mercoledì 7 settembre 2016

Cosa possono fare i social per la letteratura? Intervista a Giulia Ciarapica - Gerardo Perrotta



Gerardo Perrotta
Esiste un legame sempre più stretto tra social e letteratura, dagli esperimenti di riscrittura di classici della letteratura su Twitter fino all’uso dei social come canali di promozione di determinati libri.
Di questo fenomeno e della sua evoluzione nel tempo, abbiamo parlato con Giulia Ciarapica, blogger che, negli anni, ha saputo costruirsi una certa reputazione sui social proprio grazie al suo impegno a favore della letteratura e della lettura.
Oltre a essere una blogger, lei collabora con vari portali culturali, da Solilibri a Ghigliottina.it fino al più generalista The Fielder, conoscendo da vicino realtà tra loro molto diverse. Come valuta i differenti modi di occuparsi di letteratura sul web?
Fino a oggi ho avuto modo di occuparmi di letteratura su vari portali, come sottolineava lei, e devo dire che, in ogni caso, ho sempre riscontrato una grande libertà di opinione e di espressione. Credo però che ci sia una differenza sostanziale tra le recensioni pubblicate su giornali come Ghigliottina.it, in cui gioco forza il limite di spazio imposto non consente sempre di approfondire l’analisi del testo, e gli articoli che posso, ad esempio, pubblicare sul mio blog, in quanto spazio autogestito.
Sololibri, Ghigliottina.it e The Fielder – così come il blog Una casa sull’albero con cui ho iniziato da poco una bella collaborazione – sono portali che mirano innanzitutto – ognuno a suo modo, a seconda della linea del magazine o del giornale – alla qualità di ciò che viene pubblicato. La prima cosa che secondo me dovrebbe essere considerata è l’attenzione al dettaglio, all’analisi, perché il lettore viene colpito innanzitutto dall’opinione che il blogger o il giornalista ha di quel determinato libro e non si dovrebbe mai sacrificare – come vedo spesso su molti blog – il giudizio critico per l’enunciazione della trama.
Ghigliottina.it e Sololibri hanno una linea molto simile: lì mi dedico alle ultime uscite, pubblico interviste agli autori e articoli di letteratura. Con The Fielder, invece, che è un magazine che ha una linea editoriale e politica ben precisa, posso anche analizzare testi di non recente uscita. Mi è capitato di recensire anche L’innocente di D’Annunzio o Il mio cuore è più stanco della mia voce di Oriana Fallaci, o ancora Pulizia di classe: il massacre di Kayn di Viktor Zaslavskij.
A proposito di web, in cosa si differenzia rispetto alle pagine culturali dei giornali cartacei? Cosa ha da offrire in più?
Il blog è uno spazio autogestito e dunque è possibile un tentativo di critica letteraria vera e propria; ha delle regole meno rigide, più flessibili riguardo a ciò che viene pubblicato, e questo, soprattutto se parliamo di letteratura, aiuta moltissimo nell’analisi del testo.
Insisto sempre molto sulla questione “critica letteraria” perché, secondo me, è qualcosa che stiamo perdendo. Provare a fare critica letteraria comporta necessariamente uno sforzo maggiore, perché significa non solo esporsi di più – nel bene e anche nel male – ma significa anche chiamare a raccolta il proprio bagaglio culturale, attingere dalle opere lette, dai classici, da ciò che abbiamo appreso e studiato, per approfondire aspetti interessanti del libro in questione.
È un lavoro indubbiamente faticoso e più “rischioso”, ma è anche più bello. Il blog può diventare la nuova casa della critica letteraria digitale, la critica letteraria 2.0.
Negli ultimi tempi, si sta rinsaldando il legame tra social e letteratura, eppure non mancano le voci critiche. Da blogger molto attiva su questi canali, quali sono, secondo lei, i punti di forza della tendenza a usarli per parlare di letteratura?
Di questo legame ho parlato anche al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia lo scorso aprile, insieme a Vera Gheno, Loredana Lipperini, Maria Anna Patti di CasaLettori e Nadia Terranova. Ho ideato questo panel di discussione proprio perché credo che la letteratura, soprattutto oggi, passi anche attraverso i social. Io utilizzo moltissimo Twitter e Facebook per parlare di libri, per consigliarli, per condividere ovviamente i miei articoli. Il mio “pubblico” di lettori l’ho creato grazie ai social network, attraverso cui posso esprimere le mie opinioni e farmi leggere da molti altri appassionati. Anche se devo dire che le più grandi soddisfazioni arrivano quando gente che non aveva quasi mai aperto un libro in vita sua o che per qualche motivo aveva smesso di leggere, mi scrive dicendomi che grazie ai miei consigli di lettura e alle recensioni ha ritrovato la passione di un tempo.
