niente potrà cancellare.
L’amicizia,
i sorrisi, un abbraccio… saranno gli scogli
che
ti proteggeranno da quelle onde
che invano cercheranno di portarti via.
L’amore…
sarà il faro che non ti farà mai
annegare in un mare di solitudine.
L’UOMO CON I GIRASOLI NEGLI OCCHI – OFELIA CIMMINO
L’UOMO CON I GIRASOLI NEGLI OCCHI
Strappai
dai tuoi occhi
la
malinconia,
e
ci seminai campi di girasoli,
i
verdi chiaroscuri ed i bellissimi cipressi
che
tanto ami,
semplici,
onesti e retti
come
il tuo capo orgoglioso.
E
come ogni alba diventa
tramonto,
ogni
girasole sorride e poi muore,
ma
io, mille volte ti amerò
e
ti amerò ancora
col
più semplice e radioso stupore.
LA MIA PREGHIERA (Oltre l’orizzonte) – DONATELLA PIRAS
LA MIA PREGHIERA
(Oltre l’orizzonte)
Ero
una foglia rossa, caddi a settembre
sotto
il cedro del Libano fluttuavo
mio
figlio suonava il pianoforte
forse
era lui, o forse era la morte
che
invano, mi cercava in fondo al parco.
Ella
frugava, voleva la mia mano
quando
alle sette il gallo ormai taceva
non
ero già più lì, ma assai lontano.
(dispettosa
rido, dietro il tronco del cedro del Libano)
Sono
salita dove la musica è silenzio
Luce
non luce mi illumina da dentro
Inediti
profumi, come incenso…
Sono
onniscienza son l’Uno, son l’Universo
Che
fate voi, piangete? Non dovete!
Non
dovete…
Se
solo vedeste quel che vedo io
se
solo provaste l’abbraccio di Dio
non
più sareste salici piangenti.
Lasciate
che io torni a riposare
che
prima vado, prima potrò tornare.
Non
più lacrime, cadutomi è il fardello
Ma
qualcuno ora, chiuda queste imposte
che
cigola di vento, il mio cancello
PETALI PER VOI – UMBERTO CORO
PETALI PER VOI
Ho
con me stasera
una
margherita
e
prima che sia appassita
la
voglio sfogliare
Un
petalo a mia madre
che
mi ha saputo allevare,
ma
soprattutto perché
mi
ha dato una vita da guardare.
Questo
grosso lo do a te Papà
perché
rassomiglia tanto
alle
gocce di sudore che hai fatto per me.
Un
petalo a te amore
non
so dirti altre parole
più
che questa, Amore.
Un
petalo a voi
che
siete i miei migliori amici.
Uno
lo vorrei dare anche a te nemico
perché
tu possa diventare
Il
mio migliore amico.
Un
petalo agli animali
perché
alle volte sono loro gli umani.
Il
petalo più bianco ai morti
perché
dormano sempre puri e senza rimorsi.
L’ultimo
lo lascio nel mio libro
affinché
io mi ricordi
di
questa Margherita che vi ho spartito
PICCOLE ALI – CARMELA LARATTA
PICCOLE ALI.
Piccole
ali provvisorie, questi occhi,
fruganti
in territori già vissuti
per
scoprire segreti d’ immortalità.
Pianeti
da scoprire, impotenti,
(nessuno
ne conosce il nome),
da
quest’isola in sordina che sta, e sosta,
senza
scampo, come rose ammassate ai piedi
che
lasciano il ramo
-le
guardiamo diventare colore
dopo
tanta placida attesa.-
Perché
rannicchiarsi ai cantucci di anni
che
contano quanti passi
sverna
il vento?
Che
senso ha studiare la parte
in
città di lupi che saltano il sole,
ingrandendo
tane, trionfi, piumaggi?
Desideri
di vittorie scriverebbe questa vita,
se
potesse parlare:
sul
tempo, l’infanzia di vetro, e la vecchiaia,
e
poi sonagli, foto di famiglia,
registri
incompleti, panni sporchi,
farfalle
bianche, macerie, ricordi da puntellare
(e
le bocche arse
a bagnarsi d’amore mai conosciuto).
Inutile
urlare: svegliarsi dal sogno non fa più rumore
di
una goccia che annega
in
un vaso già pieno.
Eppure,
vorrei dirti che, per un attimo,
qualcuno
ha profumato il mio buio,
musicandomi
raffiche
come
respiro da innestare.
Eppure,
vorrei dirti che, per un attimo
qualcuno
mi ha scaldato una carezza
nel
crepuscolo, all’improvviso,
e
mi ha sentito suonare come sapevo,
come
potevo…
Non
si conosce mai la partitura completa
prima
dell’applauso finale.
La
nota è qui. Adesso.
Appesa
a questo bianco…
QUANTO DI PIU’ CARO – COSETTA TAVERNITI
QUANTO DI PIU’ CARO
Non
cambierei me stessa
con
null’altro al mondo,
se
non col mio cuore
che
batte desideroso
di
rincorrer le emozioni.
Se
non con i miei occhi,
assetati
di albe nuove e primavere,
aperti
sull’imponderabile futuro,
e
pur spenti al sangue e alla violenza.
Non
cambierei me stessa
se
non con le mie mani
aperte
e affaccendate su fogli sparsi
a
catturare parole per nuovi versi,
a
rammendare, col filo dell’istante,
il
fine macramè di ieri alla tela del futuro,
per
non sminuire le vestigia della storia.
Passi
leggeri mi guidano
a
ripercorrere il sentiero dei ricordi,
ridipingendo
l’incanto delle calde stagioni,
tra
le mani i frutti di quei semi
ch’ella
m’ha guidato a sotterrare,
e
mi ritrovo paga nell’oggi
con
quanto di più caro
mia
madre m’ha donato.
SENZA NESSUNA FINE – ANDREA TALIGNANI
SENZA NESSUNA FINE
Io e te cosa siamo diventati,
eravamo cenere nera, sparsa fra la strada
da cui siamo risorti come una Fenice
per rifiorire nel nostro mondo di colori.
Siamo l'acqua ed il fuoco nella tempesta
estiva
ci accendiamo e spegniamo ogni momento
togliendoci il respiro ma...scatenando umori
che solo al nostro sguardo possiamo comprendere.
Ogni parola ha il possesso del sapore di te
ed io...beh io lo sento dentro di me,
sento crescere forte questo intenso suono
che mi ha rapito, accrescendo maggiormente
all'infinito.
Siamo l'aurora nel suo glaciale splendore,
scioglie e illumina d'argento le nostre anime,
tu lo sai, te lo voglio dire: noi staremo
sempre assieme
quest'aria...ma specialmente questa vita ci
appartiene.
Acquisteremo il tempo, nello scorrere di ogni
singolo secondo,
ribalteremo le lancette, per guardarci ancora
una volta
io e te, fissi negli occhi a dedicarsi
tutto quello scorrere che ora ci appartiene.
Sussurrami....sussurrami quello che vorresti
sentirti dire urlando,
tu hai sciolto i nodi che legavano la mia
anima,
senza nessuna fine voleremo nel cielo
e dal nostro alto, veramente urleremo.
SOGNI
PROIBITI – GIULIA PALAMA’
Sogni proibiti
Io nacqui
nella terra del Sole,
ove Regina
s'ammanta di rosa,
l'Aurora.
Questa terra
vestita d'argento,
lambita dal mare
che l'azzurro
infrange le onde
e le vele
si lasciano baciare
dal vento.
Questa brezza
leggera
che t'accarezza
e un brivido dolce
ti dona.
Questa terra
inondata dal sole
e l'Aurora ridesta
Giunone
che raccoglie le vesti
e si dona procace
e Bacco che brinda
alla vita.
Questa terra
di messi vestita,
di abbondanti raccolti
fa dono.
Oh terra del Sole
fammi cullare
dal mare
e Morfeo mi addormenti
in un letto di rose.
Oh magica terra
di luce
metafora della vita,
lasciami sognare
ancora!
ove Regina
s'ammanta di rosa,
l'Aurora.
Questa terra
vestita d'argento,
lambita dal mare
che l'azzurro
infrange le onde
e le vele
si lasciano baciare
dal vento.
Questa brezza
leggera
che t'accarezza
e un brivido dolce
ti dona.
Questa terra
inondata dal sole
e l'Aurora ridesta
Giunone
che raccoglie le vesti
e si dona procace
e Bacco che brinda
alla vita.
Questa terra
di messi vestita,
di abbondanti raccolti
fa dono.
Oh terra del Sole
fammi cullare
dal mare
e Morfeo mi addormenti
in un letto di rose.
