Mons, la Grand Place
Mons, chiesa di Santa Elisabetta
Mons, la Collegiata di Sainte Waudru
Mons, chiesa di Saint Nicholas
Hornu, le Grand Hornu
Elio Di Rupo, nel suo intervento di saluto, al convegno
Hornu - Calò , Palmerini, Napolitano, De Vita
L'intervento dell'assessore Gianluca Miccichè
Hornu, il pubblico presente al convegno
L'artista Antonio Cossu con Raffaele Napolitano
Al centro, Tindaro e Maria Tassone
Ai cancelli d'ingresso della miniera di Bois du Cazier
MONS - E' una
bella città Mons. Vi arrivo in treno da Charleroi nel primo pomeriggio
di metà dicembre, il sole splendente e un insolito cielo color turchese.
Arrivo in albergo. Mi appare tutto singolare. L'ingresso copre parte
della facciata d’una antica chiesa, adorna d'un bel rosone vetrato e un
timpano a vela. Ma è solo l'inizio, perché dalle evidenze interne
constato che l'hotel Dream è proprio realizzato all'interno d'una
chiesa, forse un complesso monastico nel centro della città. Restano
ancora in vista i basamenti delle colonne ed altre tracce della
primitiva destinazione intorno alle strutture portanti in acciaio che
supportano l'attuale disposizione alberghiera. Al terzo piano, mentre
cerco la mia camera 309 "Art nouveau" - tutte le stanze hanno un nome -
m'imbatto nella vetrata policroma interna al rosone della facciata. Fa
da sfondo al lungo corridoio dove sono distribuite le stanze. La camera è
ampia, con bagno arricchito da una finestra ogivale ornata da stipiti
in pietra grigia a foggia gotica, propria delle antiche chiese di questa
parte d'Europa. E' la prima sorpresa d'una città sorprendente come
Mons, il cui antico centro storico non rivela sbavature nell'armonia
delle architetture di palazzi, case e chiese, con l'intrico di vie tutte
pavimentate in selci e bordature in pietra grigio chiaro e ambra. Oggi è
il 15 dicembre. Non ho impegni e questa mezza giornata è utile per
conoscere un poco questa città che l'anno scorso è stata Capitale
europea della cultura.
Il cuore
della città è la Grand Place. E' poco distante. La raggiungo godendomi i
graziosi negozi e le vetrine ben addobbate con i simboli del Natale
incipiente. Rue de la Triperie conduce direttamente nella piazza
maggiore, la strada lievemente in salita. L'ingresso nella piazza,
salotto della città, è salutato dal canto dell'acqua che sgorga da
quattro bocchette d'una fontana. La Grand Place, un vasto rettangolo
irregolare, appare nella sua bellezza, contornata com'è di magnifiche
facciate. Vi spicca quella del Municipio, l'Hotel de Ville con i pennoni
imbandierati e ghirlande a cascata di luci natalizie. Animata di voci
la grande piazza, di gente, di colori. Piccole casette bianche di legno
del mercatino vendono prodotti tipici, cucina pronta e bevande a chi va
godendosi il tepore del sole calante e un anticipo d'aria natalizia.
Animatissimo il palaghiaccio all'aperto, dove ragazzi e bambini
piroettano sui pattini, in gare dal breve respiro. Mi piace annusarla,
questa città. E scoprirla pian piano, anche per l'orgoglio di sentirvi
tracce d'Abruzzo. Ne è sindaco, infatti, il figlio di un'umile famiglia
d'emigrati abruzzesi, Elio Di Rupo, personalità politica di grande
rilievo in Belgio, e in Europa, per essere stato più volte parlamentare,
uomo di governo e, dal 2011 per tre anni Primo Ministro. Giro per il
centro storico facendomi guidare dai campanili. Le chiese, se si ha
pazienza di guardarle con attenzione, raccontano la storia d'una città,
l'arte, l’anima e persino l'indole degli abitanti, meglio d'ogni altro
monumento.
