Gerardo Perrotta
Esiste
un legame sempre più stretto tra social e letteratura, dagli
esperimenti di riscrittura di classici della letteratura su Twitter fino
all’uso dei social come canali di promozione di determinati libri.
Di
questo fenomeno e della sua evoluzione nel tempo, abbiamo parlato con
Giulia Ciarapica, blogger che, negli anni, ha saputo costruirsi una
certa reputazione sui social proprio grazie al suo impegno a favore
della letteratura e della lettura.
Oltre
a essere una blogger, lei collabora con vari portali culturali, da
Solilibri a Ghigliottina.it fino al più generalista The Fielder,
conoscendo da vicino realtà tra loro molto diverse. Come valuta i
differenti modi di occuparsi di letteratura sul web?
Fino
a oggi ho avuto modo di occuparmi di letteratura su vari portali, come
sottolineava lei, e devo dire che, in ogni caso, ho sempre riscontrato
una grande libertà di opinione e di espressione. Credo però che ci sia
una differenza sostanziale tra le recensioni pubblicate su giornali come
Ghigliottina.it, in cui gioco forza il limite di spazio imposto non
consente sempre di approfondire l’analisi del testo, e gli articoli che
posso, ad esempio, pubblicare sul mio blog, in quanto spazio
autogestito.
Sololibri, Ghigliottina.it e The
Fielder – così come il blog Una casa sull’albero con cui ho iniziato da
poco una bella collaborazione – sono portali che mirano innanzitutto –
ognuno a suo modo, a seconda della linea del magazine o del giornale –
alla qualità di ciò che viene pubblicato. La prima cosa che secondo me
dovrebbe essere considerata è l’attenzione al dettaglio, all’analisi,
perché il lettore viene colpito innanzitutto dall’opinione che il
blogger o il giornalista ha di quel determinato libro e non si dovrebbe
mai sacrificare – come vedo spesso su molti blog – il giudizio critico
per l’enunciazione della trama.
Ghigliottina.it
e Sololibri hanno una linea molto simile: lì mi dedico alle ultime
uscite, pubblico interviste agli autori e articoli di letteratura. Con
The Fielder, invece, che è un magazine che ha una linea editoriale e
politica ben precisa, posso anche analizzare testi di non recente
uscita. Mi è capitato di recensire anche L’innocente di D’Annunzio o Il mio cuore è più stanco della mia voce di Oriana Fallaci, o ancora Pulizia di classe: il massacre di Kayn di Viktor Zaslavskij.
A proposito di web, in cosa si differenzia rispetto alle pagine culturali dei giornali cartacei? Cosa ha da offrire in più?
Il
blog è uno spazio autogestito e dunque è possibile un tentativo di
critica letteraria vera e propria; ha delle regole meno rigide, più
flessibili riguardo a ciò che viene pubblicato, e questo, soprattutto se
parliamo di letteratura, aiuta moltissimo nell’analisi del testo.
Insisto
sempre molto sulla questione “critica letteraria” perché, secondo me, è
qualcosa che stiamo perdendo. Provare a fare critica letteraria
comporta necessariamente uno sforzo maggiore, perché significa non solo
esporsi di più – nel bene e anche nel male – ma significa anche chiamare
a raccolta il proprio bagaglio culturale, attingere dalle opere lette,
dai classici, da ciò che abbiamo appreso e studiato, per approfondire
aspetti interessanti del libro in questione.
È
un lavoro indubbiamente faticoso e più “rischioso”, ma è anche più
bello. Il blog può diventare la nuova casa della critica letteraria
digitale, la critica letteraria 2.0.
Negli
ultimi tempi, si sta rinsaldando il legame tra social e letteratura,
eppure non mancano le voci critiche. Da blogger molto attiva su questi
canali, quali sono, secondo lei, i punti di forza della tendenza a
usarli per parlare di letteratura?
Di
questo legame ho parlato anche al Festival Internazionale del
Giornalismo di Perugia lo scorso aprile, insieme a Vera Gheno, Loredana
Lipperini, Maria Anna Patti di CasaLettori e Nadia Terranova. Ho ideato
questo panel di discussione proprio perché credo che la letteratura,
soprattutto oggi, passi anche attraverso i social. Io utilizzo
moltissimo Twitter e Facebook per parlare di libri, per consigliarli,
per condividere ovviamente i miei articoli. Il mio “pubblico” di lettori
l’ho creato grazie ai social network, attraverso cui posso esprimere le
mie opinioni e farmi leggere da molti altri appassionati. Anche se devo
dire che le più grandi soddisfazioni arrivano quando gente che non
aveva quasi mai aperto un libro in vita sua o che per qualche motivo
aveva smesso di leggere, mi scrive dicendomi che grazie ai miei consigli
di lettura e alle recensioni ha ritrovato la passione di un tempo.