Oh magica terra
di luce
metafora della vita,
lasciami sognare
ancora!
SOLO TESTIMONE – BRUNA CAROLI
SOLO TESTIMONE
Ama
l’uomo così com’è
ma
non toccarne l’anima.
Fiorir
lascialo
come
arbusto di macchia,
solitario,
se pur amato
non
colto, osservato…
ché
la pesante mano della passione
devia,
modifica, plasma e ricrea.
Se
vuoi goder
dell’autentico
profumo di ciò che è
limita
il tuo intervento,
sii
brezza rapida e leggera nel tocco,
sguardo
sfuggente
qual
sulle cose luna calante,
appen’udibile
mormorio
sensazione,
percezione
non
senso vivo, non tempesta
ma
goccia di rugiada.
Sii
sempre accorta, veloce e silente
a
piccoli sorsi
con
passi cauti e minuti.
Sfiorate
van le gioie,
da
lontano colto
il
profumo.
Ché
più d’appresso sei
e
più sommovi.
Non
interferir,
tu
soltanto sii…
testimone!
UN LIBRO – ALFONSO OTTOMANA
UN LIBRO
E’
notte fonda
un
vento gelido urla per le vie.
Poche
stelle in cielo
a
guardia di una speranza.
Un
bimbo perso nei propri sogni
sfoglia
un libro, scivola in quelle pagine
in
quei mari prima delle foreste,
cammina
per antichi sentieri
incontra
la vita.
E’
tardi ma il vecchio faro
lo
chiama e le navi dei pirati
in
rada festeggiano la luna.
Lettere
come lanterne
brillano
nella stanza,
proiettano
ombre danzanti
tutt’intorno.
Torno
spesso da quel bimbo
ai
suoi occhi vivi
lo
sento parlare con il silenzio
raccontargli
di me.
Così
prendo quel libro
un
po’ ingiallito dal tempo,
scanso
la polvere sul cuore
e
torno a leggere in sua compagnia.
VOGLIO LA PUGLIA – FRANCESCO EPICOCO
VOGLIO, VOGLIO, VOGLIO LA PUGLIA
Voglio
una Puglia libera dal male,
tutta
Murgia e litorale.
Voglio
città di bianco calcare
con
porte e finestre aperte sul mare.
Voglio
una terra rossa
piena
di masserie alla riscossa.
Dappertutto
voglio trulli
con
tanto di pizzica e vari trastulli.
Mi
voglio svegliare nel Salento
accarezzato
dalla brezza,dal sole e dal vento.
Voglio
mangiare orecchiette a volontà,
pesce
fritto e baccalà!
Pizza
e fichi che bontà
con
aria pura in libertà.
Per
ricordare il pane duro
voglio
passare dal tratturo.
Pescatori
e contadini
li
voglio tutti miei concittadini.
Voglio
vedere il mandorlo sempre in fiore
e
l'ulivo senza una lacrima di dolore.
Puglia
mìa,
che
nostalgìa!
Sei
stata il primo amore
sempre
ti porterò nel cuore.
Mai
più scorderò grotte, scogliere,
e
i campi di grano del Tavoliere.
POESIA ADULTI IN VERNACOLO A TEMA LIBERO
PREMIO SPECIALE FUORI CONCORSO
CAL DÒNI – QUELLE DONNE –
LORENZO SCARPONI
Cal dòni
La
è stàeda sèmpra acsè
Da
qvand ch’l’è e’ mònd
Alè
e zéti
Al
s’è ‘rvólti, dói, l’è ‘rvàt e’ feminìsmo ( in questa riga risata)
mo
agl’è ancòura dòulzi e tèndri; al dòni
mo
li n fa ‘na póiga
qvant
ch’l’è òura da difènd i su dirét
ch’u
j è, chi è ch’u i munta sòura
agl’à
de’ curag; al dòni
qvand
ch’al po’ capàe da stàe da parlòuv
fénd
ad màench d’uniòun finta
par
mantnòi e’ própi rispèt
agl’è
fórti; al dòni
qvant
ch’al crès i fiul da par lòuv
sénza
bà: che àenca si j è
dal
vólti l’è c’mè che si ni fós
qvant
ch’al supórta umigliaziòun e viulénzi
al
travérsa la tèra e’ màer
par
lasàe ‘na vóita ad tribulaziòun e miséria
invujàedi
da chi ch’u i dà dla càerna ad lódla
agl’è
fórti, agl’à de’ curag
agl’andarà
ancòura avàenti; a dunàe vóita
s’la
speràenza d’un mònd ch’e’ sia mèi ad qvèl ch’lè
ahah…
ad dòni…
u
i n’è òna ch’a la ò cnuséuda da póch
l’è
‘na gran dòna
a
n si sém ancòura zcòurs
mo
la m’à zà impataché la m’à rubé e’ cór
la
n’à ancòura vért j ócc
ch’a
i dégh: Giorgia… sono il nonno!
Quelle donne
È stata sempre cosi / da quando è il
mondo / lì e zitte / si sono ribellate, di, è arrivato il femminismo (detta con
risata) / ma sono ancora dolci e tenere; le donne / ma non fanno una piega /
quando è ora di difendere i loro diritti / che c’è chi è che li calpesta /
hanno del coraggio; le donne / quando possono scegliere di stare sole / facendo
a meno di un unione finta / per mantenere il proprio rispetto / sono forti, le
donne / quando crescono i figli da sole / senza babbo: che anche se ci sono / è
come se non ci fossero / quando sopportano umiliazioni e violenze /
attraversano la terra il mare / per lasciare una vita di tribolazioni e miseria
/ invogliate da chi da loro carne di allodola (false promesse) / sono forti,
hanno del coraggio / andranno ancora avanti; a donare vita / con la speranza di
un mondo che sia meglio di quello che è / ahah… le donne… / ce n’è una che l’ho
conosciuta da poco / è una gran donna / non ci siamo ancora parlati / ma mi ha
già preso il lume della ragione mi ha rubato il cuore / non ha ancora aperto
gli occhi / che le dico: Giorgia… sono il nonno!
PREMIO ECCELLENZA
GIGGINO – LUIGINO – VINCENZO
CERASUOLO
A GUAGLIONA PUVERELLA – LA
RAGAZZA POVERA – FAUSTO MARSEGLIA
’A GUAGLIONA PUVERELLA
(Testo
in vernacolo napoletano)
Fòr’â
chiesia d’’o Ggiesù Salvatore
ce
steva na guagliona accucciuliàta
ca
se truvava lla a tutte ll’ore
sempe
cu ’a faccia triste e scunzulata.
Passava
’o tiempo stennenno ’a manella
cu
na vesticciolla meza stracciata
speranno
d’avè quacche munetella…
ma
le devano a stiento na guardata.
Tutt’’a
gente ca le passava nnante
jeva
sempe ’e pressa e se scanzava
lassanno
chella mano vacante
ca
’a guagliona guardava e rinzerrava.
Se
magnava sulo tozzole ’e pane
avute
a chi non sapeva che farne
ca
spisso sparteva pure cu ’e cane,
senz’assapurà
maje nu poco ’e carne.
Pure
a vierno, ncuollo sulo na sciarpa,
c’accussì
nun puteva stà nisciuno,
teneva
’e piède scàuze senza scarpe
cu
tanta chiaje, ferite e gelune.
’A
faccia scavata, ll’uocchie ’nfussate,
’o
cuorpo ca pareva nu stecchino,
’a
capa ncopp’ê denòcchie calata,
se
truvava lla già a primma matina.
Nu
juorno s’accosta na signora
ca
piglia ’a mana stesa d’’a guagliona,
l’aiùta
a s’aizà ’a terra con amore
e
le dice: “’E stà cca nun è stagiona.
Lassa
stu posto ca è friddo e gelato.
Viene
cu me ca te truvarraje buono.”
E
s’’a purtaje scarfannola cu ’o sciato
mentre
facev’acqua, lampi e tuone.
Nisciuno
ha visto cchiù chella criatura.
Ma
ce sta chi l’ha ricunusciuta
dint’’o
quatro d’’a chiesia nfaccia ô muro
quanno
nziem’â Madonna se n’è ghiuta.
LA RAGAZZA POVERA
(Versione in italiano)
Fuori
la chiesa del Gesù Salvatore
ci
stava una ragazza rannicchiata
che
si trovava là a tutte le ore
sempre
con la faccia triste e malinconica.
Passava
il tempo stendendo la manina
con
un vestitino in parte strappato
sperando
di ricevere qualche monetina…
ma
le davano a stento un’occhiata.