Mons ha la
sua nascita nel Medioevo, il suo insediamento urbano sul luogo dove
Giulio Cesare, arrivandovi nel primo secolo a.C., fece edificare un
castrum, proprio sul colle che domina ora la città. Proprio da questa
particolarità, l'essere nata su un rilievo presente in un ampio
territorio pianeggiante, gli deriva l'attuale nome che richiama il
termine latino. Nel VII secolo, proprio nei pressi di quel monte, la
figlia di Clotario II, Waltrude, andata in moglie ad un signorotto del
luogo, fece edificare un oratorio dove poi si ritirò in santità fino
alla sua morte, nel 688. La santa Waltrude (Sainte Waudru) è patrona
della città. Intorno a quel primo nucleo altomedioevale si cominciò a
sviluppare un aggregato urbano, cresciuto fortemente nel XII secolo
sotto l'impulso del conte Baldovino IV di Hinault, che ne fece una città
fortificata. La popolazione aumentò notevolmente e fiorirono i
commerci, con numerose attività che si disposero man mano intorno alla
Grand Place, centro della vita civile e mercantile. Gli abitanti si
dedicarono al commercio e all’artigianato, tanto che Mons diventò la più
importante città della Contea di Hinault nella produzione di grano,
birra, nell’industria laniera e nella gioielleria. Ancor oggi, come
allora, la Grand Place - una delle più belle del Belgio - è il cuore
della città, dove si svolgono le tradizioni più care ai cittadini di
Mons, come la festa della Ducasse de la Trinité, con il combattimento
del Lumeçon che ricorda la lotta di San Giorgio contro il drago, e la
processione del Car d’or, quando la statua della Santa Waudru viene
portata per le vie del centro sull’antico carro di legno, scolpito e
dipinto di bianco e oro. Nel Quattrocento i cittadini di Mons (montois)
costruirono in stile gotico l’Hotel de Ville, la casa comunale dove nel
1515 l’imperatore Carlo V - il sovrano sul cui regno non tramontava mai
il sole - prestò giuramento in quanto anche Conte di Hinault. Nei due
secoli successivi prima gli spagnoli poi i francesi occuparono la città e
il grande Sebastien Vauban la munì d’una solida cinta muraria. Le mura
fortificate seicentesche sono ora solo un ricordo storico, perché
smantellate nel 1864 per essere sostituite dagli ampi viali alberati che
contornano come un perfetto ovale l’antica capitale degli Hinault.
Il mio giro
nel centro città inizia appunto dalla Grand Place, ammirando l’imponente
palazzo municipale, impreziosito da bifore ogivali. Accanto al portone
la celebre scimmia in ferro battuto, portafortuna della città e di
chiunque le carezzi il capo. Poco distante, sulla Rue de Nemy, la chiesa
tardo-gotica di Santa Elisabetta. Ne ammiro l’interno a tre navate, con
ampie finestrature vetrate e belle opere pittoriche nelle cappelle, con
l’altare maggiore e coro in legno lavorato. Arrancando su stradine
lastricate salgo fino al colle più alto della città, al Parco dei Conti,
dove gli Hinault avevano il castello. Del complesso resta la Beffroi,
torre barocca con grande orologio dalla quale si ammira tutta la città e
i dintorni. Lì accanto la Cappella di San Callisto, risalente all’XI
secolo, le cui volte ostentano lacerti di affreschi bizantini. Da lassù
si può avvistare la corona delle cappelle absidali della Collegiata di
Sainte Waudru, che raggiungo percorrendo la Rue de Clercs. E’ un tempio
magnificente di stile gotico brabantino, opera di Matheus de Layens,
edificata a metà Cinquecento e completata nel 1686. L’interno è a tre
navate, imponente l’altezza degli archi e delle vetrate dell’abside
principale circondata da cappelle con raffinate sculture, mentre nei
bracci del transetto stupiscono i preziosi rilievi cinquecenteschi in
alabastro, opera di Jacques Dubroeucq, artista del Rinascimento. La
chiesa custodisce il Car d’Or, il bianco carro ligneo processionale
della Santa Waudru, finemente decorato con putti e oro zecchino. Ultima
visita alla chiesa di Saint Nicholas, anch’essa imponente, con tutti gli
altari in legno cesellato arricchiti con dipinti seicenteschi. Il tempo
tiranno non consente di visitare i musei della città. Mons è molto viva
in campo culturale, non a caso ha avuto il privilegio d’essere per un
anno capitale della cultura europea. Lo deve alle sue sensibilità
umanistiche, alla sua storia, al suo patrimonio artistico e
architettonico. Lo deve anche alla presenza d’una prestigiosa
università. L’Umons è nata nel 2009 dalla fusione dell’Università di
Mons e dell’antica Facoltà Politecnica, fondata nel 1837. Attualmente la
città, che conta 95mila abitanti, ha 22mila studenti, di cui 7mila
provenienti da una quarantina di Paesi e ospitati nel campus
dell’ateneo.
