mercoledì 16 agosto 2017

Il ddl Concorrenza è legge – Una vittoria per l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada e per la Carta di Bologna






Il ddl Concorrenza è legge – Una vittoria per l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada
e per la Carta di Bologna
La lunga storia dell’AIFVS per garantire alle vittime della strada un equo risarcimento


Non è stato facile contrastare il connubio tra i poteri forti a danno dei più deboli: le vittime. Era necessario smontare le pregiudizievoli considerazioni dei politici che per sostenere l’interesse di profitto privato delle assicurazioni contrabbandavano come interesse sociale l’abbassamento dei risarcimenti alle vittime, ritenendolo necessario per diminuire le tariffe assicurative. Ci siamo impegnati a chiarire che la valutazione delle tariffe, rappresentando un introito, va correlata agli utili assicurativi, che essendo alti possono già permettere l’abbassamento delle tariffe, ritenuto di interesse sociale; i risarcimenti, invece, hanno a che fare con il danno alla persona, che è irreversibile, ed il loro abbassamento non provocherebbe la diminuzione del danno. Pertanto il risarcimento del danno alla persona non si tocca, e per esso abbiamo continuato a chiedere l’osservanza dei parametri delle Tabelle del Tribunale di Milano. Una richiesta che ha trovato sostegno con la creazione di un vasto movimento, centrato sulla Carta di Bologna dell’11 gennaio 2014, un documento contenente le richieste dei danneggiati per la tutela dei loro diritti.

È stata una lunga battaglia, fatta di convegni, rapporti con i politici, partecipazione alle audizioni, diffusione di comunicati alla stampa ed ai politici anche tramite tutte le sedi dell’AIFVS, ed addirittura pubblicazione a pagamento di una lettera su La Repubblica il 12 settembre 2012! Una battaglia iniziata dall’AIFVS ancor prima, poiché il 3 agosto del 2011 il Governo aveva varato uno schema di tabelle che dimezzava i risarcimenti alle vittime della strada rispetto alle Tabelle di Milano, riconosciute dalla giurisprudenza quale parametro di riferimento nazionale. A nome delle vittime della strada abbiamo fatto sentire il nostro dissenso, ed il Parlamento ha rimediato a fine ottobre con la votazione a larghissima maggioranza della Mozione Pisicchio, impegnando il Governo “a ritirare lo schema di decreto e a definire come valido criterio di riferimento i valori previsti nelle Tabelle del Tribunale di Milano”.

La decisione della Camera non era per niente scontata, tant’è che nel 2012, nei successivi incontri con il sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico, prof. De Vincenti, riscontravamo sempre l’orientamento a sostenere gli interessi delle Assicurazioni e non le ragioni delle Vittime. Ed anche il Ministro alla Salute Balduzzi ha tentato di approvare uno schema di decreto contrario ai diritti delle vittime, tentativo contrastato negli incontri con il Capo di Gabinetto, il consigliere Guido Carpani, e nell’ulteriore incontro del 16 aprile 2013, a cui partecipò una delegazione dell’Ania, ci siamo opposti ad un accordo al ribasso in danno delle vittime, bloccando l’approvazione del decreto.

Nell’audizione del 14 novembre 2013 presso la VI Commissione Finanze della Camera, tenuto conto di fuorvianti comparazioni, abbiamo dimostrato come il risarcimento del danno alla persona in Italia si collochi in una posizione mediana. Nelle successive audizioni, del 12 giugno 2015 presso la Commissione Finanze della Camera riunita con la X^ Commissione delle Attività Produttive, dell’11 novembre 2015 con la Commissione X^ Industria del Senato sono state ancora chiarite e documentate le ambiguità del sistema assicurativo, frutto della creazione della “Carta di Bologna”, ufficializzata come documento base del movimento per un mercato assicurativo concorrenziale e in grado di garantire al danneggiato la possibilità di scegliere il proprio medico, il proprio riparatore e di ottenere un giusto ed equo risarcimento. Il movimento ha riscontrato l’attenzione dei politici, sostenendo la possibilità di proposte di legge elaborate dal basso, che tengano conto dei diritti dei danneggiati e non degli interessi dei poteri forti. Da parte nostra il riferimento era sia al tema delle pene con misure che ne assicurino l’espiazione, e sia al tema del risarcimento, con l’indicazione delle Tabelle di Milano.