Tutta
la gente che le passava davanti
andava
sempre di fretta e si scherniva
lasciando
quella mano vuota
che
la ragazza guardava e richiudeva.
Mangiava
solo residui di pane
ricevuti
da chi non sapeva cosa farne,
che
spesso divideva anche coi cani,
senza
conoscere il sapore della carne.
Anche
d’ inverno, addosso solo una sciarpa,
che
a quel modo nessuno poteva resistere,
teneva
i piedi scalzi senza scarpe
con
tante piaghe, ferite e geloni.
La
faccia scavata, gli occhi infossati,
il
corpo sembrava un piccolo stecco,
la
testa sulle ginocchia chinata,
si
ritrovava là già di buon mattino.
Un
giorno si avvicina una signora
che
prende la mano tesa della ragazza,
l’aiuta
ad alzarsi da terra con amore
e
le dice: “Di stare qui non è stagione.
Lascia
questo posto che è freddo e gelato.
Vieni
con me che ti troverai bene”.
E
se la portò riscaldandola col fiato
mentre
infuriavano pioggia, lampi e tuoni.
Nessuno
ha più visto quella creatura.
Ma
ci sta chi l’ha riconosciuta
nel
quadro della chiesa appeso al muro
quando
è andata via con la Madonna.
PODIO
1. PPE NNU SCORDE’ARI – PER NON DIMENTICARE – ANGELO CANINO
PPE NNU SCORDÈARI
Sbruffa
nnu trenu, càrricu e genti,
u
fumu è nnìvuru, e chilli carbuna,
va
ppe ssa strèata c’oramèai tena a menti,
va
ccu llu sudu, va ccu lla duna.
Si
sìantini grida, miscchèati ccu chjanti,
e
ùamini, fìmmini, pìcciudi e rranni,
strazijèati
d’animi, i cori affranti,
quanni
arrivèamu?, dduvi?, quanni?.
Doppi
dua jùarni u trenu rallenta,
nu
cancìallu s’apra e, trasutu si ferma,
“Arbeit
Macht Frei” c’è scrittu, ma menta,
chissu
è llu postu chi ppe sempri si dorma.
Spoglièati
e di mmrogli, e d’affetti privèati,
nu
nùmaru allu postu e du numu e ccugnumu,
cumi
i voji e lli vacchi, i vrazza timbrèati,
libertà
e speranza, jettèati a nnu jumu.
Munzìalli
e scarpi, e riroggi e occhjèadi,
intra
i càmmari a gas ammassati, aspettanni,
avanti
i barracchi, u sangu a ccanèadi,
cuntìanti
i surdèati, cantanni e ffischcanni.
Alli
pìadi zùaccudi e dignu ppe llu caminu,
senza
capilli alla cheapa, tutti carusèati,
ppe
ssa pòvara genti è ssignèatu u destinu,
mùarti
sfissijèati, mùarti ammazzati.
I
quatrèari e di pìadi pijèati e donnudijèati,
prima
e ammazzèari facìani a scommessa,
i
budàvani all’aria e benìani sparèati,
vincìa
chini sparèava cchiù mpressa.
Na
petra ppe ccoru e ugne ssurdèatu,
senza
pietà ppe bìacchji e gguagliuni,
un
ci nn’era d’unu, senza ssu pecchèatu,
u
diàvudu ncùarpu, ràggia e dejuni.
Chillu
ch’è ssuccessu, un si po cancellèari,
ssa
pàggina brutta, ppe ssempri rimèana,
ssa
brutta pàggina no cchiù è dde ritornèari,
razzi
e ccuduri diversi, pijàmini ppe lla mèana.
PER NON DIMENTICARE
Sbuffa
un treno carico di gente,
il
fumo è nero, di quei carboni,
va
per la strada che ormai tiene a mente
va
con il sole, va con la luna.
Si
odono grida mescolate con pianto,
di
uomini, donne, piccoli e grandi,
straziati
gli animi, i cuori affranti,
quando
arriviamo?, dove?, quando?.
Dopo
due giorni il treno rallenta,
un
cancello si apre, entrato si ferma,
“Arbeit
Macht Frei” c’è scritto, ma mente,
questo
è il posto che per sempre si dorme.
Spogliati
dei vestiti, degli affetti privati,
un
numero al posto del nome e cognome,
come
i buoi e le mucche, le braccia timbrate,
libertà
e speranza, buttati in un fiume.
Cumuli
di scarpe, di orologi e occhiali,
nelle
camere a gas ammassati, aspettando,
davanti
le baracche, il sangue a fiumi,
contenti
i soldati, cantando e fischiando.
Ai
piedi zoccoli di legno per il cammino,
senza
capelli in testa, tutti rasati,
per
questa povera gente è segnato il destino,
morti
asfissiati, morti ammazzati.
I
bimbi per i piedi presi, e dondolati,
prima
di uccidere facevano la scommessa,
li
lanciavano in aria e venivano sparati,
vinceva,
chi sparava per prima.
Una
pietra al posto del cuore di ogni soldato,
senza
pietà per vecchi e bambini,
non
c’è n’era uno senza peccato,
il
diavolo in corpo, rabbia di leone.
Quello
che è successo, non si può cancellare,
questa
pagina brutta, per sempre rimane,
questa
brutta pagina non più deve ritornare,
razze
e colori diversi, prendiamoci per mano.
2. NUN CE PENZA’ – NON CI PENSARE – ALFONSO GARGANO
NUN CE PENZÀ
L’ato
juorno nun me pareva overo,
Forse
è stata l’aria ‘e primmavera!
Ntramente
steve a ‘o barcone affacciato
Muglierema
è venuta e m’ha abbracciato
Po
m’ha pigliato stretta ‘a mano
E
m’ha purtato ncoppo ‘o divano.
C’aggio
ditto: ma nu tenimmo chiù l’età!
M’ha
ditto: Statte zitto, tieneme stretta e nun ce penzà.
TRADUZIONE
L'altro
giorno non mi sembrava vero
Forse
è stata l'aria di primavera
Mentre
stavo al balcone affacciato
Mia
moglie è venuta e mi ha abbracciato
Poi
mi ha preso stretto la mano
E
mi ha portato sul divano
Le
ho detto: ma non abbiamo più l'età
Mi ha detto: stai zitto, tienimi stretta
e non pensarci.
ex aequo
CHELL’OMBRA DINT’ ‘O SCURO –
QUELL’OMBRA NEL BUIO – CIRO IANNONE
CHELL’OMBRA DINT’ ‘O SCURO
N’ombra
se move chiano dint’ ‘o scuro
sient’
nu musso ca s’azzecca nfronte
jesce
d’ ‘a casa quanno è ancora notte
po
se fa ‘a croce primm’ ‘e nzerrà ‘a porta
‘O
juorno ‘o cirche ma nun ‘o truove maje
e
s’arretire ‘a sera quanno accumpare ‘a luna
si
pure p’ ‘a fatica se sente stanco e acciso
t’astregne mbracce e te fa nu surriso
‘O
Pate
N’omme
ca soffre ma nun dice niente
ca
si se sente male nun t’ ‘o fa maje capì
se
gonfia ‘o pietto pe comme staje criscenne
pe
isso tu si 'a cchiù bella cosa 'e copp' 'o munno
St’omme
è cuntento quanno tu si felice
le
ride ‘a faccia è ‘o core sultanto si te vede
è
chillo ca te vase ‘a dint’ ‘o suonno
e nun ‘o ffa pecchè se mette scuorno
‘O
pate
É
na canzone ca po cantà si pure nun tene 'a voce
è
chella goccia ca te buca ‘e pprete
ca
chianuo chiano senza fa rummore
te
porta sempe appriesse dint’ ‘o core
Ma
comme tutt’‘e cose già se sape
‘o
tiempo passa pure pe chi è pate
si
ogni scarpa nova addiventa nu scarpone
ma
pe isso tu sarraje sempe ‘o Guaglione.
Quanno
s’è fatto viecchio nun ve scurdate
‘e
tutt’ ammore ca st’omme v’ ha dato
dicite
sti parole quanno v’arritirate 'a sera
ne
so sultanto quatte parole, Papà te
voglio bbene!
QUELL'OMBRA NEL BUIO
Un ombra si muove piano nel buio
senti
le labbra che si attaccano alla fronte
esce
di casa quando è ancora notte
poi
fa la croce prima di chiudere la porta.