Passata
pressoché indenne attraverso due guerre mondiali, Mons ha chiuso da
molti anni l’attività estrattiva che aveva richiamato migliaia di
immigrati italiani per il lavoro nelle miniere, in base all’Accordo
italo-belga del 1946. Di quell’intesa tra Italia e Belgio - braccia
contro carbone - ricorre quest’anno il 70° anniversario, come pure
ricorre il 60° della tragedia di Marcinelle, dove nella miniera di Bois
du Cazier l’8 agosto 1956 persero la vita 262 minatori, 136 dei quali
erano italiani. Nel corso del 2016 numerose manifestazioni si sono
tenute in Belgio per l’Anno commemorativo, che si chiude con il Convegno
del 16 dicembre a Hornu. Siamo qui per questo, per partecipare
all’evento promosso dai Comites del Belgio, d’intesa con l’Ambasciata
d’Italia a Bruxelles e in collaborazione con le associazioni storiche
dell’emigrazione operanti nel Paese, quali ANFE, ITAL-UIL, INCA-CGIL,
FILEF, ACLI, USEF, ASBL. La scelta di Hornu per la manifestazione di
chiusura dell’Anno commemorativo non è casuale. C’erano qui diverse
miniere di carbone. E il Grand Hornu, villaggio industriale realizzato
nel 1810 dall’imprenditore francese Henri De George, grande quartiere
urbanisticamente integrato, comprendente il complesso minerario, le
abitazioni di minatori e operai, l’isolato degli impiegati. Questo
straordinario complesso, esempio d’archeologia industriale, restaurato
su progetto di Pierre Habbelinck, dal 2002 ha ripreso a vivere come
Museo delle Arti Contemporanee (MAC’s), dove si tengono esposizioni,
eventi culturali e concerti.
Raffaele
Napolitano, presidente del Comites di Bruxelles e coordinatore
dell’Inter-Comites del Belgio, insieme agli esponenti delle associazioni
promotrici, per il convegno ha scelto il Centro Culturale italiano di
Hornu. In agenda sono previsti gli interventi dello stesso Napolitano,
di Michele Schiavone, Segretario Generale del CGIE, dell’on. Gianluca
Miccichè, Assessore all’Emigrazione Politiche sociali e del lavoro della
Regione Sicilia, del Consigliere d’ambasciata Giovanni Maria De Vita,
del Ministero degli Esteri - Direzione Generale per gli italiani
all'estero e le politiche migratorie, di Gaetano Calà, Direttore
nazionale dell’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati (ANFE) e
componente del CGIE, e di Goffredo Palmerini, Presidente
dell’Osservatorio Regionale Emigrazione dell’Abruzzo. Nel pomeriggio di
venerdì 16 dicembre sono arrivati a Mons, da Bruxelles, Raffaele
Napolitano e Gaetano Calà. Giusto il tempo per sistemarsi in albergo e
si parte. Arriviamo intorno alle 6 di sera ad Hornu. All’ingresso del
Centro Culturale c’è Tindaro Tassone, stretto collaboratore di Elio Di
Rupo, consigliere alla presidenza del Partito Socialista belga. Abbiamo
passato con Tindaro e la splendida moglie Maria una bella serata in
amicizia, il giorno precedente, insieme a cena al Tocco d’Italia, un
ottimo ristorante di Mons gestito dai coniugi Claudio e Carmela, coppia
d’origine siciliana che ci ha regalato il meglio della loro sapienza
culinaria. Un grande abbraccio tra Tindaro e Gaetano Calà, sono entrambi
siciliani e grandissimi amici. Hanno collaborato e condiviso importanti
iniziative dell’ANFE in Belgio. Nel Centro Culturale da oltre mezzo
secolo la comunità italiana tiene i suoi incontri di socialità, le
iniziative culturali e ricreative, i corsi di lingua italiana per gli
emigrati. La grande sala si va già riempiendo. Ezio D’Orazio, abruzzese,
project manager della Siemens e una vita nel sindacato e
nell’associazionismo in Belgio, sta sistemando il tavolo dei relatori
con le bandiere d’Italia e Belgio. Alle 18:30 è previsto l’inizio dei
lavori. Qualche minuto prima arriva il sindaco di Mons, Elio Di Rupo,
accolto calorosamente ed affettuosamente dal pubblico. Ha un impegno a
Bruxelles, ma volentieri è venuto a portare il suo saluto, anche se
dovrà lasciare l’incontro. Raffaele Napolitano gli dà subito la parola,
non prima però che la Corale Multiculturale abbia cantato l’inno