Anche
rispetto all’attività di account come @CasaLettori su Twitter, o di
tutti gli scrittori, giornalisti e blogger che pure solo con 140
caratteri consigliano un libro, esprimono la loro opinione o
semplicemente postano una foto del loro “libro sul comodino”, i punti di
forza sono molteplici. Innanzitutto si parla di libri, che è
l’obiettivo principale; si possono creare dei veri e propri gruppi o
comunità (penso all’esperimento grandioso degli amici di Modus legendi
su Facebook) in cui i lettori si scambiano opinioni e consigli; si può
entrare in contatto diretto (e immediato, perché basta un click) con
l’autore, fargli delle domande, interagire.
C’è
chi dice che con i social la letteratura venga in qualche modo
“declassata”, che perda, in sostanza, la sua aura di nobiltà. Io credo
che non sia certo l’uso dei social network a squalificare la
letteratura, anzi. Questi sono solo strumenti ulteriori per discutere di
qualcosa di cui si parla ancora troppo poco.
Tra
le azioni strategiche tentate soprattutto su Facebook e Twitter per
promuovere la lettura in generale, o un libro in particolare, c’è
l’abbinamento della citazione a una fotografia della cover. Ci potranno
essere strade alternative? Pensiamo, ad esempio, alla creazione di
contenuti ad hoc su Facebook…
Certo,
di strade alternative ce ne sono, come ad esempio la creazione di un
gruppo di lettura su Facebook, in cui ogni mese si parli o si discuta di
un libro in particolare, oppure creando dei gruppi aperti al pubblico
in cui ci si scambiano consigli e recensioni di vario tipo. A mio avviso
la cosa principale sarebbe, in ogni caso, stimolare il pubblico a
esprimere opinioni personali (mirate, sensate e inerenti al libro,
ovviamente) più che la citazione in sé. Oppure citare una parte del
libro e “analizzarla” brevemente. La foto va più che bene, ma per
rendere “originale” e soprattutto per incuriosire chi vede quel post,
occorre aggiungere qualcosa di personale, magari anche provocatorio,
perché no. Tutto questo è possibile su Facebook o comunque su
piattaforme che non costringano il lettore a 140 caratteri, come
Twitter.
In quel caso è ovvio che il commento
si riduce a poche parole, quindi conviene citare un passo breve dal
libro, magari un’espressione concisa ma significativa che possa
ugualmente incuriosire.
Complice
Instagram, una delle mode del momento è postare foto di libri in vari
set adeguati o ai colori della copertina o al tema principale del libro
(un must è la foto di quest’ultimo con annessa una tazza di caffè o di
tè). Non si rischia così di banalizzare il tutto in funzione di una mera
rappresentazione iconografica?
Sì,
questo è vero. L’ho fatto anche io e sinceramente mi rendo conto che il
libro, al netto di una foto di quel tipo, può risultare quasi
secondario.
Siamo attirati dalle mode, questo è
palese, ma se da una parte proprio le mode aiutano a divulgare qualcosa
– come i libri – di cui ancora si parla poco, dall’altra il loro
inseguimento a tutti i costi rischia, come diceva lei, di banalizzare il
contenuto stesso, che è l’oggetto, lo scopo principale della
divulgazione.
Quando posto le foto su Instagram
ad esempio, cerco sempre di non ripetermi, cerco – nei limiti del
possibile – di inventare soluzioni nuove, accattivanti, che colpiscano
l’occhio sì, ma che, allo stesso tempo, permettano di focalizzare sempre
l’attenzione sul libro. Inserisco pochi elementi all’interno della
foto, spesso decido di “metterci la faccia”, perché secondo me è giusto
anche questo. Io mi prendo la responsabilità – e di responsabilità ne
abbiamo tanta noi – di suggerirti un libro, quindi è giusto che tu mi
possa vedere, che tu abbia, in qualche modo, anche un contatto meno
indiretto con me.
Mi viene in mente l’esperimento che ho fatto con la foto del libro Adua
di Igiaba Scego. Ricordo che per promuovere quel libro utilizzai la sua
“copertina interattiva”. Esistono libri che possono diventare dei
“libri persona” perché, come Adua, hanno disegnato sulla cover
il volto di una persona. Io presi la palla al balzo e lanciai l’Adua
selfie: metà del mio volto andava a combaciare perfettamente con la metà
del viso di Adua in copertina. Fu un grande successo, l’autrice ne fu
entusiasta e la Giunti (editore del libro, ndr) lanciò un # su Twitter
per rilanciare l’iniziativa.
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