Il
giorno lo cerchi ma non lo trovi mai
e
rientra la sera quando spunta la luna
anche
se per il troppo lavoro è stanco
ti
stringe fra le braccia e ti fa un sorriso
Il
Padre
Un
uomo che soffre ma non si lamenta
e
se si sente male non te lo fa mai capire
si
gonfia il petto pe come stai crescendo
per
lui sei la più bella cosa al mondo
Quest'uomo
è contento quando sei felice
gli
ridono gli occhi e il cuore solo se ti vede
è
quello che ti bacia mentre dormi
ma
non lo fa perchè si vergogna.
Il
Padre
È
una canzone che puoi cantare anche senza voce
è
quella goccia d'acqua che ti fora una roccia
che
piano piano e senza fare rumore
ti
porta con lui sempre nel suo cuore
Ma
come tutte le cose già si sa
il
tempo passa pure per chi è padre
se
ogni scarpa nuova diventa uno scarpone
per
lui tu resterai sempre un ragazzo
Quando
diventa vecchio non lo dimenticate
tutto
l'amore che quest'uomo vi ha dato
ditegli
quando rientrate la sera
3. NU’ JUORNE ‘E LIBBERTA’ – UN GIORNO DI LIBERTA’ – GENNARO
GRIECO
NU' JUORNE 'E LIBBERTÀ
Caro
m'hê custato, stù juorne 'e libbertà,
'a
nu' mumento 'a n'auto...
m'aggio
avuto appriparà.
Mentre
venevo ccà,
'a
dint' 'a fenestella d' 'o blindato...
aggio
guardato 'o mare 'e Napule,
penzavo
a ttè, papà;
chiagnènno
mille cavallune 'e lacreme.
Manco
mezz'ora fa m'hanne avvisato,
ca'
'o tiempo t'hâ dato
stà
scadenza 'a rispettà.
Sagliènne
'e grare 'e chest'anema sola...
'e
desiderje 'e creature bussavene 'o core.
Perdoneme
papà, si so' sagliùte ammanettàto,
pur'
i' me metto scuorne;
chisto è 'o prezzo ca' se pava...
quanno
sì pregiudicato.
Songo
'a sconfitta d' 'a famiglia,
pe'
ffine 'e frate mieje m'hanne scanzàto;
manco
na' pacca 'n'coppo 'a spalla,
nun
sia maje,i' songo o figlio carceràto.
Te
vulèsse accarezzà, mannaccia stì manètte;
manco
chesto pozzo fa,
arreposa
'o core e 'o ciato,
nun
c'hâ faje manco â parlà.
'O
ssaccio, nun te preoccupà,
sì
cu' 'o rimorso staje penzànno...
ca'
so' passate quarant'anne,
è
nun sì maje venuto â me truvà.
Si
liegge 'n'faccia 'e mura 'e chistu core...
ncè
truove scritto pe' ttè chello ca' sento,
e
sì chiude ll'uocchie nu' mumento...
cu'
'e mane 'o può tuccà stu' sentimento.
Ma
i' parlo e nun me siente;
caro
m'hê custato, stù juorne 'e libbertà;
almeno
t'aggio salutato,
pe'
ttè è scaduto 'o tiempo, e i' torno a fingere 'e campà.
TRADUZIONE
UN GIORNO DI LIBERTÀ
Caro
mi è costato, questo giorno di libertà,
da
un momento all'altro...
mi
son dovuto preparare,
Mentre
venivo qua,
dalla
finestra stretta del blindato...
ho
guardato il mare di Napoli,
pensavo
a te, papà;
piangendo
mille cavalloni di lacrime.
Meno
di mezz'ora fa mi hanno avvisato,
che
il tempo ti ha dato
una
scadenza da rispettare.
Salendo
i gradini di quest'anima sola...
i
desideri di bambino bussavano al cuore.
Perdonami
papà, se mi presento ammanettato,
anch'io
mi vergogno,
questo
è il prezzo che si paga
quando
sei un pregiudicato.
Sono
una sconfitta per questa famiglia,
per
fino i miei fratelli mi hanno evitato;
nemmeno
una pacca sulla spalla,
non
sia mai... io sono il figlio carcerato.
Vorrei
accarezzarti, mannaggia le manette;
nemmeno
questo mi è concesso,
riposa
il cuore e il fiato,
sei
stanco, non riesci a dire una parola.
Lo
so, non preoccuparti,
se
con rimorso stai pensando...
che
son passati quarant'anni,
e
non sei venuto mai a trovarmi.
Se
leggi sulla mura del mio cuore...
ci
trovi scritto, per te quello che sento,
e
se chiudi gli occhi per un momento...
con
le mani potrai toccare il mio sentimento.
Ma
io parlo e tu non senti,
caro
mi è costato questo giorno di libertà,
almeno
son riuscito a salutarti
per
te è scaduto il tempo, ed io torno alla mia prigionìa.
MENZIONI D’ONORE
FOCU SENZA FIAMMA – FUOCO
SENZA FIAMMA – PAOLO LANDRELLI
FOCU SENZA FIAMMA
Senza
rumuri arriva ‘ccitta, ‘ccitta,
com’
‘a notti, ‘rrobandu li culuri,
glià
‘ssupa, u celu pari ca ti ‘mpitta
e
‘i ruvettari cumbogghjann’i χjùri.
I
d’ogni malatia esti la mamma
l’atti
li vidi e d’iglia mai cumpari
esti
nu focu chi no’ n’avi fiamma
com’
‘e carcari di li carbunari.
Ti
senti tali e quali a ‘na vavusa
‘ca
non camini cchjù ma sulu strisci,
pe’
ttia ogni jòrnat’è mugljurusa
e
non ti senti né carni e né pisci.
E
appena vai mu cacci’ ‘a testa i fora
‘na
manu ti sdarrupa ‘nfund’ ‘o catu
com’
‘a vavusa vorrissi ‘na scalora
ma
‘ntornu vidi sulu ‘nzulicatu.
Ti
pari ca pe’ ttia ogni tifuna
esti ‘nu
muru fatt’a d’armacera,
pur’
‘a natura ti pari ‘mbrogghjuna,
ogni
χjuχχjata ‘i ventu è ‘na bufera.
Chista
di tutt’ ‘i guerri esti la peju
ca
nott’e jòrnu non ti duna poju
no’
n’avi facci, t’arroba lu preju
e tu
non palli manc’u fai piloju.
Ma
comu tutt’ ‘i guerri ‘a poi vinciri,
si
tu t’abbrazz’a li perzuni cari
e
si d’ ‘i vrazza ‘i Diu ti fai stringiri.
Allura
natta vota poi volari.
FUOCO SENZA FIAMMA
Arriva
in silenzio, senza fare rumore
come
la notte, rubando i colori,
lassù
il cielo sembra che ti schiaccia
e
le spine coprono i fiori.
Di
ogni malattia è la mamma
le
altre le vedi ma lei mai compare,
è
un fuoco che non ha fiamma
come
le carbonaie dei carbonari.
Ti
senti proprio uguale ad una lumaca
perché
non cammini ma vai strisciando
per
te ogni giorno è nuvoloso
e non
ti senti né carne né pesce.
E
appena cerchi di tirare fuori il capo
una
mano ti rigetta in fondo al secchio,
come
lumaca vorresti della verdura
ma
intorno vedi solo strade di pietra.
Ogni
zolla per te oramai sembra
che
sia un muro fatto di cemento
anche
la natura si appare bugiarda
ogni
soffio di vento è una bufera.
Questa
di tutte le guerre è la peggiore,
perché
non ti da tregua né giorno né notte,
è
senza volto, ti ruba le gioie,
e
tu non parli neanche per lamentarti.
Ma
come tutte le guerre, la puoi vincere
se
ti abbracci alle persone care
e
dalle braccia di Dio di fai stringere.
Allora
un’altra volta puoi volare.
ARBEIT MACHT FREI – IL LAVORO
RENDE LIBERI – IGNAZIO DE MICHELE
ARBEIT MACHT FREI
va
cuntu
cuscì
cùme me l'hàn dìita
duì
vèegi peschuèi
tra
n'addentàa, àn tòccu de figàssa e
na
guàa de vìn giàncu scciumenìn:
èan
in tanti
e,
quande s'ennanàvan da u Segnù
joàvan
cianìn cùme rìssi de anime
da
i camìn
pèegi
a lègna rensenìa
buìn
sùlu da brujàa
cùme
fòggi, d'èn calendàiu senza tèmpu
cùme
i giùrni a ricurdàsse a strada
pè
turnà
da
Muè, dai fìggi, muggèe, amìji
e,
manch'ìn tucchettìn de dùsse a dumènega
pe
savèi ch'èan vìvi
ammuggièe
senza
sciòu cùme anciùe sùttu sàa
in
te vaguìn fermi in ta nèie
e
fèua, elmetti ciaciaràvan divèrsu
frèidu
cùme
a sperànsa de sentìi, tùrna
l'oudùu
de màa e da macàia zeneise
fra
miàge arrusigèe do tempu
bèi
di bezagnìn e peschuèi allujentèe de scàggie
cùme
quand'eàn zuenòtti
cùme
quande
nu
èan
fùme...