d’Italia, tutti in piedi e la mano sul cuore, e un altro brano
tradizionale. Proprio sulle note di questo canto tradizionale è
l’incipit del Presidente Di Rupo. “Quando ho sentito il coro cantare mi
sono commosso - ha dichiarato Di Rupo - perché mi ha ricordato mia
madre. Oggi ricordiamo 70 anni dell’Accordo tra Italia e Belgio. In base
a quell’accordo vennero qui dall’Abruzzo mio padre, mio zio, i miei
fratelli. Sono venuti a lavorare nelle viscere della terra, in
condizioni molto difficili, e hanno resistito perché venivano dalla
miseria. Hanno vissuto nelle baracche, in condizioni che non si possono
scordare. Fino a quel giorno terribile del 1956. Il mio primo ricordo è
quello della tragedia, delle donne che piangevano e gridavano ai
cancelli della miniera. Avevo 5 anni. Da quella data tragica i minatori
sono stati finalmente accettati e rispettati in Belgio. La mia vita è
incredibile. All’università, in politica fino a diventare Primo
Ministro. I giovani non debbono scordare da dove veniamo, le nostre
radici che hanno forgiato il nostro carattere”. Ancora qualche parola di
saluto, poi Di Rupo si congeda.
Raffaele
Napolitano richiama il valore delle manifestazioni commemorative,
ringraziando per l’impegno profuso tutto l’associazionismo italiano in
Belgio e i Comites. Scusa poi l’assenza del Segretario generale del
CGIE, Michele Schiavone, trattenuto a casa da problemi di salute. E
considerando che l’on. Miccichè è ancora in viaggio da Bruxelles, dà la
parola a Gaetano Calà che parla delle condizioni dei nostri emigrati e
del ruolo significativo svolto dall’ANFE dal 1947, quando la deputata
costituente Maria Federici fondò l’associazione. E soffermandosi sulla
tragedia di Marcinelle, che portò al cambiamento radicale delle
condizioni di sicurezza delle norme sul lavoro nelle miniere, Calà reca
una straordinaria testimonianza storica con la lettera a Maria Federici
scritta da una testimone presente a Marcinelle una settimana dopo il
disastro, sulla gravità dei problemi che vivevano le famiglie delle
vittime e degli altri minatori. E ancora altre testimonianze scritte,
tratte dal ponderoso archivio centrale dell’ANFE. Diventeranno, promette
Calà, materiale d’archivio da condividere nei luoghi della Memoria in
Belgio. Chiude poi il suo intervento ricordando Domenico Azzia, il
presidente dell’associazione Sicilia Mondo, un pilastro del mondo
dell’emigrazione, scomparso recentemente.
Chi scrive,
nel suo intervento, ha ringraziato gli emigrati per il servizio e
l’onore che hanno reso all’Italia con il lavoro, la serietà e la dignità
dei comportamenti, con il prestigio e la stima guadagnati sul campo
contro ogni pregiudizio. Il rispetto conquistato in anni di sacrifici, i
successi in tutti i settori della società e in ogni Paese raggiunti
dagli 80 milioni di emigrati italiani e loro discendenti - un’altra
Italia più grande dell’Italia dentro i confini - sono il tributo più
importante reso alla Patria, perché attraverso le loro testimonianza di
vita i nostri emigrati hanno dimostrato quanto valgano davvero gli
italiani, in talento, creatività e capacità d’impresa, ma anche in
politica, nei Parlamenti e nei Governi, come il caso di Elio Di Rupo
insegna, rendendoci orgogliosi della sua opera e dei traguardi
raggiunti. Eppure, questo grande patrimonio di storia della nostra
emigrazione è poco conosciuto, in Italia talvolta trattato con
superficialità dalle istituzioni e dalla classe dirigente. Dunque, ogni
iniziativa che tenda a valorizzare la Memoria è importante, come questo
Anno commemorativo in Belgio. Ma sarà necessario che la storia
dell’emigrazione italiana diventi materia da studiare nelle scuole
italiane, che diventi patrimonio di conoscenza di tutti gli italiani,
entrando finalmente nella Storia d’Italia. Questo deve essere
l’obiettivo a cui tendere, anche per onorare degnamente la memoria delle
136 vittime italiane dell’8 agosto 1956 e di tutte le vittime della
tragedia di Marcinelle.