I risultati ottenuti con il ddl concorrenza il 2 agosto 2017 rappresentano per l’AIFVS una vittoria, poiché scongiurano l’abbassamento dei risarcimenti per le vittime della strada ed annullano le richieste riduttive dell’Ania, stabilendo per legge che “la tabella unica nazionale è redatta, tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità”. Un’affermazione che rimanda alla Tabella del Tribunale di Milano, i cui valori monetari sono ritenuti congrui dalla Suprema Corte di Cassazione. Il riconoscimento dei diritti delle vittime da parte dei decisori, ottenuto con faticoso impegno, gratifica l’AIFVS degli sforzi compiuti e sollecita tutti noi a continuare perché gli ulteriori sviluppi siano sempre a garanzia dei diritti delle vittime.

A tal fine dobbiamo vigilare perché il Ministero dello Sviluppo economico rispetti rigorosamente il dettato normativo senza farsi influenzare dalle numerose pressioni dei potenti gruppi assicurativi che, ora come allora, possono continuare nella loro azione, anche alla luce della lettura di recenti comunicati stampa. Auspichiamo, inoltre, che la medicina legale indipendente e non soggetta alle pressioni delle mandanti contribuisca all’elaborazione di tabelle medico legali aggiornate, che non ubbidiscano a freddi meccanicismi ma tengano conto delle reali sofferenze delle Vittime della Strada.

Giuseppa Cassaniti Mastrojeni
Presidente AIFVS
7/08/2017


domenica 13 agosto 2017

LUCI E OMBRE NEI PLEBISCITI di Mario Setta





LUCI E OMBRE NEI PLEBISCITI
Il libro di Enzo Fimiani, una novità nella ricerca storica

di Mario Setta *

“La storia è divertente” è l’affermazione di un grande storico, fucilato il 16 giugno 1944. Marc Bloc, ebreo. Ma afferma anche che un “bravo storico” deve comprendere e non giudicare, perché “il diabolico nemico della storia vera e propria è la mania del giudizio”. Ci sono libri che si leggono e libri che si studiano. Questo è un libro in cui “lo storico analizza”, per restare nel linguaggio di Bloc. E analizza con una acribia che non scoraggia, ma incanta, dal momento che un quarto del libro è affidato alle note e ai i riferimenti bibliografici. Non è solo un libro “divertente”, perché la storia sarebbe divertente, ma anche un libro enigmatico fin dal titolo, virgolettato, che non può non richiamare un detto storico: «L’unanimità più uno».

“Locuzione all’apparenza paradossale”, viene ritenuta dall’autore, ma posta come titolo del libro sollecita la curiosità e l’interesse, ricercandone il senso profondo. Una frase, di cui si svela l’autore verso la fine del libro e se ne dibatte forma e sostanza, sintetizzando e focalizzando così la tematica di “plebisciti e potere”, il sottotitolo del libro. Il plebiscito come idea e come storia è il “fil rouge” del libro. Un filo di Arianna che attraversa la storia di due secoli dell’Europa, dal 1789 ad oggi. Già dal primo capitolo, Enzo Fimiani dichiara che la sua è “una proposta inedita nel panorama editoriale non solo italiano, ma anche europeo, primo esperimento di ricostruire tutta intera […] la storia dell’istituto del plebiscito” e spera sia utile “non solo ai cosiddetti specialisti, bensì anche ai cittadini più o meno colti, specie giovani studenti”.

Interessante e in qualche modo avvincente il linguaggio, sempre scorrevole e spontaneo, come l’uso, di tanto in tanto, dell’aggettivo “scivoloso”, per indicare che i plebisciti nascono con l’idea di migliorare le condizioni del popolo, di servirlo, mentre poi lo asserviscono e lo schiavizzano. È notorio che la tematica risale, teoricamente, al periodo dell’illuminismo, tanto che Voltaire, in una lettera del 1776 scrive: “sont les plébiscites qui font les lois”. Ma la pratica trova la sua espressione nel periodo della Rivoluzione Francese. Certamente il giuramento nella sala della Pallacorda, il 20 giugno 1789, con cui i rappresentanti degli Stati Generali si autoproclamano assemblea nazionale, rappresenta una data imprescindibile nella storia umana. Riconoscendo la propria maggioranza numerica, 578 (borghesia) contro 561 (nobiltà e clero), il terzo stato assume il ruolo di volano. Il 9 luglio nasce l’Assemblea nazionale costituente. Una rivoluzione che si compie, senza spargimento di sangue. Il 26 agosto 1789 viene approvata e pubblicata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. Inizia un decennio in cui il sangue sgorga da ogni parte, fino al colpo di stato di Napoleone, il 18 brumaio 1799 (9 novembre).