IL LAVORO RENDE LIBERI
ve
la racconto
così
come me l'han detta
due
vecchi pescatori
tra
un morso, ad un pezzo di focaccia
e
un sorso di vino bianco frizzantino:
erano
in tanti
e,
quando se ne andavano dal Signore
volavano
lentamente come volute di ectoplasmi
dai
camini
simili
a legna rinsecchita
buoni
solo da bruciare
come
fogli, di un calendario senza tempo
come
i giorni per ricordarsi la strada
per
tornare
dalla
Mamma, dai figli, moglie, amici
e
neanche un pezzetto di dolce la domenica
per
sapere se erano vivi
ammucchiati
senza
fiato come acciughe sotto sale
dentro
vagoni fermi sulla neve
e
fuori, elmetti chiaccheravano incomprensibile
freddo
come
la speranza di tornare a sentire
l'odore
del mare e della foschia genovese
fra
muri erosi dal tempo
urla
dei besagnini e pescivendoli rilucenti di scaglie
come
quando erano giovanotti
come
quando
non
erano
fumo...
SEZIONE OPERE A TEMA
PODIO
1.RESTA LA VERGOGNA – NADIA
PASCUCCI
RESTA LA VERGOGNA
Genocidio
alla luce del sole
Violenza e crudeltà indicibili
tolgono il respiro.
Canea
di sciacalli a divorare tutto
E
NOI immobili e indifferenti,
sordi
e muti a guardare con occhi vuoti.
Basta,
contare corpi senza vita,
vedere
volti accecati dal terrore ,
occhi
che invocano pietà,
bambini,
angeli senza colpe,
ricoperti
di polvere e sangue,
che
impietriti
non
riescono più neanche a piangere.
Dove
sono le grandi potenze?
Il
passato non è servito da esempio e da monito?
Usciamo
da questa spirale di morte e dolore,
da
questa infinita mancanza
di
giustizia e di amore.
Sradichiamo
la violenza
ricordiamoci
che siamo tutti FRATELLI.
Non
prevalga la porta degli Inferi
Non
si rinneghino i valori della libertà.
la COSCIENZA sia il nostro presente
Non
si gioca la eterna lotta di potere sui cadaveri.
E
di fronte ad orrori e atrocità senza limiti,
resta
la VERGOGNA....
2.DOLCE VIENE DOLCE VA – ENZO
BACCA
DOLCE VIENE DOLCE VA
Dolce
viene dolce va.
Cos’è
che m’appartiene?
Questo
angolo di terra,
pezzo
d’azzurro immenso
oppure
nulla, il dubbio frena.
Bussa
sempre, poi si nasconde
dietro
l’angolo, come bimbo
che
giocondo scampanella
corre
via e se la ride, monella
quell’antica
nostalgia d’inverno.
Dolce
viene dolce va.
A
volte il sogno si colora
attraversa
il limbo come onda
poi
riaffiora, edulcorato, sbiella,
arabesco
taroccato, nero
scarabocchio
sul quaderno.
Dolce
viene dolce va.
Altalena
fionda il mondo dondolando
nel
ludico su e giù tra terra e cielo
solletica
budella, cancella veli
il
fumo che appanna occhi, sentimenti…
Mistero
appeso alla lama, al filo.
Aquila
che brama alta montagna,
solo,
anch’io da eterna cima plano
e
picchi e iperbole aleggio snello
all’aria
sana e poi tinta e poi serena,
poi
ancora grama.
Dolce
viene dolce va, cantilena…
questo
tempo menzognero, mezza prugna
un
po’aspirina, forse menta piperita,
babà
alla crema, sciapita minestrina,
Dom
Perignon d’annata. Amara ciliegina sulla torta!
Dolce
viene dolce va, dannata punta di grafite
che
si spezza ad ogni scossa della vita
ad
ogni parvula cancrena, ogni cellula morta.
Dolce
viene dolce va, infinita
brezzosa
voglia d’agognata giovinezza. Acquavite!
Pallida
certezza (raggrumata) se ne sta sull’altra riva,
Caronte
attende ansioso l’abbuffata. Io, la sveglia!
SILLOGE ADULTI A TEMA LIBERO
PREMIO ECCELLENZA
UNGHIE PER FERIRE – ELENA
VARRIALE
Spesso
con la penna
mi
graffio la mano
e
soltanto allora so che
ho
vissuto ciò che ho scritto.
(Karl
Kraus)
1
Ricamo
il danno
sulla
tela delle Moire
lì,
dove vizi e virtù
si
contendono scettri.
Destini
incrociati
l’essere
e l’apparire
sono
figli della stessa
madre
premurosa.
Scambiano
intese
sospesi
a mezz’aria
quasi
a volersi toccare
e
unirsi per sempre.
Siamo
e non siamo
in
questo grigio cielo
che
ha strali per ferire
e
luce per incantare.
2
Nella
mela si cela il baco
nella
pianta cova il fungo
tutti
i respiri sono a tempo
nell’ombra
trama il vizio.
Imperfetti
dalla nascita
non
siamo cloni migliori:
nell’iniquo
indugia l’onesto
nel
satollo dimora l’avido.
Fango
e cielo convivono
sono
il lato oscuro della
luna,
l’eclissi che affligge
il
computo del tempo.
Il
cuore che si racconta
nel
buio della stanza è
voce
veritiera che smette
di
lanciare sassi.
Ha
unghie per ferire.
PODIO
1. PROFUMO DI ZAGARE – GAETANO CATALANI
SULLA VIA DELLE MANGROVIE
Stavi
seduta in un angolo del bar
con
una tazza di caffè fra le mani
per
placare il freddo del maestrale.
Mi
raccontasti una storia, la tua vita,
mi
parlasti di profumi e di mangrovie,
di
corse sull’erba a rincorrere il tramonto
e
poi supina ad ascoltar le rane nel fosso.
Anche
stasera sei lì sul marciapiede
sotto
il solito lampione malato
mentre ripassi il rossetto e tiri su la gonna
a
mostrare squarci di carne alla luna.
Mi
abbozzi un cenno veloce con la mano
ed
un sorriso velato di tristezza,
acqua
chiara che scorre in uno stagno
dove
gli angeli non osano volare.
Ti
sfioreranno labbra con un muto ghigno
di
vecchi con le pupille incandescenti
sopra
un letto sfatto e una persiana chiusa
ad
occultare l’orgasmo del silenzio.
Avevi
un nome e non lo avesti più,
dolce
crisalide che si finge farfalla,
prigioniera
di una tratta infame
in
un mondo che s’illude d’esser vivo.
Ascolti
il canto di una libellula che muore
e
un fremito d’angoscia t’attraversa,
c’è
uno spicchio di luna, è quasi l’alba
e
le luci dei lampioni ormai si spengono.
Hai
imparato che si può vivere nel dolore
fra
le braccia scomposte della notte
dove
il frastuono del cuore si addolcisce
in
un soffio di vento sulle mangrovie.
2. EMOZIONI E PAROLE IN VERSI – ANTONIO
BARRACATO
LA FORZA DEL MARE
Onde
impetuose
spinte
dal vento
si
infrangevano sugli scogli
fino
a coprire
di
schiuma bianca la battigia.
Il
sole coccolato
da
nuvole grigie
spruzzava
i suoi raggi dorati
in
un cielo burrascoso
Una
salsedine graffiante
invadeva
ogni cosa.
Gocce
di una pioggia delicata
ricamavano
a tratti
la
mia fronte.
E
mentre cercavo
con
lo sguardo l’orizzonte,
il
vento mi parlò
di
gabbiani impazziti.
Il
mare si espandeva
e
si ritirava,
danzando
con
il suo moto ondoso.
Ad
un tratto
la
sua voce impetuosa
invase
la mia anima
e
portò via il mio pensiero.
4.
EMOZIONI E POESIA – GIUSEPPE MILELLA
MALINCONIA
A
volte ci sono giorni
in
cui nel tuo animo
penetra
la malinconia
dapprima
come un soffio lieve e sottile,
poi
invade la tua mente e non ti abbandona.