Anche rispetto all’attività di account come @CasaLettori su Twitter, o di tutti gli scrittori, giornalisti e blogger che pure solo con 140 caratteri consigliano un libro, esprimono la loro opinione o semplicemente postano una foto del loro “libro sul comodino”, i punti di forza sono molteplici. Innanzitutto si parla di libri, che è l’obiettivo principale; si possono creare dei veri e propri gruppi o comunità (penso all’esperimento grandioso degli amici di Modus legendi su Facebook) in cui i lettori si scambiano opinioni e consigli; si può entrare in contatto diretto (e immediato, perché basta un click) con l’autore, fargli delle domande, interagire.
C’è chi dice che con i social la letteratura venga in qualche modo “declassata”, che perda, in sostanza, la sua aura di nobiltà. Io credo che non sia certo l’uso dei social network a squalificare la letteratura, anzi. Questi sono solo strumenti ulteriori per discutere di qualcosa di cui si parla ancora troppo poco.
Cosa possono fare i social per la letteratura? Intervista a Giulia Ciarapica
Tra le azioni strategiche tentate soprattutto su Facebook e Twitter per promuovere la lettura in generale, o un libro in particolare, c’è l’abbinamento della citazione a una fotografia della cover. Ci potranno essere strade alternative? Pensiamo, ad esempio, alla creazione di contenuti ad hoc su Facebook…
Certo, di strade alternative ce ne sono, come ad esempio la creazione di un gruppo di lettura su Facebook, in cui ogni mese si parli o si discuta di un libro in particolare, oppure creando dei gruppi aperti al pubblico in cui ci si scambiano consigli e recensioni di vario tipo. A mio avviso la cosa principale sarebbe, in ogni caso, stimolare il pubblico a esprimere opinioni personali (mirate, sensate e inerenti al libro, ovviamente) più che la citazione in sé. Oppure citare una parte del libro e “analizzarla” brevemente. La foto va più che bene, ma per rendere “originale” e soprattutto per incuriosire chi vede quel post, occorre aggiungere qualcosa di personale, magari anche provocatorio, perché no. Tutto questo è possibile su Facebook o comunque su piattaforme che non costringano il lettore a 140 caratteri, come Twitter.
In quel caso è ovvio che il commento si riduce a poche parole, quindi conviene citare un passo breve dal libro, magari un’espressione concisa ma significativa che possa ugualmente incuriosire.
Complice Instagram, una delle mode del momento è postare foto di libri in vari set adeguati o ai colori della copertina o al tema principale del libro (un must è la foto di quest’ultimo con annessa una tazza di caffè o di tè). Non si rischia così di banalizzare il tutto in funzione di una mera rappresentazione iconografica?
Sì, questo è vero. L’ho fatto anche io e sinceramente mi rendo conto che il libro, al netto di una foto di quel tipo, può risultare quasi secondario.
Siamo attirati dalle mode, questo è palese, ma se da una parte proprio le mode aiutano a divulgare qualcosa – come i libri – di cui ancora si parla poco, dall’altra il loro inseguimento a tutti i costi rischia, come diceva lei, di banalizzare il contenuto stesso, che è l’oggetto, lo scopo principale della divulgazione.
Quando posto le foto su Instagram ad esempio, cerco sempre di non ripetermi, cerco – nei limiti del possibile – di inventare soluzioni nuove, accattivanti, che colpiscano l’occhio sì, ma che, allo stesso tempo, permettano di focalizzare sempre l’attenzione sul libro. Inserisco pochi elementi all’interno della foto, spesso decido di “metterci la faccia”, perché secondo me è giusto anche questo. Io mi prendo la responsabilità – e di responsabilità ne abbiamo tanta noi – di suggerirti un libro, quindi è giusto che tu mi possa vedere, che tu abbia, in qualche modo, anche un contatto meno indiretto con me.
Mi viene in mente l’esperimento che ho fatto con la foto del libro Adua di Igiaba Scego. Ricordo che per promuovere quel libro utilizzai la sua “copertina interattiva”. Esistono libri che possono diventare dei “libri persona” perché, come Adua, hanno disegnato sulla cover il volto di una persona. Io presi la palla al balzo e lanciai l’Adua selfie: metà del mio volto andava a combaciare perfettamente con la metà del viso di Adua in copertina. Fu un grande successo, l’autrice ne fu entusiasta e la Giunti (editore del libro, ndr) lanciò un # su Twitter per rilanciare l’iniziativa.
[I servizi di Sul Romanzo Agenzia Letteraria: Editoriali, Web ed Eventi.

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