Sul fil rouge, Fimiani rileva una doppia tipologia della dimensione plebiscitaria e ciascuna, a sua volta, doppia, una specie di Giano bifronte, di teoria e prassi. La prima tipologia è data dal rapporto dialettico tra Potere e Popolo, la seconda tra Diritto e Suffragio. E sempre sul fil rouge ci conduce attraverso le varie tappe delle consultazioni, cominciando dalla prima, che avviene nel 1793 per approvare la Costituzione Repubblicana giacobina. I risultati vengono proclamati il 20 agosto e assegnano il 99% ai Sì (Oui). La Costituzione dell’anno III, approvata il 22 agosto 1795, viene sottoposta al plebiscito e il risultato viene proclamato il 23 settembre. Non ci fu grande partecipazione e il ricorso al plebiscito assume la funzione di appello al popolo (appel au peuple). Intanto nel panorama franco-europeo appare la figura di Napoleone Bonaparte, in precedenza arrestato come giacobino, ma personaggio di rilievo per le sue vittoriose battaglie nella campagna d’Italia. E proprio in Italia il plebiscito assume valore di riscatto nazionale. In otto anni, per nove volte, tra i confini di piccoli stati, gli italiani esprimono la loro volontà. In Francia, sotto Napoleone, l’“appel au Peuple” diventa una prassi normale e lo è anche quando appare il nipote del primo, Napoleone III.  Criticando l’appello al popolo di Napoleone III, Alexis de Tocqueville scrive: “Mai a una nazione fu offerta più odiosa derisione”.

“In Italia, tra il 1859 e il 1870, - si legge nel testo di Fimiani, - si recò nei seggi a votare un totale di quasi tre milioni e ottocentomila italiani, abitanti (maschi) degli Stati preunitari. Nell’insieme dei ben diciannove plebisciti risorgimentali tra 1848 e 1870, il totale dei votanti ascese a 4.600.000. Quella massa di italiani ‘plebiscitanti’ in stragrande maggioranza, non avrebbe mai più messo piede in un seggio elettorale lungo tutta la propria vita restante”. Nel Novecento il ricorso ai plebisciti non si attenua. In Francia, Italia, Germania, Spagna, Grecia, e altre nazioni europee il plebiscito assume importanza capitale a livello politico-elettorale. Sotto il fascismo il primo plebiscito avviene nel 1929, il 24 marzo, alla scadenza della prima legislatura, con i Sì che raggiunsero il 98.33%. Il successivo plebiscito ebbe luogo dopo 5 anni precisi, il 25 marzo 1934, con un risultato del 99,84% di Sì.  In Germania, l’anno prima, il 1933, “le votazioni del 5 marzo - scrive Fimiani -  apparvero dotate di chiari connotati da plebiscito”. Ed è in Germania che viene approvata una legge ad hoc sul plebiscito (“Gesetz über Volksabstimmung”). All’ultimo capitolo del libro, “Le interpretazioni”, l’autore cerca di puntualizzare le ragioni del lavoro svolto, sottolineando il concetto originario del plebiscito “un portato, non lo si dimentichi, dell’allargamento della sfera politica e, in sostanza, di una sua ‘democratizzazione’”.

A conclusione di questa mia recensione un po’ sbrigativa, ma “amichevole”, per il fatto che sono amico da anni dell’autore e di cui apprezzo lo sforzo che investe sul suo lavoro, cerco di soffermarmi sulla frase del titolo del libro: “L’unanimità più uno”, pronunciata il 12 maggio 1928  in Senato da Benito Mussolini. Probabilmente pensava a se stesso, il duce, come componente aggiuntiva, extra-ordinaria, in una votazione plebiscitaria. L’idea di Unità del e nel popolo ha molto di religioso, di mistico. Era l’idea spinoziana di Deus sive Natura, coinvolgendo sacro e profano, Ne “L’avvenire dell’uomo”, un paleontologo-teologo che scrive in quegli anni, Teilhard de Chardin, affronta temi di carattere teorico-cosmico, scrivendo: «Nei sistemi “totalitari”, dei quali l’avvenire correggerà certamente gli eccessi, accentuandone probabilmente le tendenze e le intuizioni profonde, il cittadino vede il suo centro di gravità trasferito a poco a poco, o per lo meno imperniato, su quello del gruppo nazionale o etnico a cui appartiene. […] Siamo tutti d’accordo sul fatto che la nostra specie sta entrando nella sua fase di socializzazione; non possiamo continuare a vivere senza subire quella trasformazione che, in qualche modo, renderà la nostra molteplicità un tutto.»