Perdi
la fiducia in tutto
e
ti assale quel senso di nostalgia
verso
un qualcosa che ormai è volato via
o
forse che non hai avuto mai,
e
ti scopri ad osservare il volo di una rondine in primavera
ti
identifichi con essa, chissà verso quale fantasia
o
con le nuvole grigie sospinte dal vento
in
una fredda giornata autunnale
verso
un viaggio infinito nel tempo.
Ma
no, la tua mente non è rivolta verso un qualcosa di definito
in
quello che osservi con gli occhi e lo sguardo,
è
rivolta sempre a quel pensiero che, velatamente
ha
invaso il tuo animo, inconsapevolmente
senza
sapere cosa sia.
E
ti vengono in mente le esperienze e le delusioni,
frammenti
di vita che non ritorneranno più
e
pensi ai rimorsi e ai rimpianti.
Ripercorri
in un attimo la tua vita, i tuoi ricordi,
quelle
parole che non hai detto mai
quell’abbraccio
trattenuto e quel bacio soffocato.
Rimani
da solo, con te stesso
ed
osservi nella mente mutevoli scene
tratteggiate
da variabili figure
che
inesorabilmente si dileguano
al
primo rintocco con la realtà
che
ti riporta con il pensiero
al
tuo presente sulla terra,
senza
però che quel senso di malinconia ti porti via.
ex aequo
3.IL SILENZIO DEL SUD –
ANNAMARIA COLOMBA
IL SILENZIO DEL SUD (In
notturna)
Non
c’è un’anima,
né
miagolii e né latrati,
neppure
la luna
a
rubare la scena
a
questo immobilismo sacro e profano
di
vicoli, balconi, muri, chiese, serrande
e
gechi stagliati alla luce di muti lampioni…
Perfino
i pensieri hanno tolto il disturbo
e
zitta scende, benedetta, la frescura
a
sopire la febbre del giorno,
mentre
il respiro insieme ad essa tace.
MENZIONE D’ONORE
L’AMORE E LE STAGIONI – MARISA
COSSU
SENZA TITOLO – DOMENICO
RUGGIERO
LA GABBIA
La
gabbia, posta in ombra,
è
il mio sistema di periferia,
con
tanti buchi vuoti
dove
potermi accoccolare
sul
potere della conoscenza.
Forse
il fuoco fa male,
ma
il bruciore della pelle
è
segmentato
dal
tatuaggio del tempo.
Ed
io volo lontano dall’ombra,
al
di là delle sbarre,
per
eludere il guardiano
della
miscredenza.
CATEGORIA GIOVANI A TEMA LIBERO
PODIO
1. DJ – LORIS AVELLA
DJ
Dj
spegni la console,
la
pista è piena di anime
ma
io ho un vuoto nello stomaco
e
la musica non riesce a colmarlo.
I
mille tocchi degli altri
non
riescono a spostarmi,
non
invitarmi a ballare
non
sono qui.
È
un movimento il mio
sembra
quasi un volo,
non
tenermi per le mani
afferrami
le caviglie
ho
volato tanto
ed
ho le ali stanche.
La
canzone risuona dentro
Ti
avvicini, ti strusci…
La
cannuccia blu,
la
tua saliva,
le
mie labbra cacciatrici.
Dj
spegni la console!
La
pista, lo strobo
che
malattia questa notte.
Un
vuoto nello stomaco
riempito
di ghiaccio
e
Martini bianco.
Ho
le ali stanche,
mi
appoggio alle tue spalle
non
hai ballato tutta la notte,
hai
le chiavi e il mio respiro nella mano
ho
poca voce per bestemmiarti,
le
lenzuola son pulito
ed
anche domani
avranno
il tuo profumo.
2. LEI DIMENTICA – RICCARDO TIBERI
LEI DIMENTICA
Incessante
la lamentosa nenia
vano
il continuo pianto
lontano
l’insicuro sguardo
mancante
ancor più la mente
indecifrabile
il pensiero
tra
la gente distante
incompresa
commiserata
perché
lei dimentica
gli
sbiaditi volti
che
persistentemente
la
obbligano a ricordare
ma
lei non ricorda
bramosa
di aiuto
vive
di frammenti
mantenuta
dalle nostre vitali cure.
Quando
la roca e fievole voce
pronuncia
fulminea il nostro nome
gioiamo
ma
una lacrima cade repentina
graffiante
sul volto.
3. DOPO LA TEMPESTA – VINCENZO ROSSANO
DOPO LA TEMPESTA
La
nave è salpata tardi,
le
sue luci lampeggiano al largo,
la
Luna colora il mare
di
un bianco intenso come la neve.
Guardo
i miei compagni,
abbiamo
ancora speranza:
il
mare è calmo e piatto,
possiamo
proseguire veloci.
c’è
qualcosa in lontananza...
un
barcone in mezzo al mare,
faccio
segno di avvicinarci
e
grido “Stiamo arrivando, tenete duro!”
ma
il mio volto all’improvviso
si
bagna, sto lacrimando,
vorrei
parlare, gridare
ma
la voce stenta ad uscire.
Davanti
un cimitero,
dietro
la terra promessa,
la
loro era una scommessa
ed
ancora una volta
ha
vinto il mare.
SEZIONE RACCONTO
PODIO
1. NONNO OMERO – DOMENICA INZINNA
NONNO OMERO
Forse è stato un caso, forse i ricordi
rimangono davvero sospesi nell'aria e chi chiude gli occhi su questo percorso
terreno, in realtà, non lo fa per sempre, continua a rimanerci accanto, a
suggerire un ricordo, un gesto, un momento.
Questo pensavo seduta in penombra nel
silenzio di quella serata estiva, quando una brezza inaspettata iniziò a
soffiare, bussando contro la finestra semi aperta e aprendo il mio diario
proprio sulle pagine che avevo dedicato a lui, mio nonno, l'oggetto dei miei
pensieri in quel preciso istante.
Ne erano passati di anni, ma il suo viso
era sempre davanti ai miei occhi, il suo sguardo si confondeva con il mio, e
non era certo la prima volta che mi ritrovavo ad avere la sensazione di sentire
il suo profumo.
Chissà quale fantastico viaggio starà
compiendo adesso mio nonno, pensai prendendo tra le mani il diario e rileggendo
quelle pagine, emozionata e tremante proprio come quando le avevo scritte.
Era tutto così surreale ma, allo stesso,
tempo così tranquillo; l'aria fresca di una serata estiva, il silenzio, la
penombra, e la sua presenza che riuscivo ad avvertire in maniera netta, quasi
fosse accanto a me e insieme ricordassimo i vecchi tempi.
Non era molte pagine, era quasi un
riassunto dei nostri momenti insieme, un veloce riepilogo dell'immenso affetto
che ci univa e continua ad unirci, quasi le avessi scritte proprio per questo
preciso momento.
Nessuno se ne va per sempre, è vero,
così come nessuno rimane veramente solo, mio nonno in fondo è ancora qui, si è
soltanto trasferito dalla sua stanza per abitare nel mio cuore, per essere la
parte migliore di me, il ricordo più importante... e i ricordi vivono per
sempre.
Mio nonno c’è ancora, adesso osserva la
vita da un’altra prospettiva, una dimensione che non posso toccare,
abbracciare, ma che sento profondamente nel mio cuore; lui c’è ancora, continua
a vivere attraverso il mio pensiero, e anche adesso, di sicuro, sta sorridendo
ascoltando questi miei pensieri ad alta voce.
Adesso ognuno di quelli che lo
conoscevano, che gli volevano bene, ogni suo amico, tutti sono lui, e lo sono
anche io, in un abbraccio che durerà per sempre, diventando ancora più forte
ogni volta che penserò a lui.
Proprio per questo rileggo a voce alta
le pagine del mio diario, sicura che in questo momento, in questa stanza, nella
penombra di una fresca notte estiva, mio nonno è qui con me che ascolta,
sorride e mi accarezza delicatamente i capelli.
Lui, il mio angelo, il mio eterno e
sincero amico.
"I miei ricordi con nonno Omero
iniziano da ....sempre. Quando avevo 4/5 anni e vivevamo in Germania mi portava
con il pullman a Reutlingen, una piccola cittadina di provincia nel Land del
Baden-Wurttemberg, un viaggio fatto di sorrisi, scivolando tra le campagne di
un marrone acceso e sul sedile al ritmo delle curve in una strada che non
avrebbe mai potuto fare da solo visto che non aveva mai preso la patente per
paura. Passeggiavamo lungo la via principale, i würstel e le patatine fritte
erano nostre compagne, il centro commerciale un punto fisso da visitare, dove
mio nonno trovava sempre qualcosa da comperarmi.
