Il Giudizio Universale(1535 -1541) di Michelangelo Buonarroti
Augurare buona Pasqua non è fatto di
circostanza, è gioia di futuro da passare, speranza da raccontare,
coraggio da organizzare, stile di vita da proporre, è gridare che la
terra del cielo è in nostro possesso, eredità d’amore concessa
all’umano.
Pasqua
è festa complicata da raccontare. Tutto inizia all’alba di quel terzo
giorno: “Vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro” (Gv 20,1).
Questo l’annuncio difficile da passare, come difficile resta raccontare
il colore radioso di una vittoria impensabile che riconsegni ai perduti
della storia la speranza di potercela fare. Rischioso parlare oggi di
resurrezione dei morti, perfino la Chiesa ne parla poco. Che ci sia un
futuro dopo, un qualcosa a cui appigliarsi, pochi lo negano. Saremo
spirito? Anime vaganti o reincarnate? Qualcosa ci sarà. Ma la
resurrezione della carne è altra questione, ragionarne è complicato,
provoca l’intelligenza, la fa soffrire.
Eppure qui sta la sfida credente, qui il Vangelo di
Gesù di Nazareth si esalta, credere nella resurrezione di un corpo, il
suo, e per il suo il nostro, che per la sua vittoria ha finalmente un
futuro. Un corpo vero, non solo l’anima, non una fumosa sostanza che
perduri dopo la morte, ma il rinascere del corpo, impensabile speranza
che rimanda a memoria di contatti, alla continuità con il tempo, a una
eternità che non cancella l’amore passato, non annulla la nostra storia
personale né la tenerezza degli affetti condivisi nel tempo con i nostri
cari. Più facile di sicuro piangere un morto che parlare di
resurrezione, il dolore è sotto i nostri occhi, è pane quotidiano. Più
facile raccontarci la sofferenza e per condividerla trovare una
religiosità rassicurante, senza domande, senza ricerca, soprattutto
senza risposte impegnative, una fuga oppiante dal dolore, che ci liberi
dal dovere di organizzare il futuro, di dare ragione al senso stesso
della nostra vita.
Meglio parlare d’altro nelle nostre assemblee, forse di pace, di giustizia, di solidarietà. Meglio adeguarsi a linguaggi normali,
più adatti a provocare consensi se il rischio è quello di perdere
clienti. Eppure, per chi crede, la sfida è questa, raccontare la Pasqua,
raccontare che qualcuno ha sgridato la morte e l’ha ingoiata per la
vittoria: “Vieni fuori!”(Gv 11,43). Certo il cristianesimo
è anche impegno nel sociale, trasformazione della terra, ma è
innanzitutto quel grido che va raccolto nella sua originaria verità,
senza fughe, senza silenzi, senza paura di doverlo gridare: “Cristo è
veramente risorto”. Veramente, non apparentemente, non una favola da
raccontare a poveri disgraziati.
È un grido che riguarda i credenti, perché vana sarebbe la loro fede se Cristo non fosse veramente risorto (Cf 1 Cor 15,17),
ma è fatto che riguarda anche coloro che guardano ai credenti e che
davvero vogliono capire chi davvero essi siano o meglio chi davvero
dovrebbero essere. Se in tanti, in cammino sulle nostre stesse strade,
avanza il convincimento che Dio è morto, soprattutto quando restano muti
e sconfitti di fronte alla morte, se tanti non sanno che farsene
dell’idea di un Dio provocata dai sottili e discussi ragionamenti della
sapienza dei dotti, avere il coraggio di proclamare la propria fede
nello scandalo di una croce che diventa vittoria sulla morte, è davvero
una straordinaria provocazione in tempo di anemia di visionari. Quante
volte mi è stato vomitato in faccia il dolore per una morte ingiusta,
quante volte la religiosissima gente, che pure sa fare i conti con la
morte, non riesce a comprendere la relazione che esiste tra fede in un
Dio buono e la loro sofferenza. “Dove era il tuo Dio quando l’ho
pregato? Quando giorno e notte l’ho supplicato di lasciare in vita la
carne che ho partorito e ho allattato, quando l’ho scongiurato di
prendere la mia in cambio?. Dov’era il tuo Dio quando noi povera gente
abbiamo cercato il suo volto, abbiamo bussato alla sua porta che ci è
stata sbattuta in faccia irrimediabilmente?”.
Quanto si paga ad essere uomini, ma come è difficile
la fede! Cosa rispondere al dolore che affoga per colpa di un vento che
si avverte contrario. Affidati a Dio? E quale Dio abbiamo annunciato,
quale esperienza dell’Alto è passata in chi nel dolore avverte Dio come
nemico o inutile? Dov’è il Padre del cielo che ha tanto amato il mondo,
che non vuole la morte ma la vita? Se nel giorno del lutto è gioco forza
per tutti chiedere a Dio dove era, la fede dovrebbe dare la risposta:
se Cristo è veramente risorto, risorgerai! Questa è la Pasqua e senza
Pasqua non c’è Chiesa, non c’è fede, non ci sono Papi, Cardinali,
Vescovi e preti, non ci sono liturgie e preghiere. C’è la finzione di
un’istituzione che vive per il solo suo potere e per la sua malata
soddisfazione. Augurare buona Pasqua non è fatto di circostanza, è gioia
di futuro da passare, speranza da raccontare, coraggio da organizzare,
stile di vita da proporre, è gridare che la terra del cielo è in nostro
possesso, eredità d’amore concessa all’umano.
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