Il
Consigliere Giovanni Maria De Vita nel suo intervento in rappresentanza
del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale per gli Italiani
all’Estero, riprendendo l’intervento precedente, annota come non solo la
classe dirigente abbia scarsa conoscenza della storia dell’emigrazione,
ma il fenomeno è latamente diffuso. E’ una situazione che deve
preoccupare. E deve essere risolta, facendo diventare la storia
dell’emigrazione un patrimonio comune per tutti gli italiani. Dunque,
ogni iniziativa utile a diffonderne la conoscenza è vista dal Ministero
con interesse e favore. Come il progetto che fra poco verrà illustrato,
con la realizzazione di una storia dell’emigrazione a fumetti per le
scuole, è un’iniziativa importante che va in questo senso, avvicinando i
ragazzi alla conoscenza del fenomeno migratorio italiano che per un
secolo e mezzo ha toccato tanti milioni di connazionali. Il sostegno del
Ministero vuole essere un segno di doverosa attenzione al progetto e
alle sue finalità.
Napolitano
invita quindi a parlare Gianluca Miccichè, Assessore all’Emigrazione e
al Lavoro della Regione Sicilia. L’uomo di governo siciliano tratteggia
con spunti molto interessanti la vicenda migratoria siciliana, quella
storica e anche l’attuale, che porta all’estero tanti giovani per
ragioni certamente diverse che nel passato. Illustra quindi le politiche
che la Regione sta seguendo nel settore e, con riferimento ad un
recente convegno tenutosi a Palermo con la partecipazione delle maggiori
associazioni operanti nel campo dell’emigrazione, ha tenuto a ribadire
gli impegni assunti in quella sede specie per ridare all’associazionismo
l’attenzione che merita, in termini di risposte e di politiche mirate. A
cominciare dalla Consulta dell’Emigrazione siciliana che presto sarà
convocata, dopo anni di inattività. Con la stessa Consulta, e con le
associazioni, sarà inoltre valutato come modificare al meglio la legge
55 del 1980, che regola il settore. Viva soddisfazione suscita
l’intervento tra gli esponenti dell’associazionismo siciliano presenti.
Dopo gli
interventi dei relatori l’artista Antonio Cossu, figlio d'un emigrato
sardo, presenta il progetto dell'opera a fumetti “Storia
dell’immigrazione italiana in Belgio”, illustrando gli studi dell’opera,
i bozzetti, il linguaggio comunicativo, il più adatto ai ragazzi e
giovani studenti. Sicuramente ha fatto colpo la qualità e l’espressività
del disegno, cifra dell’artista e del suo valore. Il progetto si
svilupperà nell’arco di due anni. Dopo la consegna dei riconoscimenti
alle associazioni dell’emigrazione operanti in Belgio - una stampa
autografa di Antonio Cossu con un’immagine che simboleggia l’essenza del
progetto -, una festosa conviviale intrattiene i presenti. Alla mescita
gli Alpini di Hornu e dintorni. Nel corso della serata sono stati
raccolti fondi da destinare alle zone terremotate del centro Italia,
colpite dai sismi del 24 agosto e del 26 e 30 ottobre 2016.
Sabato
mattina, 17 dicembre, Tindaro Tassone ci porta con la sua auto a
Marcinelle. Non può mancare l’omaggio alle vittime della tragedia.
Gianluca Miccichè, Gaetano Calà e chi scrive compongono la delegazione.
Alle 11 ci attendono alla miniera di Bois du Cazier. Arriviamo puntuali.