Poi i nostri viaggi in treno, quando per
le vacanze estive di ritornava in Italia, insieme ai ricordi di quando ci siamo
trasferiti in Italia ed io sono andata a vivere con i nonni. Ero sempre il
centro dei suoi pensieri e delle sue azioni, non rientrava mai a casa senza
portarmi qualcosa, magari delle caramelle, ma comunque mai a mani vuote. Se la
notte c’era il temporale, cosa di cui avevo molta paura, mi veniva a svegliare
e mi faceva andare a dormire nel lettone.
Il giorno del mio matrimonio,avrei
voluto fosse lui ad accompagnarmi all’altare, perché era lui che mi aveva
cresciuta, amata, coccolata, lui che aveva asciugato le mie lacrime..era lui il
mio papà, perché i figli non sono di chi li mette al mondo ma di chi li cresce.
Ho continuato a vivere con i nonni anche
dopo sposata, e la nascita di mio figlio fu il più bel regalo che potessi
fargli, il figlio maschio tanto desiderato era adesso realtà.
Dal giorno in cui le sue condizioni di
sono aggravate, era l’8 aprile, e fino a quando mi ha lasciata, il 15 aprile,
sono stata sempre vicino a lui, baciandolo, accarezzandolo; ho goduto fino in
fondo quei suoi ultimi momenti durante i quali ci è stato possibile rimanere
ancora insieme. Sono passati 15 anni, ma la sua mancanza è sempre presente, non
è vero che il dolore si attenua, ci si abitua alla non presenza delle persone
amate solo per non soffrire troppo.
L’ultimo momento, quello in cui capii
che non lo avrei mai più rivisto, quando chiusero la bara, feci un’esclamazione
rotta dal pianto:”NESSUNO MI DIRÀ PIÙ SEI IL MIO SOLE”.
Richiudo il diario, mi guardo intorno,
una lacrima scende piano lungo le guance...nonno, se ci fossi tu qui, adesso,
ad asciugarmela, che felicità!
Le cose belle vanno via sempre troppo
presto, fai appena in tempo ad amarle, a renderti conto della loro grande
importanza, e poi, d'un tratto, il cielo sereno si carica di grigie nubi, la
tempesta si avvicina inesorabile preceduta da lugubri tuoni, e la morte, la
nostra eterna compagna, passa veloce e tinge di nero quello splendido quadro
che era fino a poco prima la tua vita.
Un soffio, ecco cos'è la vita, un soffio
di vento, a volte caldo, a volte freddo e pungente, ma che in ogni caso devi
sempre apprezzare fino in fondo, che può farti bruciare di gioia e d'affetto
oppure gelarti il sangue dentro le vene.
Per questo io ci sono, per questo
continuo ad andare avanti nonostante il dolore della tua perdita, perché si
muore veramente soltanto quando l'ultimo ricordo vola via sulle ali di quel
vento.
Io invece rimango, tengo duro, rimango
al tuo fianco, continuo a scrivere di te, parlo al tuo posto, piango e rido al
tuo posto, ti proteggo dal vento, perché senza di te non potrei e non saprei
esistere.
Per questo, nonostante tutto continuo a
cercarti, per questo nonostante tutto spero tu possa trovarmi, anche se lo so
bene che non sentirò più il tuo abbraccio, il tuo calore, ma so anche che il
cielo può contenere milioni di stelle, che tu adesso sei una di quelle, ed io
di quella stella ho assoluto bisogno.
Così continuo a cercarla, tra le pagine
di un diario, nei miei sogni, nei ricordi, in ogni attimo vissuto insieme a te,
soprattutto nei tuoi piccoli gesti, nei tuoi silenzi, nei tuoi sguardi sempre
attenti e vigili, in tutto ciò che eri, in tutto ciò che continui per sempre ad
essere.
Tu mi hai insegnato a stare al mondo, a
sapere quale è il mio posto, a sapere come comportarmi, ad essere fiera, viva,
unica; tu eri il mio mondo e adesso tu, soltanto tu, sei tutto ciò che mi
circonda.
Ogni albero che fiero si alza nella
campagna è mio nonno, fiero e forte come tronco, che ti ripara, che ti
protegge; ogni goccia di rugiada è mio nonno, un bene inaspettato che ti
disseta nel momento del bisogno, un bene sul quale sempre e comunque puoi
contare.
Ogni cosa mi parla di te e con ogni cosa
amo parlare, perché non c'è luogo nel quale tu non ci sei, non c'è sorriso nel
quale non ci sia anche il tuo, non c'è dolore nel quale io non senta la tua
mano sulla spalla a darmi ancora forza e coraggio.
Questa è la vita che, nonostante tutto,
continua ad andare avanti, che si ricicla, che assume altre forme ma che rimane
intatta nella sua sublime sostanza; il tempo mette a tacere i singhiozzi, li
cura con l'illusione, con le bende della rassegnazione, ma il dolore rimane e
si muove dentro, pronto a gridare ad ogni istante, quando l'assenza diventa un
fardello così pesante che ti senti le spalle cadere a pezzi e le ossa
frantumarsi.
Il dolore rimane ma con esso anche
l'amore.
Nonno, adesso ti porto dentro di me, li
sei al sicuro, puoi osservare i miei passi, ascoltare i miei sospiri, le
piccole gioie, i dolori, i problemi; forse continuerò a scrivere di te, forse
continuerò questo diario, o forse rimarrò in silenzio, ad occhi chiusi,
cercando per la stanza il tuo profumo, lasciando che la brezza della sera mi
passi tra i capelli e illudendomi che, come allora, sia la tua mano.
2. L’ULTIMO ATTO – MASSIMILIANO BELLEZZA
L’ULTIMO ATTO
Ero disteso da non sapevo quanto tempo.
La stanza era buia e attorno vi era
silenzio. Era così immoto l’ambiente che udivo il ticchettio della sveglia.
L’unico suono.
No, non era assoluto questo vuoto
circostante. La mia compagnia era quell’esile, cadenzato e ripetitivo tic tac.
Non sapevo da quanto tempo fossi lì. Non
ricordavo nemmeno da quanto la porta in fondo alle scale non venisse spalancata
per far entrare la luce naturale della striscia sottile d’asfalto cadente di
quella periferia dimenticata.
Non ricordavo la gente, i volti. Il
suono della voce. Nulla.
Ma conoscevo ormai i profili incrostati
di quella camera in cui mi trovavo, la polvere stantia dell’ambiente che mi
serrava come in un bozzolo. Oh, sì, li seguivo con lo sguardo senza vederli
dietro l’oscurità divorante.
Il mio respiro era il mio dna, l’unica
traccia che fossi ancora vivo.
Ma per quanto sarebbe andato avanti?
Non mangiavo, era sicuramente da un po’.
Sentivo il pulsare del mio stomaco, però non osavo uscire. Varcare quella
soglia, mi avrebbe artigliato la gola fino a soffocarmi. Guardai in quella
direzione, nel buio profondo dove si trovava la porta chiusa a chiave. Vedevo
solo nero informe. La porta era là, celata. C’era, come era vero che io
respiravo ancora.
I frammenti di questa discesa da recluso
tremolavano sotto lo sguardo della mente, come una strada arsa sotto il sole
cocente.
Perché avevo chiuso me stesso tra queste
mura?
Ero da sempre un ragazzo problematico.
Vero. Mi sarebbe servita una terapia cerebrale per sfuggire ai turbamenti e al
dolore improvviso che mi investiva il petto. E il cranio.
Qualcosa non aveva funzionato se mi
trovavo ancorato a questo letto. Qualcosa non funzionava, ero un ingranaggio
inceppato. Una vita sospesa. In attesa di cosa? Avevo paura a formulare il
pensiero.
Giacevo su un letto sfatto. Le mie mani
toccavano le lenzuola e sondavano la superficie del giaciglio seguite da uno
sguardo cieco. Ero nudo, senza abiti, come un uomo senza più linfa.
Non sentivo freddo. Non sentivo nulla.
Trentacinque anni. Un lavoro come tanti,
in un’azienda farmaceutica. Ma stipendio buono, sopra la media. Pagavano bene.
Già, un lavoro ben remunerato.
Ahimè, qualcosa si era rotto dentro.
Prima, di quel lavoro, forse. Non sapevo rintracciare la scintilla di quella
follia - diagnosticabile in qualche modo? Bah! - che aveva segnato le mie
sinapsi. E mi aveva reso un ammasso gelatinoso di inconsistenza.
Avevo un tale buco nero tra i ricordi.
Cosa mi aveva ridotto così?
Una scoperta orribile… Non riuscivo a
rammentare.