*Storico



Salvare l’Africa con l’Africa, non con il buonismo ideologico



Salvare l’Africa con l’Africa, non con il buonismo ideologico
Pubblicato 12 agosto 2017 |
Da Francesco Agnoli
Di ritorno dalle vacanze, apro la cassetta della posta e trovo una serie di riviste cui sono abbonato, o che mi inviano gratuitamente: Etiopia chiama; Aiuto alla Chiesa che soffre; Medicina & Missioni.
Si occupano tutte di Africa e di Terzo Mondo ed invitano ad adottare bambini a distanza, a finanziare la ricostruzione di chiese e ospedali distrutti in Egitto, Iraq, Medio Oriente, oppure, come l’ultima citata, raccontano la vita dei medici che prestano lavoro gratuito in paesi in via di sviluppo.
Questo perchè il mondo cattolico ha a cuore i poveri, anche lontani. La missione è sempre stata questo: annuncio della Buona Novella, ed aiuto allo sviluppo, in tutti i sensi. A casa loro. Lì dove i popoli vivono, dove hanno le proprie radici, adeguandosi per quanto possibile ad usi e costumi locali, almeno a quelli non in contraddizione con lo spirito evangelico.
Nei secoli i missionari hanno sradicato, dove sono riusciti,
usanze inique legate alle religioni tribali: il ricorso abituale della vendetta; i sacrifici umani; la magia e la stregoneria; la poligamia…
Ma non hanno mai ritenuto di dover imporre lingua, usi e costumi occidentali, convintissimi che se il buon Dio ha permesso l’esistenza di popoli, lingue, culture diverse, c’è in questo una ricchezza insostituibile.
Ricordo, quando ero piccolo, un frate francescano trentino che raccoglieva l’elemosina per portare soldi in Etiopia. Girava con il bastone, i sandali e la bisaccia; il suo volto emaciato, i suoi occhi dolci e mansueti parlavano della sua profonda Carità.
I miei genitori ci insegnavano a saltare qualche volta il gelato, a fare qualche fioretto: i soldi risparmiati, ci dicevano, li diamo al frate, e aiutiamo un bambino povero, a casa sua.
Da grande mi sono trovato ad avere amici che hanno adottato dei bambini, sempre in Etiopia. Mi hanno raccontato che per ogni bambino concesso in adozione, e quindi destinato a lasciare il suo paese, il governo etiope chiede alle associazioni di carità un certo numero di adozioni a distanza. Questo perchè un paese non può privarsi dei suoi giovani: sono il suo futuro. Spinto da questi amici, per alcuni anni ho invitato i miei alunni a rinunciare a qualcosa, per adottare a distanza un bambino etiope. Per dargli un futuro migliore nella sua terra, vicino ai suoi cari, là dove dovrà un giorno essere protagonista della vita della sua comunità.
E dunque? Dunque viene da sorridere a sentire Matteo Renzi che declama: “Aiutiamoli a casa loro”. Lo dice adesso, con un po’ di ritardo, dopo aver detto il contrario per molto tempo, senza risultare credibile. L’uomo è così: rende stupide e intollerabili anche le frasi intelligenti. Saranno il tono, la mimica, la fiducia che ispira in chi lo ascolta quando parla.
Però, sì, “aiutiamoli a casa loro” non solo è un concetto intelligente, ma è anche molto cristiano. Molto rispettoso della varietà e della ricchezza del mondo, delle culture, delle patrie.
Proverò a dirlo con altre parole. Quelle utilizzate dall’uomo che più di tutti ha fatto per l’Africa, portandovi Vangelo, scuole, ospedali, università e molto altro: san Daniele Comboni.
Lui aveva un motto preciso, ricordato recentemente anche dal cardinale africano Robert Sarah: “salvare l’Africa con l’Africa“.
Lo espresse nel suo celebre “Piano per la rigenerazione dell’Africa con l’Africa“, presentato nel 1864 al Prefetto di Propaganda Fide, il Cardinale Alessandro Barnabò. In esso invitava tra l’altro a istituire “scuole per formare maestri neri, scuole per artisti, virtuosi e abili agricoltori, medici, infermieri, falegnami”; invitava a costruire dove possibile “piccole università teologiche e scientifiche” per creare una classe dirigente africana formata nel campo “religioso, civile, economico”.
Ma Comboni era un missionario vero, pronto ad affrontare interminabili viaggi, fiere, predoni, malattie… non un opinionista dell’accoglienza con la tastiera, nè una tonaca ideologizzata, nè un loquace politico toscano attaccato ai social come ad un respiratore, nel disperato intento di captare l’umore degli elettori.
La verità, 6 agosto 2017 e La Voce del Trentino
libertaepersona.org