Il cielo è plumbeo, sebbene non piova. L'accoglienza al Bois du Cazier
la fa Alain Forti, Soprintendente (Conservateur) del complesso minerario
ora diventato un grande museo patrimonio dell’Unesco. E’ grazie alle
lotte degli ex minatori se la miniera di Marcinelle non è diventata un
centro commerciale, come s'intendeva trasformarla. Dal loro impegno
generò la proposta all'Unesco per il riconoscimento come Patrimonio
dell'Umanità, concesso nel 2012. Il dr. Forti ci illustra la storia del
tragico evento dell’8 agosto di 60 anni fa. Arrivati dai dintorni sono
presenti anche alcuni esponenti dell’associazionismo italiano. Ci
fermiamo davanti al Monumento alle vittime, un enorme parallelepipedo di
marmo bianco con incisi i 262 nomi dei morti nel disastro. Lo ha donato
la città di Carrara. C’è con noi in divisa da lavoro Uberto Ciacci,
originario di Pesaro, ex minatore 81enne scampato per un caso al
disastro. L’Assessore Miccichè, insieme alla delegazione, depone un
mazzo di fiori tricolore, bianco rosso e verde, sotto il cippo marmoreo
delle vittime. Uberto Ciacci ci racconta la miniera, le terribili
condizioni di lavoro, il caldo infernale e il pericolo di grisù. Si
scavava supini, talvolta in cunicoli non più alti di 40 centimetri. Ci
guida, ci spiega tutte le fasi operative nella miniera, quando si
entrava al lavoro e quando neri di carbone se ne usciva esausti a fine
turno, avendo magari lavorato a più di mille metri di profondità. La
visita è una via Crucis, con la stazione più dolorosa nella stanza del
Memoriale, con le foto dei 262 minatori morti nella tragedia. Ce li
indica, Urbano Ciacci, con le lacrime agli occhi. Ora, come altri suoi
compagni dell'Associazione ex Minatori di Marcinelle, Urbano sente ogni
giorno l'obbligo morale di guidare i visitatori, spiegare e raccontare,
perché la terribile storia della tragedia della miniera di Bois du
Cazier - una delle pagine nera dell'emigrazione - sia sempre presente
nella Memoria degli italiani e dell'intera umanità. Mi fermo a meditare
sulle vittime, sul tributo di 136 italiani, di cui 60 abruzzesi. Grande
la dimensione del sacrificio abruzzese. Le vittime in gran parte
originarie di Manoppello, Lettomanoppello, Tuttivalignani,
Roccascalegna, Farindola. Una tragedia sul lavoro che denunciò la
sommarietà se non l’assenza delle condizioni di sicurezza in miniera, la
lacunosità della previdenza e dell’assistenza ai lavoratori, il
vergognoso contratto tra i due Stati, per il quale i lavoratori
destinati in miniera avevano rilevanza solo per assicurare le forniture
di carbone all’Italia.
Quella data e
quella tragedia sono ora riconosciute nella memoria collettiva del
nostro Paese come Giornata del Lavoro italiano nel mondo. Tante cose
sono cambiate da quegli anni per i nostri emigrati in Belgio. Oggi il
figlio d’un emigrato abruzzese di San Valentino, in provincia di
Pescara, è stato Primo Ministro del Belgio ed è una figura istituzionale
di primo piano in Europa. Elio Di Rupo è motivo d’orgoglio per l’Italia
e per l’Abruzzo, terra dei suoi padri. Nel locale delle testimonianze,
adiacente al Memoriale, sono apposte molte targhe commemorative. Ci
soffermiamo davanti a quelle apposte dalla Regione Sicilia, dalla
Regione Abruzzo e dall’ANFE che tanto operò nei giorni della tragedia in
aiuto alle famiglie delle vittime. La nostra visita si conclude, con un
abbraccio collettivo e liberatorio dell’emozione. Ognuno prende la sua
destinazione. Ho il volo per Roma a tarda sera, dall’aeroporto di
Charleroi. C’è tempo di passare il pomeriggio con un coetaneo e compagno
di scuola: Francesco, emigrato giovanissimo da Paganica (L’Aquila) qui
nei pressi di Charleroi. Con lui e sua moglie Clelia raggiungiamo Dino e
Giovina, altra coppia di amici aquilani. Si festeggia con un’agape
fraterna il compleanno di Dino. Partito da Camarda, un paesino alle
falde del Gran Sasso, Dino venne qui a lavorare. Fino a realizzare una
catena di distributori di benzina “Scipioni” e un florido commercio di
vari altri combustibili. Un’impresa condotta ora dai figli. Passiamo in
allegria un magnifico pomeriggio. Poi il volo, quasi in orario. E
l’arrivo all’Aquila, a notte inoltrata. Gelida, ma con un cielo puro,
trapunto di stelle splendenti.
Le torri dei pozzi della miniera
Nella stanza del Memoriale delle vittime
Davanti al monumento alle vittime di Mrcinelle
Monumento alle vittime di Mrcinelle
Goffredo Palmerini- Elio Di Rupo
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