Ora, sentivo solo un forte pulsare alle
tempie. Un martellare continuo. Era incessante. Dovevo costringermi a non
ascoltarlo.
Ma era forte, persuasivo. Quasi
ammaliante e sembrava chiamarmi.
Marco… Marco… Non vieni?
Dove devo venire? Chi sei?
La voce smise i parlare. Tutto tacque
per far posto, di nuovo, al tic tac.
Anche il mio cuore mi parve perdesse un
colpo. No, era ancora lì, pulsante. Forse lo sarebbe stato ancora per poco,
aspettava un segnale. Quale?
Un tumore.
Il tumore che mi divorava dentro. Quel
qualcosa che si era rotto.
Vidi con lucidità quella scintilla. Ora.
Hai un tumore, Marco. Le parole di quell’epatologo galoppavano voraci in un
ribadirsi convulso e martellante: Hai un tumore allo stadio terminale. Mi
spiace… Hai un tumore…
Ecco, mi aveva dato due mesi di vita.
Adesso ricordavo. Tutto. E fu come lava
che mi scuoiava le carni e faceva cenere del mio corpo. La mente si era come
sopita di fronte al fatto tremendo, si era eclissata: dimentica della mia
condizione umana.
Chiusi gli occhi il tempo di una
lacrima, prima che il buio esplodesse per sempre, in eterno, e la morte mi
portasse via.
3. LA STORIA DI GIOVANNA –
MICHELE MELILLO
LA STORIA DI GIOVANNA
Era la vigilia di un Natale di un
dicembre molto freddo, la neve caduta in abbondanza aveva ricoperto il piccolo
orto antistante la casa, rovinando i piccoli ortaggi che aveva piantato con
amore e speranza di poter almeno mangiare qualcosa.
Il focolare era spento e la poca legna
che aveva da ardere ormai finita, non aveva più luce, ne gas, né telefono. Non
avendo potuto pagare le ultime bollette le avevano staccato tutto.
Cosi Giovanna, per ripararsi almeno un
po' dal freddo si era messa nel suo piccolo lettino indossando due maglioni e
una vestaglia di lana che aveva più buchi lei che una grattugia, per cena aveva
solo poche mele e qualche mandarino che era riuscita a cogliere dai due unici
alberi che aveva nell'orto prima che la neve rovinasse tutto, e cosi aspettava
che giungesse la mezzanotte e arrivasse il Natale.
Non aveva nulla per essere felice, era
vedova da tempo, il marito morì in un incidente stradale investito da un
ubriaco anni prima, e la sua unica figlia si suicidò l'anno dopo perché
violentata dal suo ragazzo e non riuscì a voler vivere ancora!
Da allora Giovanna viveva da sola in
quella casa, e le uniche sue entrate era una pensione sociale di 120 euro, che
di sociale aveva ben poco, e i pochi frutti e ortaggi che gli dava il suo
piccolo orto che bastavano solo a farla pranzare e qualche volta cenare.
Aveva 60 anni Giovanna, ma ne dimostrava
molti di più segnata dai dolori e dalle sofferenze cui la vita l'aveva
sottoposta.
Non aveva quindi davvero proprio niente
per poter essere felice, eppure aspettava quel Natale con la gioia di una
bambina.
Qualche volta passavano degli assistenti
sociali che cercavano di convincerla lasciare quella casa ed andare in una casa
di riposo, e lei sorridendo diceva non posso riposarmi devo coltivare l'orto!
Ormai mancava solo poco più di un'ora a
mezzanotte e sarebbe finalmente entrato il Natale.
Giovanna si alzò dal suo lettino che
sarebbe forse più giusto definire brandina indossò due maglioni uno sopra
l'altro un berrettino di lana e i guanti bucati che erano gli unici che aveva
ed uscì fuori nel suo orticello ricoperto di neve, si sfilò le pantofole e
calzò i grandi stivali che erano li sull'uscio e si incamminò verso il grande
pino che dominava il suo orto, salì sulla grande scala che aveva poggiato
vicino il pino da tempo e con i suoi carboncini colorati iniziò a disegnare
sulla neve poggiata sul pino varie sfere di ogni colore che sembravano proprio
quelle palline con cui si addobbano gli alberi di Natale.
Poi scese dalla scala ed ammirava il suo
albero di Natale e pensò è davvero bello!
Poi si mise a lavorare la neve e fece
due bellissimi pupazzi di neve uno grande ed uno piccolino, a quello grande
mise in testa un cappello e gli disegnò occhi e baffi, mentre sulla testa di
quello piccolo mise una parrucca bionda e gli disegnò dei magnifici occhi
verdi, quei pupazzi rappresentavano suo marito e sua figlia!
Si mise in mezzo ai due pupazzi
abbracciandoli entrambi ormai mancavano pochi minuti a mezzanotte, stappò la
piccola bottiglia di spumante che aveva portato con se e ne verso un po' sulla
bocca dei due pupazzi poi ne bevve un po' e disse buon natale amori miei , di
nuovo insieme famiglia mia e niente e nessuno potrà separarci mai, e rimase li
cosi lasciandosi ricoprire dalla neve che cominciava a cadere sempre più
intensa, rimanendo abbracciata ai due pupazzi di neve, era lì e suo marito e
sua figlia erano con lei!
La mattina dopo, il Sindaco del paese
con tutta la giunta passò per la casa di Giovanna a cui portava panettone e
dolcetti, come faceva con tutti gli abitanti del paese che non potevano
permettersi questo lusso, alcuni dicevano lo facesse per amore del prossimo,
altri per sola nuda e cruda pubblicità a se stesso, bussò alla porta ma
Giovanna non apriva, iniziò a chiamarla ma non ebbe alcuna risposta, fece per
andarsene via e solo allora si accorse di quel Pino innevato che Giovanna con
la sua arte ed il suo amore aveva fatto diventare un vero e proprio albero di
Natale!
Si avvicinò al Pino insieme alle giunta
e vide tre pupazzi di neve lì vicino, e che i due pupazzi a destra ed a
sinistra sembravano abbracciare quello al centro, ma la neve che si stava
lentamente sciogliendo cominciò a scoprire il viso di Giovanna, ed il Sindaco
quando osservando un po’ meglio se ne rese conto esclamò Dio Mio è la Giovanna
ed insieme alla giunta che lo accompagnava cominciò a togliere la neve dal
corpo di Giovanna ormai senza vita e vide che nelle mani stringeva una lettera,
la prese e la lesse a voce alta:
“Quando leggerete questa lettera vorrà
dire che non sono più fra di voi e mi sono finalmente ricongiunta con la mia
famiglia, mio marito e mia figlia, e con questa lettera voglio esprimere le mie
delusioni, fare una confessione ed esprimere il mio ultimo desiderio!
La delusione per non aver visto
giustizia per mio marito investito da un pirata della strada peraltro ubriaco
che non è stato condannato a nulla perché qualcuno sentenziò che al momento
dell’accaduto era incapace di intendere e di volere, allora il colpevole era
mio marito che aveva deciso di farsi investire da lui?
La delusione per mia figlia che non ha
visto giustizia dopo essere stata violentata e che non ha resistito al peso e
si è suicidata, perché il suo ragazzo che le aveva fatto questo era figlio di
qualcuno che con il suo denaro lo ha salvato da ogni accusa, allora la
colpevole era mia figlia che si era fatta violentare?
Nessuno dovrebbe farsi giustizia da solo
ma tutti dovremmo avere giustizia, purtroppo io sono stata costretta a farmela
da sola e questa è la mia confessione, in questo orto sotto la grande quercia
se scavate troverete due corpi, sono del pirata della strada che uccise mio
marito e del ragazzo di mia figlia che violentandola la spinse al suicidio, e
sono stata io a toglierli dal Mondo e per questo neanche io merito di vivere
perché nessuno ed in nessuno caso dovrebbe farsi giustizia da solo, ma il
perdono per ciò che ho commesso lo chiedo solo a Dio ed a nessun’altro!
Ed ora il mio ultimo desiderio è
semplicemente questo, voglio essere seppellita sotto questo Pino che piantarono
insieme mio marito e mia figlia, solo così potrò ricongiungermi a loro!
Ed a voi che state leggendo questa
lettera e a tutti quelli che rimangono qui dico solo queste ultime parole.
CERCATE DI RENDERE MENO VUOTA LA VOSTRA ESISTENZA”!
Giovanna fu seppellita li così come
aveva chiesta e da allora quel luogo fu chiamato LA CASA DELL’AMORE E
DELL’ODIO, e comunque nessuno volle più abitarci!
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